Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4590 del 28/02/2018


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 4590 Anno 2018
Presidente: DE MASI ORONZO
Relatore: DELLI PRISCOLI LORENZO

SENTENZA

sul ricorso 24011-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

2018
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BISERNI STEFANO;
– intimato –

sul ricorso 28559-2011 proposto da:
PIOLANTI GIACOMO, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato LAURA

Data pubblicazione: 28/02/2018

ROSA, rappresentato e difeso dall’avvocato CHRISTIAN
CALIFANO giusta delega in calce;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –

avverso

la

sentenza

n.

83/2010

depositata

il

02/07/2010 e avverso la sentenza n. 77/2011 depositata
il 14/06/2011 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2018 dal Consigliere Dott. LORENZO
DELLI PRISCOLI;
1,1(;lito il P.M.

in persona del Sostituto

Procuratore

Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso
per l’accoglimento dei ricorsi dell’Amministrazione e
rigetto della parte;
udito per il n. r.g. 24011/11 ricorrente l’Avvocato
URBANI NERI che si riporta e chiede raccoglimento;
udito per il n. r.g.

28559/11

ricorrente l’Avvocato

LAURA ROSA per delega dell’Avvocato CALIFANO che ha
chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato URBANI NERI
che si riporta agli atti.

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

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FATTI DI CAUSA
Con atto del 22 dicembre 2004, registrato 1’11 gennaio 2005, Angelo e
Giacomo Piolanti costituivano una società a responsabilità limitata con capitale
sociale di 46.480 euro risultante dal conferimento di un immobile di proprietà
dei due soci del valore 620mila euro, gravato da un mutuo dell’importo di
575mila euro il cui debito residuo, che al momento del conferimento
ammontava a 573.334 euro, veniva accollato alla società. Successivamente,

loro quota sociale per l’importo complessivo di euro 46.800 a Stefano Biserni
che, in questo modo, acquisiva il 100% del capitale sociale.
L’Agenzia delle entrate di Forlì, in data 21 gennaio 2008, notificava a
Giacomo Piolanti, Angelo Piolanti e Stefano Biserni, un avviso di rettifica e
liquidazione relativo all’imposta di registro, riqualificando ai sensi dell’art. 20
del d.P.R. n. 131 del 1986 come vendita immobiliare la complessiva
operazione economica sopra descritta.
Avverso il suddetto atto impositivo, proponevano separatamente ricorso
sia Giacomo Piolanti che Stefano Biserni.
Giacomo Piolanti nel suo ricorso avanti alla Commissione Tributaria
Provinciale di Forlì deduceva in particolare l’erronea ed arbitraria
interpretazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, norma che non
consentirebbe di alterare la volontà delle parti, che avrebbero voluto una
cessione di quote e non una cessione di immobile né tantomeno di azienda.
L’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio insistendo sulla circostanza
che il collegamento negoziale fosse indicativo dell’obiettivo di ridurre il carico
fiscale derivante dall’acquisto dell’immobile.
La Commissione Tributaria Provinciale di Forlì, con sentenza n.
82/07/2008, respingeva il ricorso, ritenendo che la cessione della società fosse
avvenuta utilizzando negozi giuridici complessi al solo fine di perseguire
l’intento elusivo di dissimulare una compravendita.

Ric.n.rg. 24011 del 2011 e 28559 del 2011 – Camera di consiglio del 9 gennaio 2018

con scrittura privata autenticata del 20 gennaio 2005, i due soci cedevano la

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Contro la decisione la Commissione Tributaria Provinciale proponeva
appello il contribuente, reiterando le censure già esposte in primo grado.
La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, con sentenza
n. 77/15/11, rigettava l’appello del contribuente, ritenendo condivisibile la
decisione di primo grado in quanto supportata da una consolidata
giurisprudenza di legittimità e riconoscendo dunque la sussistenza di un
collegamento negoziale tra i negozi sopra descritti.

interpretazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, sostenendo in
particolare che egli era intervenuto nella stipula di un unico atto, quello
relativo alla cessione delle quote societarie.
L’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio insistendo sulla circostanza
che il collegamento negoziale fosse indicativo dell’obiettivo di ridurre il carico
fiscale derivante dall’acquisto dell’immobile.
La Commissione Tributaria Provinciale di Forlì, con sentenza n.
77/06/2008, respingeva il ricorso, ritenendo che la cessione della società fosse
avvenuta utilizzando negozi giuridici complessi al solo fine di perseguire intenti
elusivi.
Contro la decisione del giudice di primo grado proponeva appello il
contribuente, reiterando sostanzialmente le censure già esposte in primo
grado.
La Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, con sentenza
n. 83/9/10, accoglieva il ricorso del contribuente, riconoscendo la sussistenza
di un collegamento negoziale tra i negozi sopra descritti ma evidenziando che
il Biserni era intervenuto esclusivamente nell’ultimo atto, con il quale aveva
acquistato le quote della società costituita dai signori Piolanti, che soli avevano
prima contratto il mutuo e poi costituito la società.
L’Agenzia delle entrate proponeva ricorso in Cassazione, ritualmente
notificato, affidato a due motivi e ne chiedeva, vista la connessione, la riunione

Ric.n.rg. 24011 del 2011 e 28559 del 2011 – Camera di consiglio del 9 gennaio 2018

Quanto a Stefano Biserni, questi deduceva l’erronea ed arbitraria

al procedimento in cui ricorrente era Giacomo Piolanti; il contribuente Biserni
non si costituiva.
Il contribuente Giacomo Piolanti proponeva ricorso in Cassazione,
ritualmente notificato, affidato a tre motivi; resisteva l’Agenzia delle entrate
con controricorso.
Con memoria depositata a ridosso dell’udienza, Giacomo Piolanti, ribadiva
le ragioni già illustrate nel ricorso proposto e insisteva per il suo accoglimento.

1. Preliminarmente va disposta la riunione del ricorso r.g.n. 28559/2011
(Giacomo Piolanti c. Agenzia delle entrate) al ricorso r.g.n. 24011/2011
(Agenzia delle entrate c. Stefano BISERNI), di iscrizione più risalente, atteso
che entrambi vertono sul medesimo rapporto impositivo e sul medesimo
accertamento dell’Agenzia delle entrate, contenuto in un unico
provvedimento, e presentano stretta connessione soggettiva ed oggettiva.
Questi elementi, come chiesto dall’Agenzia delle entrate in seno al
procedimento r.g.n. 24011/2011 con nota 7 giugno 2017, rendono più
razionale la riunione dei procedimenti connessi ex art. 274 cod. proc. civ. e 14
del d.lgs. n. 546 del 1992, considerando che la loro trattazione separata
determinerebbe l’eventualità di soluzioni contrastanti, che sono configurabili
profili di unitarietà sostanziale delle controversie e che sussistono ragioni di
economia processuale, in ossequio ai principi di cui all’art. 111 Cost. e 6 della
CEDU (Cass., S.U. 23 gennaio 2013, n. 1521), pur se i giudici di appello sono
diversi e pur se le decisioni cui sono pervenuti sono opposte, tanto che in un
procedimento è l’Agenzia delle entrate a rivestire il ruolo di ricorrente e
nell’altro invece tale ruolo è assunto dal contribuente.
2. Il contribuente Giacomo Piolanti, nel procedimento contraddistinto da
r.g.n. 28559/2011, con il primo motivo d’impugnazione della sentenza
favorevole all’Agenzia delle entrate, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ.,
comma 1, n. 4, deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 102
cod. proc. civ. e 14 del d.lgs. n. 546 del 1992, ritenendo che la sentenza

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RAGIONI DELLA DECISIONE

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impugnata sia affetta da nullità radicale, in quanto non sarebbe stata
ricostruita la volontà di tutte le parti coinvolte dal collegamento negoziale,
mentre invece sarebbe stato necessario un litisconsorzio fra di esse, anche al
fine di evitare un potenziale contrasto tra giudicati.
Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc.
civ., comma 1, n. 3, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del
d.P.R. n. 131 del 1986, in quanto la sentenza impugnata avrebbe

