Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4592 del 26/02/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 4592 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 23808-2008 proposto da:
MANDAGLIO

CLAUDIO

C.F.

MNDCLD84A28F205L,

già

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LEONE IV 38,
presso lo studio dell’avvocato CARUSO ANTONIO,
rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO
SIRACUSA, giusta delega in atti e da ultimo
2014
96

domiciliato presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA
DI CASSAZIONE;
– ricorrente contro

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona

Data pubblicazione: 26/02/2014

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA G. MAllINI

27,

presso lo

STUDIO TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e difesa
dall’avvocato SALVATORE TRIFIRO’, giusta delega in
atti;

avverso la sentenza n.

904/2007 della CORTE D’APPELLO

di MILANO, depositata il 11/10/2007 R.G.N. 48/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

09/01/2014

dal Consigliere Dott. GIULIO

MAISANO;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega TRIFIRO’
SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE/che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

– controricorrente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’ 11 ottobre 2007 la Corte d’appello di Milano ha
confermato la sentenza deliribunale di Milano del 30 novembre 2005 con
la quale era stata rigettata la domanda proposta da Mandaglio Claudio )
intesa ad ottenere la dichiarazione della nullità del termine apposto al
sensi dell’art. 1 d.lgs. n. 368 del 2001. La Corte territoriale ha motivato tale
pronuncia affermando che il contratto in questione era legittimo essendo
stato stipulato per ragioni sostituive di personale assente per le quali la
legga non prevede la specificazione dei nominativi del personale sostituito;
in particolare la dipendente Stabile sostituita, era stata assegnata solo
provvisoriamente ai servizi interni; d’altra parte il numero dei dipendenti
assunti a termine non era comunque superiore a quello del personale
assente.
Il Mandaglio propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato
a sei motivi.
Resiste Poste Italiane con controricorso,

entrambe te parti hanno presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1
del d.lgs. n. 368 del 2001 ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si
deduce che il contratto in questione non risponderebbe ai requisiti di
specificità delle ragioni sostitutive che consentono l’apposizione del
termine. In particolare tali ragioni dovrebbero essere conosciute e
specificate ex ante e non nel corso del rapporto e dimostrabili solo ex post.
Con il secondo motivo si assume insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un punto decisivo della controversia ex art. 360, n. 5 cod.

contratto di lavoro stipulato con Poste Italiane s.p.a. il 15 novembre 2004 ai

proc. civ. In particolare si denuncia che in modo contraddittorio la sentenza
impugnata, dopo avere enunciato il principio della necessità delle ragioni
sostitutive dell’assunzione a termine, afferma poi che non sarebbe
necessaria l’indicazione dei nominativi del personale sostituito, in tal modo
affermando l’indeterminata possibilità di assunzioni a termine stante la
sostituzioni.
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.
115 e 116 cod. proc. civ. nonché degli artt. 345, 416 e 420, 5° comma cod.
proc. civ. ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si assume che la
prova assunta non avrebbe confermato l’assenza per ferie del personale
presso il reparto a cui è stato assegnato il ricorrente o, comunque, Poste
Italiane non ha fornito la prova della proporzionalità del personale assunto
a termine rispetto a quello assente.
Con il quarto motivo si deduce sulla lamentata nullità dell’intero contratto
di lavoro ai sensi degli artt. 1418, 1419, 1457 e 2126 cod. civ. Sebbene le
sentenze di merito non abbiano affrontato l’argomento, il ricorrente deduce
che la nullità del termine non travolgerebbe l’intero contratto che si
dovrebbe convertire, quindi, in contratto a tempo indeterminato.
Con il quinto motivo si deduce assenza di violazione degli artt. 2099 e
2697 cod. civ. ed il diritto al risarcimento del danno ex artt. 1337, 1334 e
2043 cod. civ. In particolare si afferma il diritto del ricorrente a tutte le
retribuzioni maturate dal momento dellA ma in mura ed al Rucemiyu
trattamento retributivo contrattuale.
Con il sesto motivo si deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis

della legge n. 103 del 2008 che limita il risarcimento del danno ad
un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di
sei mensilità dell’ultima retribuzione.

