Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4591 del 25/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 25/02/2010), n.4591

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ETSCHTAL SERVICE S.R.L. in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BASSANO DEL GRAPPA 24

presso lo studio dell’Avvocato COSTA MICHELE, che la rappresenta e

difende unitamente all’Avvocato MULSER ALFRED giusta delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA GENERALE DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI

BOLZANO, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 12/2004 della COMMISSIONE TRIBUTARIA 2^ GRADO

di BOLZANO, depositata il 02/12/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/01/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La controversia ha ad oggetto l’impugnativa proposta dalla società contribuente sopra indicata avverso l’avviso di rettifica concernente l’IRPEF, l’ILOR e relative sanzioni per il periodo dal 1^ gennaio 1995 al 30.6.1996. La C.T.P. respingeva il ricorso; la C.T.R., invece, accoglieva parzialmente l’appello della società confermando i rilievi contenuti nell’atto impositivo per: a. non detraibilità delle spese di trasporto delle perdite su cambi, relativamente ai rapporti con la Maico S.r.l. (da considerarsi reali, in difetto di prova certa della loro fittizietà); b. imputazione alla società delle operazioni apparentemente concluse tramite gli intermediari, stanti le prove gravi, precise e concordanti di spostamento delle relative provvigioni su soggetti in regime agevolato; b. imposta non dichiarata a debito per fatturazione a ditte estere mancanti del codice identificativo; c. costi non deducibili in quanto non inerenti (tasse di immatricolazione) o irregolarmente documentati (spese di rappresentanza e di viaggio); d. non deducibilità di indennità chilometrica per viaggi effettuati con auto non ancora immatricolata.

Avverso detta sentenza, la società ricorre per cassazione sulla base di sei motivi. La parte erariale non ha svolto attività difensiva.

Il primo motivo – con il quale la società lamenta violazione degli D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, e nullità della sentenza, per omessa indicazione delle richieste delle parti – è infondato, dovendosi ribadire che L’omessa trascrizione delle richieste delle parti nella sentenza importa nullità della stessa soltanto quando le suddette richieste non siano state esaminate, di modo che sia mancata in concreto una decisione sulle domande ed eccezioni ritualmente proposte, mentre quando dalla motivazione risulta – come nella specie – che le conclusioni sono state effettivamente esaminate, il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza (Cass. 20469/05; 4079/05; 13785/04;

1170/04; 14095/02; 5024/02; 4240/99).

Si rivela infondato anche il secondo motivo, in quanto procedendo alla determinazione della pretesa erariale, la C.T.R. non ha violato il principio costituzionale della ripartizione dei poteri dello Stato, nè il D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, 2, 7, 18, 19, 47, 53 e artt. 61 e 112 c.p.c., dato che il processo tributario non è annoverabile tra quelli di impugnazione – annullamento, bensì tra quelli di impugnazione – merito, in quanto non diretto alla mera eliminazione dell’atto impugnato, ma alla pronunzia di una decisione di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’Ufficio; ne consegue che il giudice, il quale ravvisi, come nella specie, l’infondatezza parziale della pretesa dell’amministrazione, non deve, nè può, limitarsi ad annullare l’atto impositivo, ma deve quantificare la pretesa tributaria entro i limiti posti dal petitum delle parti (Cass. 25376/08; 17127/07; 11212/07; 7791/01; 4280/01). La censura si rivela, inoltre, inammissibile, per violazione del criterio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, nella parte in cui deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., senza specificare in cosa consisterebbe la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e non potendo questa desumersi dalla mancata richiesta dell’Ufficio di rettifica parziale dell’atto imposi ti vo; in ogni caso non sarebbe la società la parte interessata a far valere tale profilo di asserita nullità dell’impugnata decisione.

Con il terzo motivo, la società lamenta, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 33 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, art. 247 c.p.p. e art. 220 disp. att. c.p.p., perchè la C.T.R., senza la benchè minima motivazione, ha rigettato l’eccezione d’inutilizzabilità dell’attività di polizia giudiziaria svolta dalla Guardia di Finanza in assenza di previa valida autorizzazione dell’Autorità Giudiziaria. La censura non coglie nel segno. Infatti, la ricorrente lamenta, inammissibilmente – sotto il profilo della violazione di legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – che la C.T.R. non abbia fornito la benchè minima motivazione sulle eccezioni dr inutilizzabilità di prove, per asseriti vizi e mancanza delle prescritte autorizzazioni, mentre l’omissione di siffatta pronuncia integra una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e, conseguentemente, è inammissibile il motivo di ricorso con cui la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, come nella specie, ovvero quale vizio della motivazione (Cass. n. 24856/06; 1701/06; 19976/05; 20076/04;

14003/04; 9707/03). Ciò senza contare, comunque, che va ribadito il principio secondo cui l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 63, comma 1, in materia di IVA, e dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, in materia di imposte dirette, per la trasmissione, agli uffici delle imposte, dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che la mancanza dell’autorizzazione, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, nè implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (Cass. 16 maggio 2007 n. 11203; 5 febbraio 2007 n. 2450; Cass. 13 ottobre 2006 n. 22035; Cass. 16 giugno 2006 n. 14058; Cass. 23 dicembre 2005 n. 14058; Cass. 16 marzo 2001 n. 3852).

Con il quarto motivo la società lamenta omessa, insufficiente e, comunque, contraddittoria motivazione su punto decisivo, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la C.T.R. non tenuto conto della sentenza di assoluzione del giudice penale che ha deciso sugli stessi fatti oggetto del presente giudizio. La censura è infondata, in quanto la decisione impugnata – che ha ritenuto l’autonomia della valutazione compiuta nel presente giudizio rispetto a quella compiuta dal G.U.P. di Bolzano in sede penale – ha fatto buon governo del consolidato orientamento di questa S. C., secondo cui “nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario – anche se emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste” – non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione dal giudice tributario come possibile fonte di prova (Cass. 30 dicembre 2009 n. 27954; Cass. 12 marzo 2007 n. 5720; Cass. 6 febbraio 2006 n. 2499; Cass. 24 maggio 2005 n, 10945; Cass. 22 maggio 2003 n. 8102; Cass. 13 gennaio 2003 n. 314;

Cass. 21 giugno 2002 n. 9109; Cass. 29 novembre 2001 n. 15207).

Con il quinto motivo, la società deduce violazione dell’art. 2697 c.c. ed omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione su punti decisivi, per avere la C.T.R., invertito l’onere della prova posto a base della decisione e confermato la tesi dell’amministrazione circa: 1) la non deducibilità delle spese di trasporto e delle perdite su cambi nei rapporti con la Maico (pur non ritenuti inesistenti); 2) l’interposizione fittizia degli intermediari e, quindi, ritenuto legittima la relativa ripresa a tassazione. Con il sesto motivo, la società lamenta ulteriore omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, per avere la C.T.R. affermato la legittimità dei rilievi riguardanti costi non deducibili e l’indebita deduzione di costi relativi ad operazioni inesistenti.

Le censure non meritano accoglimento.

Circa la prima parte del primo motivo, non sussiste il dedotto vizio, in quanto La motivazione della sentenza impugnata, pur sinteticamente, precisa i motivi della non deducibilità delle spese di trasporto e delle perdite su cambi nelle operazioni svolte tramite la commissionaria Maico. Proprio perchè il rapporto fra le due società è stato considerato “reale” e le operazioni “effettivamente verificate”, sono state reputate “di competenza della società che ha fatturato i beni all’esportazione le spese di trasporto e le perdite su cambi indebitamente detratte”; nè la ricorrente aveva prodotto il contratto di commissione, in base al quale detti costi sarebbero stati da essa sopportati.

Quanto alla seconda parte del quinto motivo, la C.T.R. ha esposto in motivazione sette elementi, considerati gravi, precisi e concordanti, che giustificano la presunzione d’inesistenza dei rapporti con gli intermediari: legami di parentela di questi con il l.r. della società; indisponibilità, da parte loro, di una struttura aziendale; agevolazioni (imposta sostitutiva e esenzione dalle scritture contabili) di cui si sono avvalsi; addebito delle provvigioni ad operatori esteri già clienti della società; importi rilevanti delle stesse, superiori all’utile sociale; ignoranza degli operatori esteri sulla necessità di effettuare pagamenti distinti per le auto e per la provvigione; le vendite attraverso intermediari avevano fatto registrare, nella maggior parte dei casi, una perdita, mentre per quelle dirette era stato conseguito un utile. Anche rispetto alle riprese a tassazione di cui ai punti 3 e 5 della motivazione della sentenza impugnata (oggetto del sesto motivo di ricorso), la C.T.R. ha esposto gli elementi di fatto e le valutazioni d’indeducibilità dei singoli costi che hanno indotto a respingere le tesi della società.

Avverso questo congruo apprezzamento, rispetto ad entrambi i motivi, delle risultanze di causa, immune da vizi logici e giuridici, la ricorrente si è limitata a fornire una diversa ricostruzione di alcuni degli elementi indiziari, contrastante con quella accertata nella sentenza impugnata, chiedendo, in sostanza un riesame del merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 17486/02;

7021/99; 3723/96). Invero, il vizio di omessa o errata motivazione deducibile in sede di legittimità sussiste solo se nel ragionamento del giudice del merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’analisi e la valutazione fatte dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, in proposito, valutare le risultanze processuali, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le stesse, quelle ritenute più idonee per la decisione (Cass. 4770/06; 14304/05).

Quindi, le due censure non colgono nel segno, perchè la parte in sede di legittimità non può limitarsi a riproporre le sue tesi difensive, già esposte in sede di merito e disattese dal giudice del riesame, operando così una mera contrapposizione del suo giudizio e della sua valutazione a quella espressa nella sentenza impugnata, ma deve evidenziare la intrinseca contraddittorietà del ragionamento e delle argomentazioni logiche e tecniche seguite per giungere al rigetto della domanda (Cass. n. 17402/03; 11098/00). Non sussiste, invero, la dedotta contraddittorietà della motivazione, in quanto il vizio di motivazione contraddittoria, denunciatile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo in caso di contrasto insanabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. Detto vizio, pertanto, non è ipotizzabile nel caso in cui la contraddizione denunziata riguardi, come nella specie, non già più proposizioni contenute nella sentenza impugnata, tra loro inconciliabili, ma le valutazioni contrastanti compiute dal giudice della sentenza impugnata e da quello penale (v. Cass. n. 2427/04; 14767/07).

Ne deriva il rigetto del ricorso.

Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

PQM

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010

 

 

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