alla rapida successione temporale dei negozi giuridici anziché, come sarebbe
stato corretto, alla volontà delle parti contrattuali, dimenticando, anche in
ragione di una specifica analisi del caso concreto, che i soggetti coinvolti nelle
varie fasi del disegno asseritannente unitario non sono affatto coincidenti.
Con il terzo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ.,
comma 1, n. 5, deduce l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio, ossia che la riqualificazione operata ex art. 20
dall’Agenzia delle entrate e la cui legittimità è stata riconosciuta nei gradi di
merito, ha riguardato atti posti in essere da soggetti diversi, attribuendo
rilievo esclusivo al dato cronologico dell’operazione ma senza motivare in
ordine ai diversi profili addotti dal contribuente.
L’Agenzia delle entrate costituitasi con controricorso, sosteneva ragioni
analoghe a quelle del motivo di ricorso contro il Biserni, qui di seguito esposte.
3. L’Agenzia delle entrate, nel procedimento contraddistinto da r.g.n.
24011, con il primo motivo d’impugnazione della sentenza favorevole al
contribuente Stefano Biserni, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., comma
1, n. 3, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del
1986 e dell’art. 2555 c.c., nonché degli artt. 1 e 2 della tariffa – parte I prevista dal medesimo d.P.R. n. 131 del 1986, nonché violazione dell’art. 1362
c.c. e dei principi in tema di abuso del diritto anche in relazione agli artt. 41 e
53 Cost., citando numerose sentenze della Cassazione secondo le quali non è
decisiva né la differenza di oggetto relativa ai negozi né l’assenza dell’intento

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erroneamente qualificato come elusiva la fattispecie concreta, dando rilievo

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elusivo per negare il loro collegamento (fra le tante citate, Cass. 12 maggio
2008, n. 11769).
Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 cod. proc.
civ., comma 1, n. 5, l’Agenzia delle entrate deduce altresì insufficienza della
motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo del giudizio in quanto,
a fronte dei numerosi elementi evidenziati fin dalla motivazione dell’avviso di
accertamento, la Commissione Tributaria Regionale ha fondato il suo

convincimento esclusivamente in ragione dell’avere il Biserni preso parte
unicamente all’atto di cessione di quote, senza considerare che il contribuente
si è assicurato la proprietà dell’immobile proprio in base alla sequenza
negoziale dei vari atti.
4. Il ricorso del contribuente Giacomo Piolanti contro dell’Agenzia delle
entrate va rigettato, mentre, coerentemente, va accolto quello della suddetta
Agenzia contro il Biserni.
In particolare, i motivi del contribuente Piolanti contro l’Agenzia delle
entrate, anche se formalmente distinti, possono essere considerati nel loro
insieme in quanto essi lamentano, sia pure da diverse prospettive, la
circostanza che le sentenze di merito avrebbero erroneamente trascurato di
ricostruire le volontà di tutte le parti coinvolte dal provvedimento impositivo
dell’Agenzia delle entrate che è alla base di questa complessiva controversia,
mentre i motivi di ricorso dell’Agenzia delle entrate contro il Biserni, pur se
anch’essi formalmente distinti, possono parimenti essere unitariamente
considerati in quanto si concentrano su una lettura distorta dell’art. 20 del
d.P.R. n. 131 del 1986, che avrebbe permesso arbitrariamente di valorizzare
– per escludere l’applicabilità al caso concreto della norma appena citata – la
circostanza che il Biserni, acquirente della società, ha partecipato ad un solo
atto isolatamente considerabile della complessiva operazione economica.
5. Deve premettersi che non trova applicazione al caso di specie il nuovo
testo dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, come modificato dall’art. 1,
comma 87, lett. a), della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di

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previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il
triennio 2018-2020) ed entrato in vigore il 10 gennaio 2018.
Tale norma, nel testo novellato, prevede che “L’imposta è applicata
secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla
registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla
base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli
extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli

secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla
registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”:
Non può condividersi la tesi della retroattività del nuovo testo dell’art. 20
cit. in quanto gli artt. 10 e 11 delle disposizioni sulla legge in generale
prevedono che una norma non ha effetto retroattivo, salvo contraria espressa
disposizione (Corte cost. 193 del 2017; nello stesso senso Corte cost. n. 257
del 2017; Cass. 6 ottobre 2017, n. 23424; Cass. 30 maggio 2017, 13597),
assente nel caso di specie.
Il principio di tendenziale irretroattività della legge civile è stato affermato
anche dalla Corte di Giustizia (Grande Sezione, 6 settembre 2011, C-108/10,
§ 83) e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo; quest’ultima ha ricondotto
tale principio all’art. 6 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
(Raffineries greques Stran et Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, §
37-50; Papageorgíou c. Grecia, 22 ottobre 1997, §37; Agrati c. Italia, 8
novembre 2012, §11: quest’ultima sentenza sottolinea altresì che una norma
retroattiva si giustifica solo se obbedisce a ragioni imperative di interesse
generale).
La Corte costituzionale peraltro si è ripetutamente espressa nel senso che
«va riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno il fine obiettivo
di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare
uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma
interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione

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successivi”, mentre il vecchio testo stabilisce che “L’imposta è applicata

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considerata un determinato significato normativo» (sentenze n. 132 del 2016
e n. 424 del 1993) ed ha altresì affermato che «il legislatore può adottare
norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze
sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche
quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del
testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una
norma anteriore» (ex plurimis: sentenze n. 232 del 2016, n. 314 del 2013, n.

Tuttavia, la Consulta ha anche più volte affermato che il divieto di
retroattività della legge, pur non essendo stato elevato a dignità costituzionale
(salvo la previsione dell’art. 25 Cost. per la materia penale), costituisce
fondamentale valore di civiltà giuridica, per cui, allorquando «una norma di
natura interpretativa persegua lo scopo di chiarire situazioni di oggettiva
incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale
irrisolto o di ristabilire un’interpretazione più aderente all’originaria volontà del
legislatore», non è precluso al legislatore di emanare norme retroattive
(sentenza n. 232 del 2016; n. 150 del 2015), che però, oltre a dover
espressamente contenere come detto tale previsione di retroattività, deve
altresì, al fine di superare indenni il vaglio di costituzionalità, trovare adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza ed essere sostenuta da adeguati
motivi di interesse generale (ex multis, sentenze n. 232 del 2016, n. 69 del
2014 e n. 264 del 2012).
Ora, nel caso di specie, anche a voler prescindere da un lato come detto
dall’assenza di un’espressa menzione della retroattività del nuovo art. 20 nel
corpo della legge e dall’altro da un’indagine circa la ragionevolezza della
norma, non si riscontrano quegli «adeguati motivi di interesse generale»
richiamati dalla Consulta o quelle «ragioni imperative di interesse generale »
citate dalla Corte di Strasburgo elementi ritenuti necessari per sostenere la
retroattività della norma, trattandosi anzi di disciplina che, prima facie, non

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15 del 2012, n. 271 del 2011).

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appare certo assecondare gli interessi del Fisco e quindi della collettività in
generale.
Deve altresì evidenziarsi che del nuovo testo dell’art. 20 non può predicarsi
né che sia portatore di «un’interpretazione più aderente all’originaria volontà
del legislatore» né che persegua lo scopo di superare un «dibattito
giurisprudenziale irrisolto», così come richiesto dalla Consulta perché ad una
norma possa assegnarsi natura interpretativa.

legislatore» la norma introduce dei limiti all’attività di riqualificazione giuridica
della fattispecie che prima non erano previsti, fermo restando che
l’amministrazione finanziaria può dimostrare la sussistenza dell’abuso del
diritto previsto dall’ art. 10 bis della legge n. 212 del. 2000 (introdotto dal
d.lgs. 5 agosto 2015, n. 128), il quale, alla lettera a), attribuisce
espressamente rilevanza al collegamento negoziale, ma nel solo ambito,
appunto, dell’abuso del diritto e non più in quello della mera riqualificazione
giuridica, per cui non può certo dirsi che la nuova versione dell’art. 20 porti
un’interpretazione del vecchio testo che fosse in qualche modo desumibile da
quest’ultimo.
Quanto poi ad un ipotetico «dibattito giurisprudenziale irrisolto» mette
conto considerare che l’orientamento giurisprudenziale prevalente ha escluso
la natura antielusiva dell’art. 20 a beneficio di quella della qualificazione
giuridica della fattispecie (Cass. 21676 del 2017; n. 6758 del 2017; n. 1955
del 2015; n. 24594 del 2015; n. 24594 del 2015; n. 1955 del 2015; contra n.
2054 del 2017; n. 6835 del 2013; n. 24452 del 2007; n. 2713 del 2002), per
il che non si può affermare che la modifica introdotta all’art. 20 d.p.r. 131/86
dalla legge 27 dicembre 2017 n. 205 abbia natura interpretativa alla luce
dell’art. 10 bis della legge 212/2000 poiché tale ultima norma disciplina il
diverso ambito dell’abuso del diritto. Soprattutto, l’applicazione dell’articolo
20 previgente – in termini di rilevanza qualificatoria anche dei dati
extratestuali e di collegamento negoziale riconducibili all’atto presentato alla

