Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4593 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4593 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 23891-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAllINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
contro

97
MURETTI MAURIZIO;

– intimato avverso la sentenza n. 549/2007 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 26/02/2014

è›,-; CAG-t.i

V

EZIONE

A- it;

DISTACCATA

DI

SASSARI,

depositata

il

04/10/2007 r.g.n. 358/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;

LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 4 ottobre 2007 la Corte d’appello di Cagliari sezione
distaccata di Sassari, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Sassari del 17 gennaio 2006 ha dichiarato la nullità del termine apposto al
contratto di lavoro intercorso tra Muretti Maurizio e Poste Italiane dal l°

ritenendo che l’inerzia del lavoratore per quattro anni dopo la conclusione
del rapporto non valga a far ritenere risolto il rapporto per mutuo consenso;
inoltre la stessa Corte ha ritenuto che esso è stato stipulato oltre la
scadenza del termine finale di vigenza dell’accordo aziendale del 16
gennaio 1998, da considerare ultima fonte normativa che, nel periodo
considerato, ha previsto la deroga al generale principio del rapporto di
lavoro a tempo indeterminato. La Corte territoriale ha inoltre considerato
che il successivo CCNL dell’Il gennaio 2001, che pure ha previsto analoga
possibilità di apposizione di termine al contratto di lavoro, non tossa
ritenersi meramente ricognitivo ma sia innovativo e conseguentemente
applicabile solo per il futuro. La Corte d’appello ha pure considerato che il
datore di lavoro non ha provato la presenza di lavoratori assenti per ferie
nell’ufficio ove ha prestato servizio il ricorrente, per tutta la durata del
contratto di lavoro a termine in questione. In ordine al risarcimento del
danno la Corte sarda ha considerato che le retribuzioni debbano essere
riconosciute al lavoratore dalla sua formale messa a disposizione delle
proprie energie lavorative, momento da individuarsi con la richiesta di
conciliazione.
Poste Italiane propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato
a sei motivi.
Il Muretti è rimasto intimato.
MOTIVI DELLA DECISIONE

giugno al 30 settembre 1998. La Corte territoriale ha motivato tale sentenza

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norme
di diritto in relazione agli artt. 1372, 1° comma, 1175, 1375, 2697, 1427,
1431 cod. civ. e 100 cod. proc. civ. ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In
particolare si sostiene che il rapporto si sarebbe comunque risolto per
mutuo consenso stante anche la distanza temporale fra la sua cessazione e
conciliazione.
Con il secondo motivo si assume violazione a falsa applicazione dell’art.
23 della legge 56 del 1987, dell’art. 8 CCM, 26 novembre 1994, nonché
degli accordi sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27
aprile 1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001
in connessione con gli artt. 1362 e seguenti cod. civ. ex art. 360, n. 3 cod.
proc. civ. In particolare si assume che da tutta la normativa contrattuale
citata si evincerebbe la precisa volontà delle parti di non prevedere limiti
temporali alla possibilità di ricorso ai contratti a termine.
Con il terzo motivo si lamenta omessa ed insufficiente motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc.
civ. con riferimento al ragionamento del giudice dell’appello relativo
all’asserito limite temporale alla previsione della possibilità di ricorso ai
contratti a termine.
Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1
e 2 della legge n. 230 del 1962, nonché dell’art. 23 della legge n. 56 del
1987 ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che la sentenza
impugnata avrebbe erroneamente affermato che il potere consentito
dall’art. 8 del CCNL di categoria, con i relativi accordi integrativi, in
attuazione dell’art. 23 della legge 56 del 1987, di ricorrere ai contratti a
tempo determinato, sarebbe soggetto a limiti temporali.

