Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4597 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. III, 21/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9999/2018 proposto da:

D.O., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIEMONTE 39,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA GIOVANNETTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MATTEO ROSSOMANDO;

– ricorrente –

contro

FRATELLI U. SRL, domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

DOMENICO PUTZOLU;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2092/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/11/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2010 D.O. chiese ed ottenne dal Tribunale di Torino un decreto ingiuntivo nei confronti della società F.lli U. s.r.l..

A fondamento del ricorso monitorio dedusse di avere stipulato con la società intimata un contratto di finanziamento; di averle erogato la somma di 400.000 Euro, che la società finanziata si era impegnata a restituire maggiorata di un interesse del 5%; di non avere ottenuto la restituzione del capitale, nè il pagamento degli interessi.

2. La F.lli U. propose opposizione al suddetto decreto ingiuntivo, esponendo (così si legge nell’atto di citazione in opposizione) che “il finanziamento era stato concordato al solo fine di giustificare fiscalmente l’accredito sul conto corrente della F.lli U. della somma corrispondente necessaria per l’acquisto di tre immobili a favore dei figli e della nipote dello stesso ingegner D.”.

Precisò di avere venduto tre diversi immobili, rispettivamente, ai due figli ed al nipote di D.O. e che l’importo di cui questi aveva chiesto la restituzione corrispondeva a quello “utilizzato interamente per pagare il prezzo degli appartamenti”, e ciò “per volontà espressa dell’ingegner D.”.

3. Il Tribunale di Torino con sentenza n. 3681 del 2013 qualificò l’eccezione sollevata dalla F.lli U. come un’eccezione di simulazione e la rigettò, ritenendola non provata.

4. La sentenza venne appellata dalla società soccombente, e la Corte d’appello, con sentenza 27 settembre 2017 n. 2092, accolse il gravame.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne che:

-) nessun mutamento di domanda vi era stato da parte della F.lli U.; in particolare, non costituiva inammissibile mutamento di domanda la circostanza che la F.lli U. nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo avesse invocato la simulazione del contratto di finanziamento, mentre nella comparsa conclusionale depositata in primo grado sostenne che il denaro ricevuto da D.O. era stato da essa trattenuto quale prezzo degli immobili venduti dalla F.lli U. ai figli del suddetto D. “per espressa volontà di lui”;

-) la circostanza pacifica che D.O. diede del denaro alla F.lli U., da questa trattenuto quale prezzo degli appartamenti venduti ai figli del solvens, doveva far qualificare la vicenda come una datio in solutum ex art. 1197 c.c.: in particolare doveva ritenersi che la F.lli U., obbligata alla restituzione della somma, l’avesse imputata al pagamento del prezzo degli immobili col consenso del suo creditore D..

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da D.O. con ricorso fondato su quattro motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso la F.lli U., e depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta sia il vizio di violazione di legge (sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 2730 c.c.); sia quello di omesso esame d’un fatto decisivo.

Deduce che la F.lli U. aveva per iscritto dichiarato di accettare il finanziamento proposto da D.O.; che tale documento (un fax del 6 giugno 2007) era stato prodotto in atti; che quel documento costituiva la confessione stragiudiziale della effettiva stipula di un contratto di finanziamento; che, pertanto, la Corte d’appello non avrebbe potuto prescindere da esso nella decisione della causa, dal momento che la confessione stragiudiziale fatta alla controparte ha il medesimo valore della confessione giudiziale, e costituisce una prova legale.

1.2. Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza.

La Corte d’appello, infatti, non ha mai negato che fra D.O. e la F.lli U. fosse intercorso un contratto di finanziamento. Ha semplicemente ritenuto che, per mutuo consenso, D.O. acconsentì che l’adempimento delle obbligazioni restitutorie sorte da quel contratto potessero essere adempiute dalla F.lli U. non già restituendo il capitale ricevuto a mutuo maggiorato degli interessi, ma trasferendo ai prossimi congiunti del finanziatore tre appartamenti.

La Corte d’appello, dunque, non solo non ha violato le norme sulla confessione, ma anzi ha fondato la propria decisione proprio sul presupposto che esistesse il fatto confessato, ovvero l’esistenza d’un contratto di mutuo.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 163 e 345 c.p.c..

Deduce che erroneamente la Corte d’appello ha escluso che la F.lli U. avesse inammissibilmente mutato le proprie difese del corso del giudizio.

Espone che nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo la F.lli U. aveva invocato la simulazione del contratto di finanziamento; per contro, nella comparsa conclusionale depositata in primo grado, aveva dedotto che il finanziamento era stato effettivamente voluto dalle parti, ma che la società aveva trattenuto il capitale ricevuto da D.O. per imputarlo a pagamento del prezzo di tre appartamenti venduti ai figli di quest’ultimo e su espressa richiesta di lui.

