Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4591 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 4591 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA

sul ricorso 19512-2010 proposto da:
MINISTERO DELLA SANITA’ C.F. 00811720580, in persona
del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso
dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia ope legis, in ROMA, alla VIA DEI
PORTOGHESI n. 12;
– ricorrente –

2013
contro

3647

MANGIALARDO

LUCIA

C.F.

MNGLCU79S64C136Z,

I.

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 2,
presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PLACIDI,

Data pubblicazione: 26/02/2014

rappresentata e difesa dall’avvocato LUSENTI GIORGIO,
giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 149/2010 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 10/05/2010 R.G.N. 369/2008;

udienza del 11/12/2013 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato MOSCA PASQUALE per delega LUSENTI
GIORGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha conCIUSO
s_sr il Ligetto

dl

fienrso,

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza n. 149/10, decidendo
sull’impugnazione proposta dal Ministero della salute nei confronti di Mangialardo
Lucia, respingeva l’appello principale proposto dal suddetto Ministero in ordine alla
sentenza del Tribunale di Bologna n. 259/07 che confermava quanto alla condanna di
tale Ministero alla corresponsione alla kiangiajardo dell’indennizzo di cui alla legge n.
210 del 1992. Disponeva la separazione degli atti relativi all’appello incidentale e alla
relativa domanda risarcitoria ex art. 2043proposto dalla Mangialardo, trattandosi di
controversia rientrante nei casi di cui all’art. 442 cpc.
2. Per la cassazione della sentenza d’appello ricorre il Ministero della salute,
prospettando motivi di ricorso.
3. Resiste la Mangialardo con controricorso e memoria depositata in prossimità
dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Occorre premettere che Mangialardo Lucia adiva il Tribunale chiedendo, per
quanto qui d’interesse, la condanna del Ministero della salute al pagamento
dell’indennizzo di cui all’art. I della legge n. 210 del 1992. Il Tribunale, ritenuta la
legittimazione passiva del Ministero, all’esito della CTU, condannava lo stesso a
corrispondere il suddetto indennizzo per infermità post trasfusionale ascrivibile alla
settima categoria della tabella A allegata al dPR n. 834 del 1981.
La Corte d’Appello confermava la legittimazione passiva del Ministero e
riteneva che, nella specie, la domanda era stata proposta nell’ordinario termine di
prescrizione, che decorre dal momento in cui l’avente diritto ha avuto conoscenza del
danno, non trovando applicazione la decadenza triennale di cui alla legge n. 238 del
1997.
Il danno in questione era stato diagnosticato per la prima volta nell’anno 1995,
con la conseguenza che l’ordinario termine di prescrizione non si era compiuto, atteso
che la domanda in via amministrativa era stata proposta nell’anno 2002, alla quale
faceva seguito nel dicembre 2004, la presentazione del ricorso giudiziale.
2. Tanto premesso può passarsi all’esame dei motivi di ricorso.
3. Con il primo motivo di ricorso il Ministero ha dedotto violazione o falsa
applicazione degli artt. 7, 114 e 123 del d.lgs. n. 112 del 1998, degli artt. 2 e 3 del
d.P.C.M. 26 maggio 2000, degli artt. 1, 2 e 4 del d.P.C.M. 8 gennaio 2002, in relazione
all’art. 360, n. 3, cpc.
Assume il Ministero che sussisterebbe il proprio difetto di legittimazione passiva
atteso che l’istanza in sede amministrativa veniva presentata in epoca successiva al 21
febbraio 2001, data dalla quale l’esercizio delle funzioni in materia era transitata alle
Regioni.
3.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.
Come questa Corte, a Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 12538 del 2011), ha già
avuto modo di affermare nelle controversie aventi ad oggetto l’indennizzo previsto dalla
legge 25 febbraio 1992, n. 210, in favore dei soggetti che hanno riportato danni
irreversibili a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di
emoderivati e da questi ultimi proposte per l’accertamento del diritto al beneficio
sussiste la legittimazione passiva del Ministero della salute.
Ed infatti, come chiarito nella suddetta sentenza: a) le disposizioni sul
contenzioso contenute nel D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e nel D.P.C.M. 24 luglio 2003
riguardano solo l’onere dello stesso, ma da esse non si ricava anche un regola
processuale sulla legittimazione passiva, ne’ potrebbe ricavarsi per inidoneità della fonte
a disciplinare tale aspetto pur in un mutato contesto costituzionale di riparto delle
competenze legislative tra Stato e Regione,che ora assegna alle regioni la competenza
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residuale in materia di assistenza sociale; b) la legge n. 210 del 1992, art. 5 continua ad
assegnare al Ministro della salute la competenza a decidere il ricorso amministrativo
avverso la valutazione della commissione medico-ospedaliera; c) questa competenza è
stata fatta salva dal d.lgs. n. 112 del 1998, art. 123 e sopravvive anche nel mutato
contesto di trasferimento alle regioni di compiti e funzioni in tema di indennizzo (ad
opera dei citati D.P.C.M. 8 gennaio 2002 e 24 luglio 2003) e di attribuzione alle regioni