costante concreta eventualità di assenze nella vasta area interessata alle

Procedendo all’esame dei primi tre motivi in unico contesto in ragione del
collegamento tra di essi esistente, deve premettersi che il D.Lgs. n. 368 del
2001, recante l’attuazione della Direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal
CES, costituisce la nuova ed esclusiva fonte regolatrice del contratto di
successiva legislazione integrativa. Il preambolo della citata Direttiva
1999/70, premesso che con la risoluzione del 9 febbraio 1999 il Consiglio
dell’Unione europea ha invitato le parti sociali a tutti i livelli “a negoziare
accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme
flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e
di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza,
evidenzia che l’accordo quadro in questione stabilisce principi generali e
requisiti minimi con l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro a tempo
determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione,
nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti
dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo
determinato”. Per tale ragione, accogliendo la richiesta delle parti sociali
stipulanti e su proposta della Commissione europea, il Consiglio a norma
dell’art. 4 dell’accordo sulla politica sociale – ora inserito nel trattato
istitutivo della Comunità europea – ha emanato la direttiva in questione,
imponendo agli Stati membri di conformarsi ad essa, adottando “tutte le
prescrizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati
prescritti” (art. 2). Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo
comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368 del 2001, il quale nel testo
originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1, comma
1, prevede, al comma 1, che “è consentita l’apposizione di un termine alla
durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” e, al comma 2, che

lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. n. 230 del 1962 e della

”l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o
indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al
comma 7″. È stata altresì prevista, contestualmente all’entrata in vigore del
citato D.Lgs. (24 ottobre 2001), l’abrogazione della L. n. 230 del 1962,
della L. n. 79 del 1983, art. 8 bis, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le
Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono
del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la
tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro già oggetto di
ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983
e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato
per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte
di “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno
un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato
obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in
esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo
adottate. Nel caso di specie i motivi di ricorso impongono di stabilire come
debba essere configurato sul piano giuridico il concetto di specificazione
con riferimento all’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia la causale
dell’apposizione del termine in ragioni di carattere sostitutivo.
Come già rilevato, l’onere di specificazione della causale nell’atto scritto
costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro
di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una
vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate.
Tale onere ha l’evidente scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto
per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla
legge, imponendo la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione

4

disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).

addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto, tuttavia,
proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il
concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più
standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il
contratto viene ad essere calato. Il concetto di specificità in questione
giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e
ragionevolezza.
Con riferimento specifico alle ragioni di carattere sostitutivo, pertanto, il
contratto a termine se in una situazione aziendale elementare è
configurabile come strumento idoneo a consentire la sostituzione di un
singolo lavoratore addetto a specifica e ben determinata mansione, allo
stesso modo in una situazione aziendale complessa è con figurabile come
strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la
sostituzione sia riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione
produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta. In quest’ultimo caso,
il requisito della specificità può ritenersi soddisfatto non tanto con
l’indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti, quanto
con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori
assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione
aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si sono realizzate
per il periodo dell’assunzione.
Questa Corte non ignora la sentenza della Corte costituzionale n. 214 del
2009, la quale, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità
del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, commi 1 e 11 afferma che l’onere di
specificazione previsto dal comma 2 dello stesso art. 1 “impone che, tutte le
volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare
ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del
lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione”.

risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede di controllo

Sul problema degli effetti delle sentenze interpretative di rigetto della Corte
costituzionale sull’interpretazione delle leggi da parte del giudice ordinario,
questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 9.1.04 n. 166) ha affermato che, ove
il giudice delle leggi, nel ritenere non infondato il denunciato vizio di
incostituzionalità di una certa disposizione nella interpretazione non
interpretazione della stessa disposizione conforme a Costituzione, tale
interpretazione adeguatrice non interferisce con il controllo di legittimità
rimesso alla Corte di cassazione ed il suo effetto vincolante per i giudici
ordinali e speciali, non esclusa la Corte di Cassazione, riguarda soltanto il
divieto di accogliere quella interpretazione che la Corte costituzionale ha
ritenuto, sia pure con una pronuncia di infondatezza della questione di
legittimità costituzionale sottoposta al suo esame, viziata.
Nel caso di specie il passo della sentenza della Corte costituzionale sopra
citato deve essere letto nel contesto argomentativo in cui esso è stato
formulato. La sentenza, subito dopo il passo estrapolato, prosegue
precisando che “considerato che per ragioni sostitutive si debbono
intendere motivi connessi con l’esigenza di sostituire uno o più lavoratori,
la specificazione di tali motivi implica necessariamente anche l’indicazione
del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro
sostituzione; solamente in questa maniera, infatti, l’onere che il D.Lgs. n.
368 del 2001, art. 1, comma 2 impone alle parti che intendano stipulare un
contratto di lavoro subordinato a tempo determinato può realizzare la
propria finalità, che è quella di assicurare la trasparenza e la veridicità della
causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel
corso del rapporto”. Tale precisazione sta a indicare che, nella illimitata
casistica che offre la realtà concreta delle fattispecie aziendali, accanto a
fattispecie elementari in cui è possibile individuare fisicamente il lavoratore
o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa

6

implausibile fornitane dal giudice del merito, indichi una possibile, diversa

indicazione non è possibile e “l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori”
deve passare necessariamente attraverso la “specificazione dei motivi”,
mediante l’indicazione di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle
persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la
norma.

interpretativa offerta da questo Collegio è pienamente coerente con quella
offerta dalla sentenza in questione che, per l’autorevolezza della fonte da
cui proviene, costituisce un contributo ermeneutico della massima
importanza.
Dunque, per concludere sul punto, l’apposizione del termine per “ragioni
sostitutive” è legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire
lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di
specificazione delle ragioni stesse risulti integrata dall’indicazione di
elementi ulteriori (quali, l’ambito territoriale i riferimenti, il luogo della
prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto
degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di
determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati
nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la
sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato. Nel caso di
specie appare congrua la parametrazione effettuata dal giudice di merito
che ha ritenuto esistente il requisito della specificità con l’indicazione
nell’atto scritto della causale sostitutiva, del termine iniziale e finale del
rapporto, del luogo di svolgimento della prestazione a termine,
dell’inquadramento e delle mansioni del personale da sostituire. In questo
caso appare, infatti, rispettato quel criterio di elasticità che la nuova
formulazione della norma di legge impone, pur nell’ambito di una
parametrazione concettuale con riferimento all’ambito territoriale di
riferimento, al luogo della prestazione lavorativa, alle mansioni del

Intesa in questi termini la sentenza della Corte costituzionale, l’opzione

lavoratore (o dei lavoratori) da sostituire e, ove necessario in relazione alla
situazione aziendale descritta, il diritto del lavoratore sostituito alla
conservazione del posto.
Quanto al riscontro fattuale del rispetto della ragione sostitutiva
(specificamente indicata), in relazione alla sopra effettuata configurazione
articolato l’accertamento effettuato dal giudice di merito, che con
riferimento all’ambito territoriale dell’ufficio interessato, ha accertato il
numero dei contratti a termine stipulati in ciascuno dei mesi di durata del
contratto a termine e lo ha confrontato con il numero delle giornate di
assenza per malattia, infortunio, ferie, ecc. del personale a tempo
indeterminato, ravvisando congruo il numero dei contratti stipulati per
esigenze sostitutive (Cass. 26 gennaio 2010 n. 1577)
Tale accertamento ha contenuto esclusivamente di merito e, in quanto
correttamente motivato, è in questa sede incensurabile. I primi tre motivi
sono, pertanto, infondati e debbono essere rigettati.
Gli altri tre motivi sono assorbiti presupponendo l’accoglimento dei primi.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese di giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali liquidate in € 100,00 per esborsi ed
compensi professionali oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2014.

e

3.500,00 per

delle condizioni legittimanti il contratto a termine, appare logicamente

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA