Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4599 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. II, 21/02/2020, (ud. 11/07/2019, dep. 21/02/2020), n.4599

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5304-2017 proposto da:

D.M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOTERA,

29, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ASSUMMA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO MARIA

MASTRACCHIO;

– ricorrente –

contro

BANCA D’ITALIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NAZIONALE n. 91, presso lo

studio dell’avvocato STEFANIA RITA MARIA R. CECI, che la rappresenta

e difende unitamente agli avvocati DONATELLA LA LICATA e GIOVANNI

LUPI;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 284/2016 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 30/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/07/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito il P.G. nella persona del Sostituto Dott. PEPE ALESSANDRO, il

quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati FRANCO MARIA MASTRACCHIO per parte ricorrente, che

ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e STEFANIA RITA MARIA R.

CECI per parte controricorrente, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso in opposizione ai sensi del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 195 D.M.G. impugnava innanzi alla Corte di Appello di Genova il provvedimento adottato nei suoi confronti dalla Banca d’Italia prot. 380811 dell’8.4.2014, notificato in data 10.6.2014, con il quale gli era stata comminata, nella sua veste di Presidente del Consiglio di Amministrazione della società Abbacus S.I.M. S.p.a., la sanzione amministrativa complessiva di Euro 65.000 per carenze organizzative nell’organizzazione e nei controlli interni alla società.

Si costituiva Banca d’Italia resistendo all’opposizione.

Con il decreto impugnato, cron. 284 del 30.8.2016, la Corte di Appello di Genova rigettava l’opposizione condannando l’opponente alle spese del giudizio di merito.

La Corte territoriale riteneva innanzitutto superata, per effetto dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 75 del 2015, la questione relativa alla contrarietà del D.Lgs. n. 58 del 1998 all’art. 6 della Convenzione E.D.U., sollevata dal D.M. sotto il profilo della mancanza dell’udienza pubblica, avendo la normativa sopravvenuta espressamente previsto la natura pubblica dell’udienza di discussione anche con riferimento ai giudizi in corso all’epoca della sua entrata in vigore.

Considerava poi infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal D.M. in relazione al D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 6 in relazione all’art. 76 Cost.

Riteneva tempestiva la contestazione degli addebiti, affermando che ai fini del computo del relativo termine si deve fare riferimento non già al momento in cui il fatto viene acquisito nella sua materialità, ma a quello, necessariamente successivo, in cui viene valutata l’idoneità del fatto medesimo ad integrare gli estremi oggettivi e soggettivi della condotta sanzionata dalla norma.

La Corte genovese escludeva poi la violazione del bis in idem dedotta dall’opponente, poichè il suo assoggettamento a due differenti procedimenti sanzionatori, l’uno condotto da Banca d’Italia e l’altro invece condotto da CO.N. SO.B. era dovuto al diverso ambito nel quale detti organi esercitavano la loro attività di vigilanza, non risultando peraltro alcuna pronuncia in giudicato in relazione al procedimento parallelo condotto da CO.N. SO.B.

Escludeva del pari la violazione del diritto al contraddittorio lamentata dal ricorrente in relazione alla fase amministrativa del procedimento di irrogazione della sanzione amministrativa, alla luce delle garanzie connesse alla successiva fase giurisdizionale a cognizione piena.

Infine, la Corte di Appello riteneva sufficientemente specifiche e fondate le contestazioni mosse al D.M. e rigettava le doglianze da costui formulate in relazione alla pretesa genericità della contestazione mossa nei suoi confronti, alla mancata individuazione, in detta contestazione, delle regole di condotta delle quali gli veniva imputata la violazione, all’inosservanza dell’onere della prova e all’assenza di colpa, o quantomeno alla mancata dimostrazione della sussistenza dell’elemento psicologico.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.M.G. affidandosi a nove motivi.

Resiste con controricorso Banca d’Italia.

Il ricorso è stato chiamato alla pubblica udienza del 26.9.2018, in prossimità della quale la parte ricorrente ha depositato memoria, ed è stato rinviato a nuovo ruolo per ragioni di connessione con altri ricorsi avverso il medesimo provvedimento sanzionatorio.

In prossimità dell’udienza pubblica dell’11.7.2019 la parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 5, comma 15 e art. 6, comma 8 e dell’art. 195 T.U.F. per contrasto con gli artt. 76,3,111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1; nonchè degli artt. 190 e 195 T.U.F. per contrasto con l’art. 97 Cost. e art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Ad avviso del D.M., il D.Lgs. n. 72 del 2015, artt. 5 e 6 avrebbero introdotto, in violazione della Legge delega n. 154 del 2014, emanata a suo tempo per il recepimento della Direttiva 213/36/UE, modifiche processuali al giudizio di opposizione alla sanzione amministrativa irrogata da Banca d’Italia, in particolare prevedendo espressamente la natura pubblica dell’udienza di discussione e l’applicabilità delle nuove disposizioni anche ai processi in corso.

La censura non è fondata.

