Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4593 del 22/02/2017

Cassazione civile, sez. trib., 22/02/2017, (ud. 01/02/2017, dep.22/02/2017),  n. 4593

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1889/2013 proposto da:

P.M., I.C., I.D., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA NIZZA 92, presso lo studio dell’avvocato

COSIMO DAMIANO FABIO MASTROROSA, rappresentati difesi dall’avvocato

PIETRO MARTIRE, giusta delega in calce;

– ricorrenti –

contro

EQUITALIA SUD SPA, in persona del Procuratore Speciale, elettivamente

domiciliato in ROMA PIAZZA DELLA LIBERTA’ 10, presso lo studio

dell’avvocato GEMMA PATERNOSTRO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ELENA DEL VECCHIO, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 586/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 16/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO;

udito per i ricorrenti l’Avvocato MASTROROSA per delega dell’Avvocato

MARTIRE che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato DEL VECCHIO che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La corte d’appello di Bari confermava la sentenza pronunciata dal tribunale di Trani, sezione staccata di Canosa di Puglia, con cui era stata rigettata la domanda proposta da I.V., P.M., I.D., I.C. e I.S. volta alla declaratoria di illegittimità dell’iscrizione ipotecaria eseguita da Equitalia ETR S.p.A. su immobili di proprietà di P.M. costituiti in fondo patrimoniale con atto del (OMISSIS).

2. Avverso la sentenza della corte d’appello di Bari propongono ricorso per cassazione P.M., I.D. e I.C. affidato a quattro motivi. Equitalia Sud S.p.A., subentrata per atto di fusione per incorporazione ad Equitalia ETR S.p.A., si è costituita in giudizio con controricorso.

3. Con il primo motivo i ricorrenti deducono omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Sostengono che i giudici di appello hanno dichiarato che i redditi per i quali era stato omesso il versamento dei relativi tributi provenivano da un’impresa familiare e che, per tale ragione, gli interessi della famiglia e dell’impresa erano coincidenti in ragione della destinazione degli utili alle esigenze familiari. Sennonchè non era emerso da alcun atto processuale che i redditi tassati fossero originati da un’impresa familiare e i giudici d’appello hanno omesso di valutare le risultanze processuali rinvenienti dai documenti del fascicolo di appello; in particolare, dal verbale della Guardia di Finanza si evinceva che non vi era relazione tra il fatto generatore dell’obbligazione ed i bisogni della famiglia perchè l’unico fatto generatore dell’obbligazione era la norma di cui alla L. n. 114 del 1977, art. 17, che prevedeva la solidarietà in caso di dichiarazione congiunta presentata dai coniugi. In realtà P.M. ed il marito I.V. erano separati dal 1991 e l’obbligazione della P. derivava dal solo fatto di aver sottoscritto una dichiarazione congiunta e non già dalla produzione di utili che avrebbero potuto essere utilizzati per esigenze familiari.

4. Con il secondo motivo deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 170 c.c., poichè nel caso di specie il debito di I.V. nei confronti dello Stato era derivato da attività illecite poste in essere nella qualità di amministratore di fatto della società S. Immobiliare Srl quando egli era già separato dalla moglie, sicchè i redditi da lui prodotti non erano mai stati ricondotti nell’alveo familiare. Dunque non si poteva ritenere che il debito tributario fosse stato contratto per il soddisfacimento dei bisogni familiari. Peraltro il fatto generatore dell’obbligazione, nel caso di specie, non era la produzione del reddito ma la solidarietà prevista per legge in caso di dichiarazione congiunta.

5. Con il terzo motivo deducono violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 345 c.p.c.. Sostengono che la Corte d’appello ha errato nel ritenere che fosse inammissibile la produzione documentale nel giudizio di appello poichè era applicabile l’art. 345 c.p.c., nella formulazione antecedente alla L. n. 68 del 2009, che prevedeva l’ammissibilità della produzione di documenti nuovi purchè ritenuta indispensabile alla decisione del giudizio.

6. Con il quarto motivo deducono omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto i giudici di appello non si sono pronunciati sui motivi formulati in via gradata ritenendoli assorbiti laddove, invece, avrebbero dovuto considerare che l’agenzia delle entrate era a conoscenza della natura del debito contratto per esigenze estranee alla famiglia poichè ciò si evinceva dalle sentenze prodotte; inoltre l’agenzia delle entrate era perfettamente a conoscenza delle motivazioni sottese all’accertamento del debito tributario in capo alla società Immobiliare S. Srl e alla ripercussione in capo all’amministratore socio della debenza delle somme sicchè non poteva non conoscere la natura della pretesa tributaria e l’attività speculativa da cui scaturiva. Inoltre buona parte dei debiti esattoriali per cui era stata iscritta ipoteca si riferivano ad interessi moratori e sanzioni che dovevano necessariamente rimanere a carico del soggetto che aveva commesso il fatto giuridico.

7. In ordine al primo ed al terzo motivo di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente in quanto sottendono la medesima questione, osserva la Corte che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, non è applicabile nel caso di specie, giusta la noma di cui all’art. 54 citato che prevede che l’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, si applichi alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto.

Ciò posto, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 19150 del 28/09/2016).

Al lume di tale principio i motivi di ricorso sono infondati in quanto il fatto che i giudici di appello non abbiano esaminato i documenti da cui si evinceva che il debito tributario derivava da evasione fiscale commessa da I.V. nell’esercizio dell’impresa non ha carattere decisivo poichè non consente di ritenere che i giudici stessi sarebbero pervenuti ad un diverso giudizio di merito. Ciò in quanto, come già affermato dalla Corte di legittimità (Cass. n. 1652 del 29/01/2016) l’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, sicchè l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero – nell’ipotesi contraria – purchè il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata. E’ stato, poi, affermato che il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicchè anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari (nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’univoco sviluppo della famiglia) ovvero per il potenziamento della di lui capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (Cass. n. 3738 del 24/02/2015). Dunque il fatto che I.V. avesse omesso di dichiarare utili di impresa ed avesse, così, percepito un maggior reddito dalla propria attività in quanto non assoggettato al prelievo fiscale non escludeva la destinazione del reddito così prodotto al soddisfacimento dei bisogni familiari. Va, poi, ribadito il principio affermato dalla Corte di legittimità per il quale l’onere della prova dei presupposti di applicabilità dell’art. 170 c.c., ed in particolare, per quanto rileva in questa sede, che il debito per cui si procede sia stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia e che il creditore sia a conoscenza di tale estraneità, grava sulla parte che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale (Cass. n. 1652 del 29/01/2016; Cass. n. 4011 del 19/02/2013; Cass. n. 12730 del 30/05/2007; Cass. n. 12998 del 31/05/2006). Dunque da un lato il maggior reddito conseguito all’evasione ben avrebbe potuto essere destinato al soddisfacimento dei bisogni familiari, dall’altro sarebbe stato onere dei ricorrenti provare che il debito verso il fisco era stato determinato da scopi voluttuari estranei ai bisogni della famiglia.

8. Per le stesse ragioni testè esposte è infondato anche il secondo motivo di ricorso in quanto il fatto che I.V. fosse separato dalla moglie nel periodo in cui ha contratto il debito tributario non esclude la relazione tra il fatto generatore del debito ed i bisogni della famiglia poichè egli era comunque tenuto ad adempiere all’obbligo di mantenimento previsto dagli artt. 147 e 148 c.c.. Inoltre i coniugi, nel presentare la dichiarazione congiunta per il periodo di imposta in cui è maturato il debito nei confronti del fisco, hanno assunto responsabilità solidale, a norma della L. n. 114 del 1977, in relazione agli obblighi da essa derivanti.

9. Il quarto motivo è infondato sia perchè l’onere della prova che l’agenzia delle entrate fosse a conoscenza della natura del debito contratto per esigenze estranee alla famiglia incombeva sui ricorrenti sia perchè il debito per interessi e sanzioni segue la sorte del debito capitale in quanto accessorio.

Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere all’agenzia delle entrate e le spese processuali che liquida in Euro 7.000,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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