Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4596 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. III, 21/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4596

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5847/2018 proposto da:

PROIM SRL, in persona dell’amministratore unico e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

AURELIA, 137, presso lo studio dell’avvocato SIMONE DE ANGELIS, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PANAMA

12, presso lo studio dell’avvocato GIULIO MICIONI, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7610/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/11/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2016 la società Proim s.r.l. convenne dinanzi al Tribunale di Roma G.M., esponendo che:

-) era proprietaria di un immobile sito a (OMISSIS);

-) la Corte dei conti aveva disposto il sequestro conservativo delle quote sociali della Proim; di conseguenza, l’amministrazione dei beni sociali era stata affidata a vari custodi che si erano succeduti nel tempo, l’ultimo dei quali fu G.M.;

-) quando, all’esito di varie vicende giudiziarie che in questa sede non rilevano, era rientrata in possesso del suddetto immobile, aveva accertato che il custode, esorbitando dai propri poteri, l’aveva concesso in locazione per un canone irrisorio, e che i beni mobili in esso custoditi erano andati dispersi.

Concluse pertanto chiedendo la condanna del convenuto al risarcimento del danno patito in conseguenza dei fatti sopra descritti, quantificati nella somma di 1.200.000 Euro.

2. Con sentenza 19 febbraio 2016 n. 34237. Il Tribunale di Roma rigettò la domanda.

La Corte d’appello di Roma, adita dalla società soccombente, confermò la decisione.

Per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte d’appello ritenne, in primo luogo, che la Proim non avesse interesse a domandare il risarcimento del danno asseritamente causato dalla stipula a canone vile della locazione, poichè il contratto di locazione venne stipulato dal custode nel 2001, e quindi dopo che l’autorità giudiziaria penale, con sentenza 30 marzo 1999 – divenuta irrevocabile il 24 ottobre 2000 aveva disposto la confisca del suddetto immobile.

Con riferimento, poi, alla domanda di risarcimento del danno per la perdita dei beni mobili contenuti nel suddetto villino, la Corte d’appello ritenne che tale domanda non potesse essere accolta “per totale assenza di adeguata allegazione e totale assenza di prova”.

Osservò che la Proim sia in primo che in secondo grado “non ha mai saputo indicare neppure uno dei mobili che a suo dire sono andati perduti. In tutti gli atti difensivi la Proim parla in modo vago e generico di beni mobili, ma non dice mai quali siano”.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dalla Proim s.r.l. con ricorso fondato su un motivo.

Ha resistito con controricorso G.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sia per tardività, sia per difetto di valida procura.

La prima eccezione è infondata.

Il ricorso è stato notificato nel domicilio eletto dall’avvocato della parte vittoriosa risultante dall’epigrafe della Corte d’appello. Da quel domicilio il destinatario risultò trasferito.

La società ricorrente, dopo soli nove giorni dalla prima notifica infruttuosa, ha ripreso il procedimento notificatorio che questa volta è andato a buon fine. La seconda notifica, pertanto, secondo la costante giurisprudenza della Corte, ha sanato con effetto ex tunc il difetto della prima.

1.2. Della seconda eccezione è superfluo occuparsi, in virtù del principio cd. “della ragione più liquida”, dal momento che per quanto si dirà tra breve, il ricorso è manifestamente inammissibile.

2. Il motivo unico di ricorso.

2.1. Con l’unico motivo di ricorso la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2697,2729 c.c. nonchè dell’art. 356 c.p.c..

Sostiene che la corte d’appello avrebbe invertito l’onere della prova, addossandole l’onere di dimostrare l’esistenza dei beni mobili che assume essere andati perduti, ed il loro valore.

Dopo questa affermazione, il ricorso prosegue (pagina 11) con varie valutazioni sul potere del custode di disporre dell’appartamento (che parrebbero estranee rispetto alle altre censure), e aggiunge che comunque l’esistenza di beni mobili nel suddetto appartamento doveva ritenersi “comprovata”.

Conclude osservando che, una volta dimostrata l’esistenza di suddetti beni, il danno si sarebbe dovuto liquidare in via equitativa.

2.2. Il motivo, come accennato, è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.

La Corte d’appello ha infatti ritenuto che la domanda di risarcimento del danno per la vendita dei beni mobili fosse inammissibile per “difetto di totale allegazione”, oltre che di prova, e tale affermazione non viene minimamente censurata dalla ricorrente.

Superfluo è, pertanto, stabilire se la Corte d’appello abbia davvero invertito l’onere della prova o violato le regole sulla liquidazione equitativa del danno, dal momento che la ritenuta deficitaria allegazione dei fatti da parte della società attrice costituisce una ratio decidendi non impugnata, e di per sè idonea a sorreggere la motivazione della sentenza d’appello.

3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

la Corte di Cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna Proim s.r.l. alla rifusione in favore di G.M. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 18.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di Proim s.r.l. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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