Va infatti evidenziato che la delega contenuta nella L. n. 154 del 2014, art. 3 prevede, inter alia, la revisione organica, in coerenza con i principi posti dalla normativa Eurounitaria, dell’intera disciplina e procedura sanzionatoria in materia di intermediazione finanziaria. Tale delega comprende espressamente la facoltà di “apportare alla normativa vigente tutte le modificazioni e le integrazioni occorrenti ad assicurare il coordinamento con le disposizioni emanate in attuazione del presente articolo” (cfr. art. 3, comma 1, lett. q).

La Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che il controllo della conformità della norma delegata alla norma delegante richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l’uno relativo alla disposizione che determina l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l’altro concernente la norma delegata, da interpretare, ove possibile, nel significato compatibile con questi ultimi (ex plurimis, sentenze n. 229 del 2014, n. 230 del 2010, n. 112 e n. 98 del 2008, n. 140 del 2007).

Relativamente al primo di essi, il contenuto della delega deve essere identificato tenendo conto del complessivo contesto normativo nel quale si inseriscono la legge delega ed i relativi principi e criteri direttivi, nonchè delle finalità che lo ispirano, verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte del legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della medesima (ex plurimis, ancora sentenze n. 229 del 2014, n. 341 del 2007, n. 426 e n. 285 del 2006).

I principi posti dal legislatore delegante costituiscono, poi, non soltanto base e limite delle norme delegate, ma anche strumenti per l’interpretazione della loro portata; e tali disposizioni devono essere lette, finchè sia possibile, nel significato compatibile con tali principi, i quali a loro volta vanno interpretati alla luce della ratio della legge delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente (ex plurimis, sentenze n. 237 del 2013, n. 119 del 2013, n. 272 del 2012 e n. 98 del 2008). Infatti l’art. 76 Cost. non osta all’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo ed un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, poichè deve escludersi che la funzione del legislatore delegato sia limitata ad una mera scansione linguistica delle previsioni stabilite dal primo; dunque, nell’attuazione della delega è possibile valutare le situazioni giuridiche da regolamentare ed effettuare le conseguenti scelte, nella fisiologica attività di riempimento che lega i due livelli normativi (sentenze n. 98 del 2008 e n. 163 del 2000). Tanto più quando, come nel caso di specie, l’esercizio del potere legislativo delegato intervenga ad ampliare le garanzie processuali previste a tutela del soggetto destinatario della sanzione amministrativa nell’ambito del procedimento di opposizione a quest’ultima.

Alla luce dei suddetti principi, deve escludersi che la previsione della pubblicità dell’udienza di discussione delle opposizioni avverso le sanzioni amministrative previste dal T.U.F., contenuta nel D.Lgs. n. 72 del 2015, art. 5 e l’espressa estensione di tale garanzia anche ai processi in corso, contenuta nel successivo art. 6, comma 8 della predetta normativa, abbia violato il parametro costituzionale di cui all’art. 76 Cost., trattandosi di scelte del legislatore delegato coerenti con gli indirizzi generali della delega, compatibili con la ratio di questa e tali da comportare un ampliamento delle garanzie processuali offerte al destinatario della sanzione.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 195 T.U.F., della L. n. 262 del 2005, art. 24 e della L. 23 marzo 1865, art. 5, all. E, art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. e art. 97 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Ad avviso del D.M., la Corte genovese avrebbe dovuto ravvisare, nella fase amministrativa precedente l’irrogazione del provvedimento sanzionatorio impugnato, tanto il mancato rispetto del principio del contraddittorio quanto l’omessa separazione delle funzioni istruttorie e decisorie dell’organo procedente. Al contrario, la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sulla specifica eccezione mossa dal ricorrente, incorrendo -inter alla- nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

La censura è infondata.

Va innanzitutto ribadito che nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa gli eventuali vizi di motivazione concernenti le difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento impugnato, e quindi l’insussistenza della pretesa sanzionatoria derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto amministrativo in sè considerato, ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che potrà -e dovrà- valutare le deduzioni difensive proposte dall’interessato in sede amministrativa, ed eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte, qualora esse siano espressamente riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 1786 del 28/01/2010, Rv. 611243; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17799 del 07/08/2014, Rv. 632167; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12503 del 21/05/2018, Rv. 648753). Dal richiamato principio deriva, da un lato, che l’esame di questa Corte non può estendersi sino a valutare l’effettivo svolgimento del procedimento amministrativo presupposto all’emanazione del provvedimento sanzionatorio impugnato, ove il vizio lamentato dal destinatario della sanzione non sia stato adeguatamente trasposto in uno specifico motivo di impugnazione. E, dall’altro lato, che il rispetto del diritto di difesa dell’incolpato va apprezzato in relazione all’intero procedimento, articolato nella fase amministrativa partecipata, finalizzata alla formazione della volontà sanzionatoria, e nel successivo giudizio di opposizione che si svolge dinanzi un giudice terzo, dotato di giurisdizione piena sul rapporto. Ne consegue che le eventuali irregolarità relative allo svolgimento della fase amministrativa assumono rilievo soltanto qualora esse abbiano di fatto comportato una compressione del diritto di difesa e di contra-dicere dell’incolpato; quando tuttavia costui abbia potuto partecipare alla fase amministrativa e promuovere opposizione avverso il provvedimento sanzionatorio, esercitando appieno le sue prerogative difensive, la rilevanza del vizio in esame va esclusa, posto che la natura bifasica del procedimento lo rende ab origine conforme alle prescrizioni di cui all’art. 6 della Convenzione E.D.U., proprio in funzione della possibilità di impugnare il provvedimento amministrativo davanti ad un giudice indipendente e imparziale presso il quale è assicurato il pieno dispiegamento del contraddittorio tra le parti sull’intero rapporto interessato dal provvedimento sanzionatorio (cfr. Cass. Sez.2, Sentenza n. 8237 del 22/03/2019, Rv.653485; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27038 del 03/12/2013, Rv. 628646, secondo la quale in materia di sanzioni amministrative “… nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo di istituti bancari, il rispetto dei principi del contraddittorio e della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorie, previsti dalla L. 28 dicembre 2005, n. 262, art. 24 non comporta la necessità che gli incolpati vengano ascoltati durante la discussione orale innanzi all’organo decidente, essendo sufficiente che a quest’ultimo siano rimesse le difese scritte degli incolpati ed i verbali delle dichiarazioni rilasciate, quando gli stessi chiedano di essere sentiti personalmente”).