la richiesta del lavoratore di esperire il tentativo obbligatorio di

Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1,
2° comma lett. b) e art. 3 della legge 230 del 1962, dell’art. 8 CCNL 26
novembre 1994, dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987 e dell’art. 1362 cod.
civ., e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia ex art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. In
termine per la sostituzione di lavoratori in ferie.
Con il sesto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di norma di
diritto in relazione agli artt. 1217 e 1233 cod. civ. ex art. 360, n. 3 cod.
proc. civ. con riferimento al riconoscimento delle retribuzioni dalla data di
espletamento del tentativo di conciliazione che non costituirebbe reale
messa a disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Va, infatti, ribadito, in conformità all’insegnamento di questa Suprema
Corte, che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della
sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul
presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale
ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per
mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di
tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché
del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative
– una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre
definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del
significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al
giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di
legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. ad es. Cass.
11-11- 2009 n. 23872, Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n.
20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11-12-2001 n. 15621). Tale

particolare si sostiene che sarebbe legittimo il ricorso del contratto a

principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre, che, come
pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la
risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali
possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. ad es. Cass. 2-12-2002
ritenuto nel caso non provate, alla luce dell’impossibilità di arguirle solo dal
decorso del tempo maturatosi prima della proposizione del ricorso, e tenuto
conto, fra l’altro, che la intimata, anche dopo la cessazione del rapporto di
lavoro, ha continuato ad essere iscritta in apposite liste cui la società
ricorrente faceva ricorso per l’assunzione di personale a tempo determinato.
Il secondo, terzo e quarto motivo possono esaminarsi congiuntamente
riferendosi tutti alla scadenza della previsione contrattuale della possibilità
di apposizione del termine al contratto di lavoro. Osserva il Collegio che la
Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il
primo dei contratti a termine per cui è giudizio é stato stipulato, per
esigenze eccezionali ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato
dall’accordo aziendale 25 settembre 1997, in data successiva al 30 aprile
1998 (e anteriormente alla operatività del CCNL del 2001), in epoca cioè
in cui “era venuta meno la contrattazione autorizzatoria”. Tale
considerazione, in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da
questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL
del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001), è sufficiente a sostenere l’impugnata
decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de

guo.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato
che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56
del 1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a
quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del
legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle

h

n. 17070). Circostanze che, con corretta motivazione, la corte territoriale ha

necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace
salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione
della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli
impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di
individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze
lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali
all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a
tempo determinato” (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, Cass. 20 aprile 2006
n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). “Ne
risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti
collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle
previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa
delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto
2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità
della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto
2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n.
2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine
di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in

aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei

corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra
Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.). Tanto basta per respingere i motivi di ricorso in esame
relativi tutti al limite temporale a cui sono subordinate le assunzioni a
termini delle Poste Italiane, così confermandosi la declaratoria di nullità del
termine apposto al contratto de quo.
Il quinto motivo è infondato. La Corte territoriale ha infatti motivato
l’illegittimità dell’apposizione del termine non già escludendo la possibilità
del ricorso al contratto a termine in caso di sostituzione di lavoratori assenti
per ferie, ma per la mancanza della prova di tale sostituzione, cioè per
difetto della prova della sussistenza stessa di lavoratori assenti per ferie
nell’area interessata dal rapporto a termine per cui è causa. Il motivo, in tal
senso, è irrilevante.
Il sesto motivo è inammissibile per l’inidoneità del quesito.
La ricorrente formula il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se per il
principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore — a seguito
dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine
stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di
riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di
lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della
disciplina di cui agli arti. 1206 e segg. cod. civ.” Tale quesito, oltre che in
gran parte inconferente rispetto al motivo (che comprende anche
l’eventuale aliunde perceptum), risulta del tutto generico e astratto,

C

le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450;

mancando qualsiasi riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso
dai giudici nel caso concreto esaminato (in tal senso, sullo stesso quesito,
cfr. Cass. n.ri 329, 330 e 331 tutte del 10 gennaio 2011).
Così risultato inammissibile il sesto motivo, riguardante le conseguenze
modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24
novembre 2010.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio
di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia
retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto
di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il
cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8
maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe,
anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre
ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua
propria (v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Nulla si dispone sulle spese soccombendo l’unica parte costituita.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2014.

economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche

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