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/-f

Quanto infatti alla «interpretazione più aderente all’originaria volontà del

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registrazione – si fondava su un orientamento giurisprudenziale di legittimità
che, per quanto effettivamente avversato da parte della dottrina e da talune
pronunce di merito, poteva purtuttavia definirsi, sul punto specifico,
sostanzialmente consolidato.
Non varrebbe obiettare che la relazione illustrativa alla legge n. 205 del
2017 assegna alla disposizione concernente l’imposta di registro il compito di
“chiarire” il criterio di individuazione della natura e degli effetti che devono

infatti, agevolmente superarsi sulla base del tenore testuale infine adottato
dallo stesso art. 1 comma 87 in esame, il quale dichiara espressamente di
apportare talune “modificazioni” all’art.20 d.P.R. 131 del 1986, palesandosi
così quale disposizione prettamente innovativa del precedente assetto
normativo. E ciò trova conferma, in accordo con il dato letterale del nuovo
disposto, anche in ragione del fatto che tale modificazione ha determinato una
rivisitazione strutturale profonda ed antitetica della fattispecie impositiva
pregressa; là dove invece l’art.20 previgente (secondo l’indirizzo di legittimità)
imponeva la tassazione sulla base di elementi (il dato extratestuale ed il
collegamento negoziale) che vengono invece oggi espressamente esclusi;
fatto salvo il loro ‘recupero’, come detto, nel diverso ambito della
sopravvenuta disciplina dell’abuso del diritto di cui all’art.10 bis legge 212/00
cit.
In definitiva, va dunque affermato che l’art. 1, comma 87, lett. a), della
legge 27 dicembre 2017, n. 205 non avendo natura interpretativa, ma
innovativa, non esplica effetto retroattivo; conseguentemente, gli atti
antecedenti alla data di sua entrata in vigore (1° gennaio 2018) continuano
ad essere assoggettati ad imposta di registro secondo la disciplina risultante
dalla previgente formulazione dell’art.20 del d.P.R. 131 del 1986.
6. Secondo l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, vecchio testo (applicabile
ratione temporis),

la cui rubrica si intitola “Interpretazione degli atti”,

«l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli

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essere presi in considerazione ai fini della registrazione. Tale elemento può,

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atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la
forma apparente».
Ebbene, secondo il dato letterale della norme e secondo precedenti
pronunce di questa Corte (Cass. 15 marzo 2017, n. 6758; 8 giugno 2016, n.
11692), l’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, nel dettare non una regola
antielusiva ma una regola interpretativa, impone una qualificazione oggettiva
degli atti secondo la causa concreta dell’operazione negoziale complessiva, a

dunque si riferisce agli atti nella loro oggettività ermeneutica, prescindendo
da qualunque riferimento all’eventuale disegno o intento elusivo delle parti e
pertanto non è possibile qualificare la disposizione della legge di registro come
disposizione antielusiva senza forzarne la struttura normativa, introducendovi
un elemento estraneo – appunto, l’elusività fiscale – che viceversa corrisponde
solo a un’eventualità della fattispecie.
Come norma interpretativa, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 è dunque
una norma di “qualificazione” degli atti, che non si sovrappone all’autonomia
privata dei contribuenti, ma si limita a definirne l’esercizio insieme agli altri
canoni legali di ermeneutica negoziale, fra i quali naturalmente non può
trascurarsi la comune intenzione delle parti prevista dall’art. 1362 cod. civ.
Quest’ultimo elemento però rileva come elemento di qualificazione della
complessa operazione economica dal punto di vista civilistico, mentre le
conseguenze fiscali di quella qualificazione discendono direttamente dalla
legge, prescindendo dunque, lo si ribadisce, dalle intenzioni delle parti,
quand’anche fossero tutte d’accordo per ottenere un certo risultato dal punto
di vista fiscale.
La qualificazione interpretativa prescritta dal d.P.R. n. 131 del 1986,
art. 20, ha ad oggetto la causa dell’atto, nella sua dimensione reale, concreta
e oggettiva: quando gli atti sono plurimi e funzionalmente collegati, quando
cioè la causa tipica di ciascuno è in funzione di un programma negoziale che
la trascende, non può rilevare che la causa concreta dell’operazione