Merita quindi di essere ribadito il principio secondo cui “In tema di intermediazione finanziaria, nel procedimento amministrativo sanzionatorio previsto dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187 septies l’omessa previsione della trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative, e la conseguente impossibilità di interloquire, non si pone in contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, quando – come stabilito dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia – pur avendo le sanzioni natura sostanzialmente penale, il provvedimento con cui le stesse vengono irrogate sia assoggettato -come, appunto, quello adottato ex art. 187 septies cit., anche nel testo vigente ratione temporis – ad un sindacato giurisdizionale pieno, attuato nell’ambito di un giudizio che assicura le garanzie del giusto processo” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8210 del 22/04/2016, Rv. 639663).

Infatti le garanzie del contraddittorio previste per il procedimento sanzionatorio che si svolge davanti ad una autorità indipendente sono da ricondurre al livello proprio del contraddittorio procedimentale, solitamente di tipo verticale, che si svolge tra l’amministrazione e l’interessato su un piano non di eguaglianza, ma in funzione collaborativa, partecipativa e non difensiva; e non invece al diverso livello del contraddittorio di matrice processuale, di tipo orizzontale, che riguarda due parti in posizione paritaria rispetto ad un decidente, terzo e imparziale. Ne consegue che la struttura del procedimento non contrasta con l’art. 24 Cost. e con i principi espressi dall’art. 195 T.U.F. e L. n. 262 del 2005, art. 24 dovendosi ritenere che le garanzie previste dalle norme appena richiamate siano soddisfatte dalla preventiva contestazione dell’addebito e dalla valutazione, prima dell’adozione della sanzione, delle eventuali controdeduzioni dell’interessato, non essendo necessarie nè la trasmissione a quest’ultimo delle conclusioni dell’ufficio sanzioni, nè la sua personale audizione (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8046 del 21/03/2019, Rv. 653405).

Da quanto precede deriva che il cumulo di funzioni in capo ad un medesimo organo previsto dall’organizzazione interna di Banca d’Italia, ovvero l’affidamento della decisione sulla sanzione all’organo gerarchicamente sopraordinato rispetto a quello preposto allo svolgimento dell’istruttoria non comporta di per sè violazione dell’art. 6 della Convenzione E.D.U., anche quando esso si risolva in una anticipazione del giudizio (come nel caso di adozione di misure cautelari prima della decisione conclusiva del procedimento amministrativo: cfr. Cass. Sez.2, Sentenza n. 3734 del 15/02/2018, Rv. 647799) dovendosi comunque aver riguardo, per poter configurare un ragionevole timore di mancanza di imparzialità in capo all’organo investito della funzione decisoria, alla portata ed alla natura delle eventuali attività e decisioni preliminari, da valutarsi caso per caso.

Nè si pone alcun problema di compatibilità con il richiamato art. 6 della Convenzione E.D.U. sotto il profilo della natura della sanzione irrogata dalla Banca d’Italia ovvero con riguardo alla contemporanea presenza di due distinti procedimenti sanzionatori, l’uno condotto da CO.N. SO.B. e l’altro invece da Banca d’Italia, in relazione ai medesimi fatti evidenziati dall’attività ispettiva svolta da quest’ultima.

Sotto il primo profilo, infatti, va ribadito che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia ex artt. 6 e 190 T.U.F., del pari di quelle “… irrogate dalla CO.N. SO.B. diverse da quelle di cui all’art. 187 ter TUF non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, a quelle appunto irrogate dalla CO.N. SO.B. per manipolazione del mercato, esse non hanno la natura sostanzialmente penale che appartiene a queste ultime, nè pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU, agli effetti, in particolare, della violazione del “ne bis in idem” tra sanzione penale ed amministrativa comminata sui medesimi fatti” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20689 del 09/08/2018, Rv. 650004).

Mentre, relativamente al secondo aspetto, va evidenziato che i due procedimenti sanzionatori, attivati rispettivamente da Banca d’Italia e da CO.N. SO.B. sulla base dell’unica verifica ispettiva eseguita sulla S.I.M. dal primo organismo, hanno ad oggetto condotte diverse afferenti a diversi illeciti: il primo procedimento, infatti, si riferisce alle carenze organizzative e del sistema dei controlli interni alla S.I.M. ed è evidentemente funzionale al rispetto di standard unitari di corretta gestione degli operatori finanziari attivi sul mercato; il secondo invece, affidato a CO.N. SO.B., riguarda i profili di inadempimento, da parte della S.I.M. e dei suoi operatori, degli obblighi di adottare procedure idonee a garantire l’efficiente, corretto e trasparente svolgimento dei servizi di intermediazione finanziaria e delle attività di investimento, in funzione di protezione tanto del cliente, ritenuto soggetto debole nell’ambito del rapporto intersoggettivo corrente tra questi e l’operatore finanziario, quanto della corretta gestione dei servizi sul mercato finanziario.

Nè, del resto, la contemporanea attivazione di due distinti procedimenti sanzionatori in relazione al medesimo fatto è ritenuta dalla giurisprudenza della Corte E.D.U. contraria ai principi convenzionali, qualora i predetti procedimenti siano tesi a sanzionare diversi profili della condotta antisociale realizzata dal soggetto e a condizione che tra le due procedure sussista una connessione sostanziale e cronologica, che il trattamento sanzionatorio sia nel complesso proporzionato e comunque prevedibile nella sua articolazione ed entità, che sia assicurata l’unicità della raccolta e, ove possibile, della valutazione della prova, ed infine che la sanzione imposta nel procedimento che si concluda per primo sia tenuta in considerazione nell’altro procedimento, in modo da assicurare la proporzionalità complessiva della pena in concreto irrogata (cfr. Corte E.D.U., Grande Camera, sentenza 15.11.2016, A e B contro Norvegia, ricorsi n. 24130/11 e n. 29758/11). Dette condizioni sono, nel caso di specie, certamente soddisfatte, posto che i fatti oggetto dei due procedimenti sanzionatori, rispettivamente attivati dalla Banca d’Italia e dalla CO.N. SO.B., sono stati accertati all’esito di un’unica attività ispettiva condotta dalla prima, che le due procedure si sono svolte in tempi ragionevolmente coerenti e che, come già affermato, esse mirano a fornire risposta a diversi profili di lesività della condotta contestata.

Le considerazioni appena esposte consentono di pervenire al rigetto anche del quarto motivo, con il quale il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5,6,190 e 195 T.U.F., L. n. 689 del 1981, artt. 1 e 9 del principio del ne bis in idem sancito dall’art. 649 c.p.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; nonchè la nullità del decreto per violazione degli artt. 112,132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 195 T.U.F., per omessa pronuncia e per motivazione inesistente o meramente apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Ad avviso del D.M., la Corte genovese avrebbe dovuto ravvisare la violazione del ne bis in idem a fronte della contemporanea pendenza, per i medesimi fatti, di due procedimenti sanzionatori, l’uno condotto da Banca d’Italia e l’altro invece gestito da CO.N. SO.B.

Sul punto, la Corte genovese ha escluso la sussistenza del bis in idem in funzione del fatto che il procedimento amministrativo di competenza di CO.N. SO.B. non si era ancora concluso con decisione coperta da giudicato.

L’impianto motivo della decisione gravata non è condivisibile, posto che la sussistenza o meno del bis in idem va in concreto accertata non tanto in funzione del complessivo dispiegamento della vicenda processuale che interessa uno stesso soggetto in relazione ad un unico fatto contestato, quanto piuttosto in vista proprio della verifica della sussistenza, o meno, dell’unicità del fatto di cui sopra.

Tuttavia, la doglianza è infondata, da un lato alla luce della natura non penale delle sanzioni contestate nei due procedimenti di competenza, rispettivamente, di Banca d’Italia e di CO.N. SO.B., dall’altro lato in vista della giurisprudenza della Corte E.D.U. già richiamata a confutazione del secondo motivo di ricorso, ed infine in considerazione del diverso oggetto delle due procedure sanzionatorie di cui si discute.

Con il terzo motivo, che per ragioni di connessione va trattato unitamente al quinto e al settimo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 6,190 e 195 T.U.F., della parte 2 titolo I del Regolamento congiunto CO.N. SO.B. – Banca d’Italia del 29.10.2007, L. n. 689 del 1981, artt. 1, 3,14 e 22 della L. n. 241 del 1990, art. 3 del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6 richiamato dalla L. n. 689 del 1981, art. 22, art. 2697 c.c., dei principi regolatori dell’onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; la violazione degli artt. 6-1 e 6-3 della Convenzione E.D.U. e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E.; la nullità del decreto per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. per motivazione inesistente o meramente apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; nonchè l’omesso esame di fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Ad avviso del D.M., la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare la nullità del provvedimento sanzionatorio impugnato a fronte della genericità degli addebiti e della mancata indicazione della corrispondente norma di condotta violata.

Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione, sotto diversi profili, degli artt. 6,190 e 195 T.U.F., della parte 2 titolo I del Regolamento congiunto CO.N. SO.B. – Banca d’Italia del 29.10.2007, della L. n. 689 del 1981, artt. 1, 3,14 e 22, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, artt. 2697 e 2700 c.c., dei principi regolatori dell’onere della prova, nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., artt. 738,115,116 e 210 c.p.c., art. 6-1 della Convenzione E.D.U. e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; la nullità del decreto per motivazione inesistente o meramente apparente in violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 195 T.U.F. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; nonchè l’omesso esame di fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Secondo il D.M., la Corte di Appello avrebbe acriticamente recepito le contestazioni contenute nel provvedimento amministrativo impugnato, senza approfondire adeguatamente il profilo della prova degli addebiti contestati.

Con il settimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 5,6,21,190 e 195 T.U.F., artt. 2381,2391 e 2392 c.c., artt. 16,23 e della parte 2 titolo I del Regolamento congiunto Banca d’Italia – CO.N. SO.B. del 29.10.2007, 54 del Regolamento intermediari adottato con Delib. CO.N. SO.B. n. 16190 del 2007, artt. 115 e 116 c.p.c., della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 689 del 1981, artt. 1, 3, 14 e 22, art. 6-1 della Convenzione E.D.U. e art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., dei principi del giusto processo, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6 degli artt. 1322 e 2697 c.c., dei principi regolatori dell’onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; l’omesso esame di fatti decisivi in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5; nonchè la nullità del decreto per violazione degli artt. 112,132 e 135 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 195 T.U.F. e per motivazione inesistente o meramente apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Ad avviso del D.M., la Corte genovese avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la sua responsabilità per le condotte genericamente indicate dal provvedimento impugnato, senza rilevare da un lato la carenza della prova tanto dell’elemento oggettivo che dell’elemento soggettivo delle singole violazioni contestate.

Le tre censure, che – come detto – meritano un esame congiunto, sono inammissibili, in quanto si risolvono in una richiesta di riesame delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di Cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv.627790). Nè, per altro verso, è consentito in questa sede il sindacato sulla scelta, operata dal giudice di merito, delle risultanze probatorie ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, posto che essa involge apprezzamenti di fatto riservati al predetto giudice, il quale d’altro canto, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330).

Peraltro, il decreto impugnato indica in modo dettagliato (cfr. pagg. 13 e ss.) i motivi per cui la Corte ligure ha ritenuto dimostrata la sussistenza delle varie contestazioni mosse in concreto al D.M.. In particolare, il giudice di merito ha ritenuto che “… dalla lettura degli addebiti emerge in modo chiaro che oggetto delle contestazioni non sono i comportamenti ivi attribuiti a singoli soggetti titolari di specifici ruoli o funzioni all’interno della società, bensì le carenze organizzative e la mancata predisposizione di presidi idonei ad intercettare e risolvere le situazioni di conflitto di interesse o identificare e correggere modalità operative erronee o illegittime, condotta ascrivibile agli organi di direzione e controllo, di cui faceva parte D.M.G. quale Presidente del Consiglio di Amministrazione” (cfr. pag. 13) ed ha proseguito (richiamando Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18683 del 04/09/2014, Rv. 632300) affermando che “… se l’obbligo dell’intermediario di disporre procedure idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi di investimento esige una modulazione rimessa alla discrezionalità dell’imprenditore, esso lo vincola però al tempo stesso all’attuazione dell’obiettivo prefigurato dalla norma primaria, con la precisazione ulteriore che se le norme regolamentari non delineano uno specifico modello ideale di procedura, ciò dipende dalla volontà del legislatore di lasciare ampia discrezionalità agli intermediari nella predisposizione in concreto delle procedure ritenute più idonee, senza che ciò possa tradursi in un limite per l’organo di vigilanza nella valutazione della congruità di tali procedure rispetto al fine delle norme che le hanno contemplate” (cfr. sempre pag.13 della decisione impugnata).

La Corte territoriale esamina poi in dettaglio, respingendoli, i vari motivi di opposizione formulati dal D.M. in relazione ai singoli addebiti, affermando in primo luogo che la posizione del M., nelle cui mani erano concentrate diverse cariche sia all’interno della S.I.M. che della società di auditing e di altre società in rapporti di affari con Abbacus, confermasse le rilevate carenze organizzative relative all’intercettazione delle situazioni di conflitto di interesse (cfr. pag.15). Irrilevante, secondo la Corte ligure, è il fatto che i clienti di Abbacus e i relativi operatori fossero stati censiti nell’archivio unico informatico, posto che questo rappresenta uno strumento di contrasto al riciclaggio, mentre le situazioni di conflitto di interesse “… devono essere mappate e monitorare dagli organi di controllo tra cui anche i CdA” (cfr. ancora pag.15). Del pari irrilevante è la circostanza che in concreto non siano stati rilevate operazioni poste in essere in conflitto di interesse non presidiato, atteso che la norma che disciplina la materia “… costituisce un rimedio preventivo al pericolo che la condotta dell’intermediario possa risultare condizionata da un interesse proprio” (cfr. sempre pag.15).

La Corte genovese esamina quindi la posizione del membro del Consiglio di Amministrazione, affermando che in base al combinato-disposto degli artt. 2392 e 2381 c.c. sussiste un dovere degli amministratori di una società di agire informati, che si articola innanzitutto nel potere-dovere di sollecitare informazioni e chiarimenti agli organi delegati (cfr. pagg.15 e ss. della decisione impugnata). Tale obbligo, secondo il giudice a quo, è ancor più stringente in capo agli amministratori di S.I.M. in funzione della particolare rilevanza pubblicistica degli interessi in gioco. Sotto questo profilo, quel che viene in concreto imputato al D.M. non è tanto di aver permesso o agevolato la commissione di illeciti da parte del M. o di altri soggetti eventualmente versanti in conflitto di interessi, nè di aver consentito o favorito la causazione di danni ai clienti della S.I.M., quanto piuttosto – e a monte di tali considerazioni – il fatto di non aver attivato adeguatamente il sistema di controlli organizzativi e di assetto interno alla società ipotizzato dal legislatore proprio allo scopo di prevenire il rischio di situazioni di conflitto di interesse, di danno alla clientela o di turbamento dell’ordinario svolgimento dell’attività di intermediazione finanziaria. Si tratta quindi di una violazione propria, che sussiste a prescindere da qualsiasi rilievo sulla maggiore o minore rilevanza o dannosità dell’operato del M. o di chiunque altri. Sotto questo profilo, la mole delle movimentazioni operate dal M., il mancato monitoraggio delle sedi secondarie (cfr. pag.18), il numero dei reclami con richiesta di informazioni e restituzioni di titoli e liquidità, la frequente assenza di ordini scritti (cfr. pag.19), l’irregolare consegna della rendicontazione al cliente direttamente da parte del gestore, la mancata determinazione dei prezzi degli strumenti finanziari illiquidi (cfr. pag.20), sono tutti elementi che avrebbero dovuto essere verificati e valutati dagli organi gestori della S.I.M. e indurre il D.M. ad una maggiore attenzione e cautela; al contrario, tali elementi sono stati chiaramente sottostimati dal Consiglio di Amministrazione e dagli altri organi gestori della S.I.M., in sostanziale violazione della norma di legge posta a presidio della corretta organizzazione e gestione delle società di intermediazione finanziaria operanti sul mercato.

Sempre secondo la Corte genovese, in taluni casi – ad esempio quanto alla gestione della rendicontazione alla clientela con modalità difformi da quelle previste dal manuale aziendale delle procedure – l’inadeguatezza organizzativa e gestionale emerge dal fatto stesso che il CdA della S.I.M., sia pur tardivamente, abbia ravvisato l’opportunità di apportare correttivi alle procedure in concreto seguite nella società (cfr. pag.21). Mentre in altri casi -ad esempio con riguardo all’omessa verifica della coerenza degli investimenti con i profili di rischio dichiarati dai singoli clienti- le stesse procedure di compliance avevano evidenziato la necessità di un monitoraggio più accurato (cfr. pag.22).

Il fatto che il sistema di controlli interni alla S.I.M. non sia stato, in concreto, in grado di prevenire, da un lato, e di intercettare e risolvere, dall’altro lato, le varie anomalie riscontrate dimostra, sempre secondo la decisione qui impugnata, la fondatezza delle contestazioni mosse all’odierno ricorrente (cfr. pag. 23).

A fronte di questi specifici rilievi, in larga parte neppure contestati – secondo il giudice di merito – dal D.M., il quale non aveva negato i fatti, cercando piuttosto nelle sue difese di sminuirne la portata fino a ridurli a mere carenze formali, la Corte di Appello ha concluso – con argomenti logico – giuridici del tutto condivisibili – per la conferma degli addebiti mossi al D.M. dal provvedimento sanzionatorio impugnato.

Peraltro, va anche considerato che nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa spetta all’opponente la prova positiva del fatto impeditivo o estintivo della pretesa sanzionatoria e che nel caso specifico il D.M. non ha provato, nè offerto di provare, i fatti che lo potrebbero esonerare dalla responsabilità, avendo proposto una linea difensiva che – come già detto – più che contestare i singoli fatti in sè stessi tende a sminuirne il significato lesivo, in tal modo confermandone implicitamente l’esistenza.

Infine, non va trascurata la posizione apicale rivestita dall’odierno ricorrente nell’ambito dell’organizzazione interna di Abbacus S.I.M. S.p.a., che gli avrebbe potuto consentire, con l’uso della diligenza richiesta agli amministratori di una S.I.M., di avvedersi delle irregolarità contestate e di attivarsi tempestivamente per porvi rimedio.

Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 195 T.U.F., della L. n. 689 del 1981, artt. 1, 3 e 14 art. 2697 c.c., dei principi regolatori dell’onere della prova, degli artt. 115 e 116 c.p.c., del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; nonchè la nullità del decreto impugnato per violazione dell’art. 112 c.p.c. e motivazione inesistente o apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, e l’omesso esame di fatti decisivi in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Ad avviso del D.M., la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto tempestiva la contestazione degli addebiti, senza considerare che Banca d’Italia aveva concluso la prima ispezione su Abbacus S.I.M. S.p.a. e depositato la propria relazione in data 22.2.2013 e che quindi da tale data doveva essere calcolato il termine previsto dalla legge per la contestazione degli addebiti. Secondo il ricorrente, i fatti che gli sono stati in concreto contestati risultavano già dalla prima relazione ispettiva e quindi la successiva comunicazione inviata nel mese di aprile 2012 non poteva comportare alcuno slittamento in avanti del termine decadenziale di 180 giorni.

La censura è infondata.

Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio, che merita di essere ribadito, per cui “In tema di sanzioni amministrative, il termine per la contestazione all’interessato, stabilito, a pena di decadenza, dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14 decorre, non già dal momento in cui il fatto è stato acquisito nella sua materialità, ma, dovendosi tener conto anche del tempo necessario per la valutazione della idoneità di tale fatto ad integrare gli estremi (oggettivi e soggettivi) di comportamenti sanzionati come illeciti amministrativi, da quando l’accertamento è stato compiuto o avrebbe potuto ragionevolmente essere effettuato dall’organo addetto alla vigilanza delle disposizioni che si assumono violate” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9456 del 19/05/2004, Rv.572933; in termini, cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2363 del 04/02/2005, Rv.579474; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12830 del 30/05/2006, Rv.590282; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25916 del 05/12/2006, Rv.595642; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9311 del 18/04/2007, Rv.596396).

Nè, per altro verso, pur dovendo apprezzare la congruità del tempo complessivamente impiegato dall’Amministrazione in relazione alla complessità degli accertamenti da svolgere nell’ambito del singolo procedimento sanzionatorio, il giudice ha il potere di sostituirsi alla stessa Amministrazione spingendosi sino a valutare l’opportunità dei singoli atti da questa eventualmente posti in essere (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 16642 del 08/08/2005, Rv. 582917; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8326 del 04/04/2018, Rv. 647766).

Nemmeno è possibile individuare, nel caso di specie, alcuna condotta negligente o arbitraria della P.A. (tale da escludere che il tardivo compimento di atti che quest’ultima avrebbe dovuto o potuto compiere in modo tempestivo comporti lo spostamento in avanti del dies a quo di decorrenza del termine perentorio previsto per la contestazione degli addebiti; cfr. al riguardo Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5467 del 29/02/2008, Rv.602398).

La decisione impugnata dà infatti atto, a riguardo, che “… la prima ispezione (dalle quale erano emerse risultanze solo parzialmente sfavorevoli: vedi rilievi e osservazioni, in atti, degli ispettori all’esito dell’ispezione stessa) è stata svolta su Abbacus SIM mentre la seconda ispezione è stata svolta su Ingefin Spa, capofila del gruppo di SIM Abbacus e sull’intero gruppo e, quindi, anche su Abbacus SIM, e proprio per il più vasto ambito degli accertamento sono stati esaminati i rapporti tra Abbacus e Auditors e, in particolare, la coesistenza di ruoli in capo a P. M. presso la SIM e terze società e l’assenza di azioni di monitoraggio e presidio sull’attività del predetto; conseguentemente, da un lato sono emerse circostanze nuove rispetto a quelle esaminate nel corso della prima ispezione, dall’altro le irregolarità già rilevate si sono aggravate così da integrare le violazioni contestate -in particolare relativamente alle funzioni di controllo nella prima ispezione si segnalava la necessità di potenziare gli interventi organizzativi volti ad assicurare piena incisività ai controlli in relazione agli apprezzamenti dei rischi e alla tempestiva adozione delle misure correttive individuate nonchè la necessità di completare i collegamenti di collaborazione con la compliance, oggetto di recente rivisitazione, e con quella per l’antiriciclaggio; nella seconda ispezione, pur dandosi atto di qualche rafforzamento sul finire del 2011 (esternalizzazione della funzione compliance a Unione Fiduciaria, attribuzione di un consigliere non operativo della funzione di risk management) sono state riscontrare le inidoneità del sistema dei controlli in quanto non in grado di intercettare e di rimuovere le anomalie riscontrate dagli ispettori (descritte analiticamente nel documento allegato alla lettera di contestazione) nè di rilevare i profili di criticità insiti nell’operatività di M.”(cfr. pagg.10 e s.).

Da quanto sopra deriva che le risultanze della prima ispezione sono state superate e integrate da quelle della seconda, svolta a più ampio spettro – segnatamente, non solo su Abbacus S.I.M. S.p.a. ma sull’intero gruppo societario del quale essa faceva parte – e che solo all’esito della seconda ispezione sono emerse nella loro effettiva gravità alcune delle carenze organizzative contestate al D.M., con particolare riferimento a quelle inerenti la gestione dei conflitti di interesse relativi all’attività della S.I.M.

Del tutto condivisibile, quindi, è la scelta del giudice a quo di calcolare il termine di 180 giorni dall’esito della seconda ispezione, anche in funzione della complessità degli accertamenti e delle valutazioni da svolgere in relazione all’operatività di società operanti nel settore dell’intermediazione finanziaria (cfr. pag. 11 della decisione).

Con l’ottavo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 28 art. 6-1 della Convenzione E.D.U., art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., artt. 6,190 e 195 T.U.F., della L. n. 689 del 1981, artt. 1, 14 e 22 del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6 art. 2697 c.c., dei principi regolatori dell’onere della prova, degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello non avrebbe rilevato l’intervenuta estinzione dell’illecito per effetto del decorso della prescrizione, essendo i fatti contestati risalenti ad oltre un quinquennio anteriore alla lettera di contestazione degli addebiti.

La censura è infondata.

Da un lato va evidenziato che l’illecito di cui si discute, in quanto attinente all’organizzazione dei controlli interni alla S.I.M., ha natura permanente, con la conseguenza che il termine di prescrizione va calcolato non già dall’inizio della condotta contestata, ma dal suo termine o – al massimo – dal momento della contestazione (Cass. Sez.2, Sentenza n. 15019 del 14/06/2013, non massimata, secondo la quale quando la condotta, pur essendo iniziata prima di cinque anni dall’accertamento, si protrae anche per gli anni successivi compresi all’interno del quinquennio, la sanzione si riferisce alla complessiva valutazione del fatto e non è prescritta; cfr. anche Cass. Sez.2, Sentenza n. 28652 del 23/12/2011, Rv. 620357).

Dall’altro lato occorre tener presente che la decisione impugnata dà atto che la contestazione degli addebiti è stata notificata il 15.7.2013, come riconosciuto dallo stesso D.M., e che “… non rileva che alcuni comportamenti omissivi fossero già posti in essere nei periodi precedenti in quanto le violazioni per carenze organizzative e nei controlli interni oggetto di contestazione risultano comunque protrattisi nel quinquennio anteriore il 15.7.2013″(cfr. pag. 14).

Infine, con il nono ed ultimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, della L. n. 689 del 1981, art. 11artt. 190 e 195 T.U.F., art. 6-1 della Convenzione E.D.U., art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., art. 2697 c.c., dei principi regolatori dell’onere della prova e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; la nullità del decreto impugnato per violazione degli artt. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 195 T.U.F., per motivazione inesistente o meramente apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4; l’ulteriore nullità del predetto decreto per violazione dell’art. 112 c.p.c., sempre con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4; nonchè l’omesso esame di fatti decisivi in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Ad avviso del D.M., nel decreto impugnato la Corte di Appello avrebbe preso in considerazione solo alcuni dei vari rilievi contenuti nel provvedimento sanzionatorio impugnato, tutti specificamente contestati dall’odierno ricorrente, affermando che essi sarebbero sufficienti a giustificare tanto la violazione della norma di condotta che la sanzione in concreto irrogata dall’autorità amministrativa. In questo modo, la Corte ligure avrebbe trascurato di considerare che i rilievi non esaminati rappresentavano la maggioranza di quelli mossi con il provvedimento sanzionatorio. Di conseguenza, non sarebbe condivisibile il giudizio conclusivo sulla gravità delle condotte, in quanto di fatto esso è riferito solo ad un terzo delle contestazioni di cui al provvedimento impugnato, nè sarebbe stata valutata in alcun modo, a tal riguardo, la personalità e la storia del D.M..

La censura è infondata.

Il giudice di merito ha invero esaminato i fatti ritenuti più significativi tra quelli oggetto prima della contestazione degli addebiti, e poi del provvedimento amministrativo impugnato e -all’esito di un esame dettagliato delle singole condotte addebitate – li ha ritenuti sufficienti a giustificare la sanzione in concreto irrogata nei confronti dell’odierno ricorrente.

Tale valutazione, che di per sè integra gli estremi di un apprezzamento di fatto insindacabile in Cassazione, è comunque del tutto condivisibile in quanto l’apprezzamento sulla gravità delle condotte contestate, e quindi sulla congruità della sanzione in concreto irrogata al destinatario, non si risolve in un mero calcolo del numero delle singole contestazioni, ma concerne la rilevanza delle specifiche condotte in relazione al bene-interesse protetto dalla norma di condotta violata e dalla corrispondente risposta sanzionatoria prevista dall’ordinamento. Quando pertanto la Corte territoriale afferma che “… tutto quanto sopra esposto giustifica ampiamente sia la violazione contestata che la sanzione applicata (Euro 65.000,00) senza che occorra procedere ad un esame dettagliato degli ulteriori fatti ritenuti anch’essi integranti la fattispecie addebitata” (cfr. pag.24 della decisione impugnata) esprime una valutazione sull’importanza e la gravità dei fatti che non è in rapporto con il numero delle contestazioni sollevate nel provvedimento sanzionatorio impugnato, ma con la loro rilevanza ai fini degli interessi protetti dall’ordinamento.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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