della competenza legislativa residuale in materia di assistenza pubblica (ad opera
dell’art. 117 Cost., comma 4, riformato).
4. Con il secondo motivo di ricorso il Ministero prospetta la violazione dell’art.
3, comma 1, della legge n. 210 del 1992, come successivamente modificato. Espone il
ricorrente che la domanda amministrativa intervenuta il 29 febbraio 2002 sarebbe
tardiva in quanto intervenuta dopo il termine di decadenza triennale introdotto, per la
prima volta dall’art. 6, comma 4, del d.l. n. 344 del 1996, entrato in vigore il 3 luglio
1996, dies a qua dl termine medesimo. Non potrebbe, infatti, più ritenersi sussistente
l’ordinario termine decennale di prescrizione, essendo stato previsto uno specifico
termine di decadenza.
4.1. Il motivo è fondato e deve essere accolto, in ragione di quanto già affermato
da questa Corte con la sentenza n. 25746 del 2009, alla quale hanno dato continuità la
sentenze 1635 del 2012 e n. 17131 del 2013, dopo che Cass., ordinanza n. 6923 del
2010, affermava, così come Cass., sentenza n. 6500 del 2003, l’applicazione del
termine ordinario di prescrizione.
L’art. 3, comma 1, della legge n. 230 del 1992, come da ultimo sostituito
dall’art. 1, della legge 25 luglio 1997, n. 238, stabilisce, tra l’altro, che i soggetti
interessati ad ottenere l’indennizzo di cui all’articolo 1, comma 1, presentano alla USL
competente le relative domande, indirizzate al Ministro della sanità, entro il termine
perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti post-trasfusionali.
Questa Corte, con le sentenze da ultimo citata ha ritenuto che il termine triennale
di decadenza per il conseguimento della prestazione indennitaria per epatite
postrasfusionale contratta in epoca antecedente all’entrata in vigore della legge n. 238
del 1997 – che ha esteso il termine decadenziale già previsto per i soggetti danneggiati
da vaccinazioni obbligatorie – decorre dal 28 luglio 1997, data di entrata in vigore della
nuova disciplina, dovendosi ritenere, in conformità ai principi generali dell’ordinamento
in materia di termini, che, ove una modifica normativa introduca un termine di
decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applichi anche ai diritti sorti
anteriormente, ma con decorrenza dall’entrata in vigore della modifica legislativa.
Devono, quindi, essere disattese le difese della Mangialardo, che sostiene che
per lei come per tutti coloro che hanno contratto la malattia prima della entrata in vigore
della legge n. 238 del 1997 non vale il termine di decadenza triennale, ma l’ordinario
termine di prescrizione decennale.
In presenza di una modifica normativa che introduce un termine di decadenza
che prima non sussisteva, la nuova disciplina entra in vigore con efficacia generale,
quindi anche per chi già si trovava nella situazione richiesta dalla legge per far valere il
diritto ora sottoposto a decadenza. Per costoro non si determina una situazione giuridica
diversa, se non su di un punto specifico: il termine naturalmente decorre dal momento
della entrata in vigore della legge che lo ha introdotto.
Si tratta di un principio generale dell’ordinamento, che trova riscontro nell’art.
252 disp. att. c.c.
Con questa norma il legislatore sancisce che quando per l’esercizio di un diritto
(ovvero per la prescrizione o per l’usucapione) il codice stabilisce un termine più breve
di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei
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diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usucapioni in corso, ma con decorrenza
dalla entrata in vigore della nuova disciplina.
La decadenza è una forma di sottoposizione dell’esercizio di un diritto ad un
termine.
Quindi sicuramente il principio vale anche con riferimento a questo istituto. Così
come non vi sono ragioni per distinguere il caso in cui la nuova legge riduca il termine
per l’esercizio di un diritto, rispetto al caso in cui lo introduca laddove prima non vi era
(nel caso in esame si riteneva che operasse la prescrizione ordinaria, mentre la modifica
normativa ha previsto la decadenza triennale).
In conclusione, se una legge introduce o riduce la durata di un termine per far
valere un diritto, la nuova normativa si applica anche a chi era già titolare del diritto,
con la sola particolarità che in quel caso la decorrenza opera dal momento della entrata
in vigore della modifica legislativa.
5. La sentenza della Corte di Appello di Bologna deve essere cassata in relazione
al secondo motivo di ricorso accolto e decidendo nel merito, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la domanda introduttiva del giudizio deve essere
rigettata, atteso che la domanda amministrativa veniva proposta nel 2002, una volta
decorso il termine triennale di decadenza, computato secondo i principi sopra
richiamati, a partire dal 28 luglio 1997.
6. La complessità delle questioni esaminate fanno ritenere sussistenti gravi ed
eccezionali ragioni per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio.
PQM
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo. Cassa la
sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito rigetta la
domanda introduttiva del giudizio. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma l’ 11 dicembre 2013.

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