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prescindere dall’eventuale disegno o intento elusivo delle parti. Tale norma

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complessiva, ossia la sintesi degli interessi oggettivati nell’operazione
economica (Cass. 12 luglio 2005, n. 14611; 23 novembre 2001, n. 14900) e
la regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti
così come emerge obiettivamente dai negozi posti in essere, anche se
mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali (Cass. 4 febbraio 2015,
n. 1955). In effetti i criteri indicati dall’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 non
si discostano da quelli generali in tema di interpretazione dei contratti che

intenzione delle parti, come prescritto dall’art. 1362 cod. civ. E’ l’operazione
economica complessivamente posta in essere che deve, “parlando da sola”,
rivelare l’oggettiva concreta e comune intenzione delle parti, e dunque – per
respingere le obiezioni sollevate nel ricorso del contribuente – l’interprete non
ha alcuna necessità di ricostruire le singole volontà delle parti che hanno
contribuito a porre in essere tale operazione economica, come anche,
correlativamente – accogliendo invece le osservazioni dell’Agenzia delle
entrate ricorrente – non è assolutamente necessario che tutti gli atti della
complessiva operazione economica siano posti in essere dalle stesse parti
perché essi possano essere unitariamente valutati e considerati, in quanto è
sufficiente che ad una lettura oggettiva di essi, anche le parti che abbiano
partecipato ad un singolo atto dell’articolata catena di negozi giuridici si siano
in concreto oggettivamente giovate della complessiva operazione posta in
essere, analogamente del resto a quanto avviene nel diritto penale, ove la
norma di cui all’art. 110 cod. pen. in tema di concorso di persone nel reato
prevede la piena punibilità del concorrente che abbia partecipato anche ad un
solo segmento della condotta criminosa purché abbia fornito un contributo
causale utile al tutto.
Del resto, la rilevanza esclusiva dell’obiettiva funzione economico-sociale
in concreto posta in essere trova una indiretta conferma nel principio
dell’irrilevanza dei singoli motivi soggettivi, che si ricava, a contrario, dall’art.
1345 cod. civ. in tema di rilevanza del motivo illecito comune alle parti che sia

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impongono una interpretazione oggettiva dell’atto alla luce della comune

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stato l’unica spinta determinante a compiere il negozio (Cass. 20 aprile 2007,
n. 9447; 10 agosto 1998, n. 7832). In tal modo l’interpretazione aderente ai
canoni legali ermeneutici restituisce dunque l’operazione negoziale alla sua
realtà, scongiurando il rischio di un’alterazione della volontà privata (Cass. 15
marzo 2017, n. 6758, cit.).
L’imposta di registro va dunque correlata alla causa concreta
dell’operazione, in ossequio al principio costituzionale di uguaglianza e di

irragionevole trattare in maniera fiscalmente diversa situazioni del tutto
assimilabili dal punto di vista socio-economico quali una compravendita e
l’operazione oggetto di attenzione nel caso di specie, visto che entrambe sono
dirette a trasferire un bene in cambio di un corrispettivo in denaro.
Un’interpretazione atomistica dell’operazione negoziale non sarebbe dunque
in grado di misurare il reale movimento di ricchezza, che si rivela nella sua
effettività soltanto nella dimensione complessiva dell’affare. In questa
prospettiva, il giudice può e deve verificare la qualificazione negoziale operata
dall’ufficio finanziario circa l’osservanza dei criteri legali di interpretazione, i
quali vanno riferiti alle circostanze concrete della sequenza di atti.
Ora, se è vero che l’accertamento della natura, dell’entità, delle
modalità e delle conseguenze del collegamento negoziale realizzato dalle parti
rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è
sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed
immune da vizi logici e giuridici (ex multis, Cass. 22 settembre 2016, n.
18585; Cass. 28 marzo 2006, n. 7074; Cass. 12 luglio 2005, n. 14611), nel
caso in esame tale sindacato si impone in quanto il Giudice di appello non solo
ha trascurato l’efficacia interpretativa e probatoria di tutti gli elementi fattuali
dedotti dall’Agenzia delle Entrate a fondamento della causa unitaria di
compravendita, così come perseguita dai negozi dedotti in giudizio, ma ha
palesemente disatteso i principi di diritto in precedenza ricordati.