2.2. Il motivo è infondato.

Le pretese della società F.lli U. non sono mutate nel corso del giudizio.

La società F.lli U., infatti, nell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo ha innanzitutto dedotto di nulla dovere ad D.O.: è questa richiesta ovviamente è rimasta immutata.

Quanto alla causa petendi della suddetta eccezione, sia nell’atto di citazione in opposizione, sia nella comparsa conclusionale, sia nell’atto d’appello, la F.lli U. ha sostanzialmente dedotto sempre le medesime circostanze di fatto: e cioè di non dover restituire alcunchè, perchè la somma ricevuta da D.O. costituiva in sostanza il prezzo di tre appartamenti che la società aveva venduto ai familiari del mutuante.

Che poi questa operazione dovesse qualificarsi come datio in solutum, piuttosto che come simulazione, come collegamento negoziale, come delegatio so/vendi od altro ancora, ciò costituiva soltanto una qualificazione giuridica dei fatti. E la modifica della qualificazione giuridica dei fatti dedotti in giudizio non è soggetta a preclusioni di sorta quando, come nel caso di specie, non imponga accertamenti ulteriori e diversi rispetto a quelli già oggetto del thema probandum (ex multis, Sez. 3 -, Sentenza n. 23167 del 27/09/2018, Rv. 650600 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 9333 del 09/05/2016, Rv. 639621 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 27406 del 18/11/2008, Rv. 605529

– 01; Sez. 3, Sentenza n. 4804 del 06/03/2006, Rv. 587488 – 01; il principio risale a Sez. 3, Sentenza n. 2120 del 26/07/1962, Rv. 253288- 01, in seguito sempre conforme).

3. Il terzo motivo di ricorso.

3.1. Col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 342 c.p.c..

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe erroneamente rigettato l’eccezione, da lui sollevata in grado di appello, di inammissibilità ex art. 342 c.p.c., del gravame proposto dalla F.lli U., perchè la società appellante non aveva “specificamente ed univocamente indicato quali fossero le modifiche richieste alla ricostruzione del fatto”.

3.2. Il motivo è infondato alla luce di quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, e cioè che l’art. 342 c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, va interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, “senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado” (Sez. U., Sentenza n. 27199 del 16/11/2017, Rv. 645991 – 01).

E nel caso di specie l’appello proposto dalla F.lli U. non era affatto generico, nè conteneva quella contraddittorietà denunciata dal ricorrente alle pagine 15-16 del ricorso: conteneva, semplicemente, la formulazione d’una domanda principale e d’una domanda subordinata, tra le quali vi è ovviamente alternatività e non contraddittorietà.

4. Il quarto motivo di ricorso.

4.1. Col quarto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

Deduce che, anche ad ammettere che la somma versata alla F.lli U. sia stata da questa legittimamente trattenuta quale prezzo degli immobili da essa venduti ai figli ed al nipote dell’odierno ricorrente, in ogni caso il prezzo complessivo di tali immobili ammontava a 340.000 Euro, mentre la somma data a mutuo alla F.lli U. fu di Euro 400.000: sicchè residuava comunque un credito restitutorio in suo favore di 60.000 Euro.

4.2. La censura è inammissibile perchè nuova, in quanto non risulta essere stata proposta alcuna domanda in tal senso dinanzi alla Corte d’appello, nè il ricorrente, in violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, precisa in quale atto ed in quali termini tale domanda sia mai stata formulata.

Nè può valere qui il principio invocato dal ricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c. e cioè che, proposta una domanda in sede monitoria per un certo importo, è consentito al giudice accordarlo per un importo minore.

Infatti è certamente esatto che il giudice può accogliere la domanda solo in parte, ma tale principio va pur sempre coordinato con le regole delle impugnazioni.

E nel nostro caso, una volta rigettata l’opposizione a decreto ingiuntivo in primo grado e proposto appello dalla F.lli U., sarebbe stato onere dell’odierno ricorrente introdurre in grado di appello la questione dell’eccedenza del mutuo erogato rispetto prezzo della vendita, e contestare – come ha fatto in questa sede – che erroneamente la F.lli U. aveva incorporato nelle fatture di acquisto degli immobili l’IVA, che invece non era dovuta.

Tale eccezione infatti involge accertamenti di fatto sulla qualità delle parti e sulla causa dell’acquisto, che ovviamente sono preclusi in questa sede.

5. Le spese.

5.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.

5.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna D.O. alla rifusione in favore di F.lli U. s.r.l. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 9.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di D.O. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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