Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4590 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. III, 21/02/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 21/02/2020), n.4590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4877-2018 proposto da:

B.F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

APPIA NUOVA 251, presso lo studio dell’avvocato MARIA SARACINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE DE SIMONE;

– ricorrente –

contro

SERVIZIO ELETTRICO NAZIONALE SPA, in persona dell’Avv.

T.R. nella qualità di procuratore e legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE APPIO CLAUDIO, 229, presso

lo studio dell’avvocato PAOLO PANUNZIO, rappresentata e difesa dagli

avvocati SANDRO PASQUALE MARANO, ROBERTO TANZARIELLO, SERGIO

CICCARELLI;

– controricorrente –

e contro

ENEL SERVIZIO ELETTRICO S.P.A., (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 2828/2017 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata

il 14/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

Fatto

RILEVATO

che:

Avendo B.F.S. convenuto davanti al giudice di pace di Torremaggiore Enel Servizio Elettrico S.p.A. per risarcimento dei danni derivati da uno sbalzo di tensione sulla rete elettrica del 17 gennaio 2010 causato dalla caduta a terra di un cavo d’elettrodotto ad alta tensione, ed essendosi costituita la convenuta resistendo, eccependo tra l’altro il difetto di legittimazione passiva non essendo proprietaria di infrastrutture elettriche, il giudice di pace accoglieva la domanda, ritenendo la convenuta responsabile ex art. 2050 c.c.

Enel Servizio Elettrico proponeva appello, cui controparte resisteva. Con sentenza del 14 dicembre 2017 il Tribunale di Foggia accoglieva gravame per difetto di titolarità passiva dell’appellante, ritenendo quest’ultima non responsabile, “nè in via contrattuale nè ai sensi degli artt. 2050 e/o 2051 c.c.”, essendo Enel Servizio Elettrico privo di potere di gestione e di intervento per prevenire l’evento dannoso denunciato.

Il B. ha presentato ricorso articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria, da cui controparte, nelle more divenuta Servizio Elettrico Nazionale S.p.A., si è difesa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 2050 c.c.

L’erogazione/somministrazione della energia elettrica dalla controparte sarebbe un’attività pericolosa, per cui quest’ultima dovrebbe ritenersi legittimata passiva rispetto all’esercitata azione ex art. 2050 c.c., avendo essa l’obbligo di disporre misure di salvaguardia, e non rilevando che mezzi o di opere fonte di danno siano di proprietà di terzi. Sarebbe quindi ricorsa la responsabilità ai sensi appunto dell’art. 2050 c.c., anche se l’evento dannoso derivò dalla caduta di un cavo di alta tensione gestito dalla proprietaria della rete, Terna S.p.A.; e sarebbe pertanto sussistente una presunzione di colpa ai sensi della suddetta norma.

2. Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 1218 c.c.

Vi sarebbe stata responsabilità contrattuale della controparte, la quale, violando i limiti di potenza, sarebbe incorsa in inadempimento contrattuale, dal momento che, quale venditrice, doveva “non solo fornire la energia elettrica ma anche.. garantire la sua utilizzabilità ovvero la sicurezza della sua erogazione”. Pertanto il Tribunale, negando che la somministratrice avesse poteri di gestione e di intervento per la prevenzione dell’evento dannoso, avrebbe violato l’art. 1218 c.c.

3. Il terzo motivo denuncia falsa applicazione dell’art. 2051 c.c.

L’evento dannoso riguardava lo sbalzo di corrente, che sarebbe stato accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio come avvenuto per bassa tensione, onde sarebbe stata irrilevante la proprietà del cavo di alta tensione, “la cui caduta ha causato a catena i relativi sbalzi di tensione dall’alta, media e per finire alla bassa tensione”. La giurisprudenza di legittimità riconoscerebbe responsabilità oggettiva non fondata sulla proprietà del infrastrutture ma sulla natura di attività e del danno da essa causato.

4.1 Esaminando il primo motivo, si devono prendere le mosse dalla constatazione che, come già si è detto, il giudice di prime cure aveva riconosciuto la responsabilità della società convenuta ai sensi dell’art. 2050 c.c. Il che significa che il primo giudice ha, tra l’altro, accertato la natura pericolosa dell’attività svolta da tale società.