Ric.n.rg. 24011 del 2011 e 28559 del 2011 – Camera di consiglio del 9 gennaio 2018

capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., dal momento che sarebbe

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Ebbene, alla luce di questi principi, il conferimento di un immobile ad una
società commerciale (nella specie una s.r.l.) appena costituita e che non ha
svolto alcuna attività per la quale è stata espressamente tipizzata dal
legislatore, la pressoché contestuale stipulazione di un mutuo da parte dei soci
conferenti per un valore che molto si avvicina al valore dell’immobile, il quasi
contestuale accollo di tale mutuo da parte della società conferitaria e la
pressoché immediata cessione della totalità delle quote ad un terzo ben

essere una compravendita dai signori Piolanti al Biserni, non ostando che
l’imposta di registro sia formalmente un’imposta d’atto (Cass. 19 marzo 2014,
n. 6405), dovendosi ritenere, alla luce sia del dato letterale che di una
interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del
1986 al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e di capacità
contributiva di cui all’art. 53 Cost., nonché dei principi comunitari in materia
fiscale (Corte di Giustizia, sentenza 21 febbraio 2006 C-255/02; 10 novembre
2011 C-126/10, Foggia, sentenze secondo le quali le operazioni realizzate al
solo scopo di ottenere un risparmio fiscale senza un autonomo obiettivo
economico, ancorché eseguite in forma apparentemente corretta quale una
cessione di beni o una prestazione di servizi nell’esercizio di un’attività
economica – rivestono connotati sostanzialmente elusivi), che tale imposta
debba essere commisurata alla complessiva operazione economica realizzata
dal contribuente.
In effetti, all’esito di tale operazione complessiva, i Piolanti, soci
originariamente conferenti, hanno ottenuto la somma di 620mila euro
costituendo una società del cui patrimonio fa parte un immobile dello stesso
valore gravato da un mutuo di un importo di poco inferiore a tale somma,
trasferendo subito dopo ad un terzo (il Biserni) tutte le quote della società per
una cifra corrispondente alla differenza tra il valore dell’immobile e il mutuo
residuo da restituire. Una interpretazione oggettiva dell’affare complessivo
porta a ritenere che l’accollo a carico della società del mutuo a favore dei soci

Ric.n.rg. 24011 del 2011 e 28559 del 2011 – Camera di consiglio del 9 gennaio 2018

possono e devono suggerire all’interprete che nella realtà sia stata posta in

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conferenti si spieghi soltanto alla luce del successivo trasferimento delle quote
della società al terzo, perché altrimenti tale accollo privo di un corrispettivo
sarebbe contrario a qualsiasi elementare logica economica, tanto più per una
società commerciale, istituzionalmente deputata a perseguire un fine di lucro.
E’ evidente dunque che il mutuo costituisce il prezzo della compravendita. Tale
interpretazione oggettiva è corroborata dall’assenza di attività commerciale
da parte della società, dai pochi giorni passati dalla sua costituzione alla

dell’immobile e dell’importo del mutuo, dal pressoché contestuale accollo del
mutuo rispetto al conferimento dell’immobile, dalla circostanza che sommando
il prezzo pagato dal Biserni per l’acquisto delle quote della s.r.l. all’importo del
mutuo ancora da pagare si ottiene, con una risibile approssimazione, il valore
dell’immobile conferito alla società. Quindi, il risultato economico complessivo
oggettivamente realizzato consiste nel trasferimento da due soggetti ad un
altro di un immobile in cambio della somma di 620mila euro; né può farsi leva
sullo schermo della personalità giuridica propria delle società di capitali che
formalmente distinguerebbe il patrimonio della s.r.l. da quella del suo unico
socio, in quanto la funzione dell’attribuzione alla società di una distinta
soggettività giuridica rispetto al socio che ne possiede interamente le quote è
unicamente quella, in deroga al principio della responsabilità patrimoniale con
tutti i propri beni di cui all’art. 2740 cod. civ., di limitare la responsabilità del
socio nei confronti dei terzi al valore del patrimonio della società, all’ulteriore
scopo di incentivare il socio allo svolgimento di un’attività di produzione o
commercio di beni o servizi (attività che invece non è stata svolta) non anche
di introdurre artificiosamente nei traffici economici dei nuovi soggetti giuridici
al solo scopo di dissimulare dei semplici negozi di compravendita. La
complessa operazione economica sopra descritta, va dunque giuridicamente
qualificata – così come correttamente fatto dall’Ufficio delle entrate di Forlì nel
suo provvedimento iniziale – come una compravendita di un immobile per
620mila euro.

Ric.n.rg. 24011 del 2011 e 28559 del 2011 – Camera di consiglio del 9 gennaio 2018

cessione delle relative quote ad un terzo, dalla quasi coincidenza del valore

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7. Il ricorso presentato dal contribuente Giacomo Piolanti contro l’Agenzia
delle entrate e contenente i tre motivi di ricorso, che come detto possono
essere unitariamente considerati in ragione dell’unitaria doglianza sostanziale
consistente nell’omessa esame delle volontà dei singoli partecipanti
all’operazione economica, va rigettato per le ragioni spiegate in precedenza;
ne consegue la condanna di Giacomo Piolanti alle spese del giudizio di
legittimità, mantenendo ferma la decisione sulle spese dei precedenti gradi di

Quanto al ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate contro il Biserni,
in accoglimento del primo motivo del ricorso dell’Agenzia delle entrate relativo
alla violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 (pur
nella inutile superfetazione di norme citate in maniera non conferente
nell’ambito dello stesso motivo, come l’art. 2555 cod. civ., nonché gli artt. 1
e 2 della tariffa – parte I – prevista dal medesimo d.P.R. n. 131 del 1986,
nonché i principi in tema di abuso del diritto), assorbito il secondo, deve
affermarsi il seguente principio di diritto: «In tema di imposta di registro,
nell’ipotesi di collegamento negoziale fra mutuo ipotecario, conferimento alla
società dell’immobile su cui grava l’ipoteca e cessione delle quote della società
stessa ad un terzo tale per cui la complessiva operazione economica risulti
oggettivamente qualificabile come una compravendita, l’art. 20 del d.P.R. n.
131 del 1986 va interpretato, alla luce del suo dato letterale e dei principi di
ragionevolezza e di capacità contributiva, nel senso che l’imposta di registro
debba essere commisurata alla complessiva operazione economica
oggettivamente realizzata dal contribuente, non ostandovi che tale imposta
sia formalmente un’imposta d’atto; in particolare la partecipazione di un
contribuente ad un solo atto della catena che ha legato causalmente i vari
negozi tra di loro non vale di per sé ad escludere il pieno coinvolgimento del
contribuente nell’operazione economica complessiva e quindi
l’assoggettamento all’imposta».

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merito in relazione alla complessità della questione giuridica.

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A tale principio non si è attenuta la sentenza impugnata dall’Agenzia delle
entrate, la quale invece ha ritenuto che la partecipazione di un soggetto (il
Biserni) ad un solo atto della catena che ha legato i vari negozi tra di loro in
un’unica funzione sia sufficiente ad escludere il coinvolgimento del
contribuente nell’operazione economica complessiva.
Il ricorso dell’Agenzia delle entrate contro il Biserni va quindi accolto e,
non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere

contribuente; ne consegue la condanna del contribuente alle spese del giudizio
di legittimità, mantenendo ferma la decisione dei precedenti gradi di merito in
relazione alla complessità della questione giuridica.
P.Q.M.
La Corte, riunito il ricorso r.g.n. 28559/2011 al ricorso r.g.n. 24011/2011,
quanto al ricorso r.g.n. 28559/2011 rigetta il ricorso del contribuente
Giacomo Piolanti;
quanto al ricorso r.g.n. 24011/2011, accoglie il ricorso dell’Agenzia delle
entrate, cassa l’impugnata sentenza, decide nel merito la controversia con il
rigetto del ricorso originariamente proposto dal contribuente Stefano Biserni.
Condanna Giacomo Piolanti e Stefano Biserni ciascuno al pagamento delle
spese del presente giudizio che liquida in euro 7000 oltre alle spese prenotate
a debito.
Compensa le spese dei gradi di merito del giudizio tra Biserni e l’Agenzia
delle Entrate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione tributaria della
Corte di Cassazione, il 9 gennaio 2018.

decisa nel merito, con conseguente rigetto del ricorso originario del

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