Quest’ultima non ha poi devoluto al giudice d’appello la natura dell’attività da essa svolta, avendo censurato la sentenza di primo grado, come risulta anche dalla motivazione della sentenza in questa sede impugnata, “per omessa motivazione sull’eccezione di nullità dell’originario atto di citazione e per mancato rilievo della carenza di “legittimazione passiva” di Enel Servizio Elettrico s.p.a. rispetto alla domanda risarcitoria”. Ed accogliendo il gravame, infatti, il giudice d’appello ha negato – non solo in riferimento all’art. 2050 c.c., ma incrementando il diniego pure con il riferimento all’art. 2051 c.c. e al rapporto contrattuale – la “titolarità passiva di Enel Servizio Elettrico s.p.a…. stante la mancanza in capo alla medesima società di un concreto potere di gestione e di intervento per la prevenzione dell’evento dannoso”, essendo proprietaria e titolare esclusiva del potere di gestione e manutenzione “della rete interconnessa ad alta tensione” Terna S.p.A.

Dunque, deve ritenersi che la natura di attività pericolosa dell’attività svolta dalla attuale controricorrente è stata accertata dal primo giudice e su di essa si è formato giudicato interno.

4.2 La responsabilità ex art. 2050 c.c. è conformata come derivante soltanto dalla natura pericolosa dell’attività svolta dal responsabile e dal nesso causale tra l’attività pericolosa e l’evento dannoso, come indica limpidamente dal testo normativo: “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento…”.

L’attività, quindi, può essere pericolosa non solo per la sua natura, ma anche per la natura dei mezzi utilizzati ad esercitarla. Ciò non toglie che, in entrambe le ipotesi, nulla incide il fatto che i mezzi con cui viene esercitata l’attività pericolosa non appartengano a chi la esercita o comunque siano da quest’ultimo gestiti: il legislatore piega il baricentro della norma comunque sullo svolgimento dell’attività pericolosa, rendendo irrilevante il titolo che chi la svolge possa avere – o anche appunto non avere – sui mezzi di cui si serve.

Parimenti, non rileva ai fini della responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. la gestione dei mezzi in sè, bensì rileva esclusivamente quello specifico effetto della gestione che è rappresentato dallo svolgimento dell’attività pericolosa; a ben guardare, piuttosto che di gestione, allora, si tratta, nel paradigma normativo in esame, di una mera utilizzazione dei mezzi, ai fini appunto di esercitare un’attività pericolosa. E tale stretta circoscrizione del presupposto della responsabilità è stata da ultimo, tra gli arresti massimati, confermata in modo inequivoco da Cass. sez. 6 – 3, ord. 5 luglio 2017 n. 16637, per cui “in tema di responsabilità per esercizio di attività pericolosa, l’esercente risponde dei danni derivanti dal suo svolgimento, a nulla valendo che… i mezzi o le opere fonte di danno siano di proprietà di terzi…”.

4.3 Il paradigma di questa fattispecie di responsabilità per presunzione di colpa risulta dunque molto netto e chiaro: l’asserito danneggiato deve dimostrare sia la natura pericolosa dell’attività, sia il nesso causale intercorrente tra essa e l’evento dannoso (v., ancora tra i più recenti arresti massimati, Cass. sez. 3, 22 settembre 2014 n. 19872: “In tema di responsabilità per esercizio di attività pericolosa, la presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050 c.c., presuppone la sussistenza del nesso eziologico tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, la cui prova è a carico del danneggiato, sicchè va esclusa ove sia ignota o incerta la causa dell’evento dannoso.”); connessione eziologica che, ovviamente, può essere infranta da un caso fortuito, nel senso di un sopravvenuto fatto di per sè cagionante il danno (cfr. Cass. sez. 3, 22 luglio 2016 n. 1513, Cass. sez. 6-3, ord. 30 ottobre 2013 n. 24549 e Cass. sez. 3, 5 gennaio 2010 n. 23). E in riferimento all’adempimento di questo segmento della sequenza dell’onere probatorio spettante all’asserito danneggiato (il quale, naturalmente, è altresì tenuto, per conseguire il suo interesse processuale, a dimostrare l’esistenza nonchè, nella misura normativamente necessaria, il quantum del danno disceso dall’evento dannoso) compete allora al preteso danneggiante, per sgravarsi della prospettata responsabilità, la prova liberatoria dell’aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno (v. ancora Cass. sez. 6 – 3, ord. 5 luglio 2017 n. 16637, la quale rimarca che il danneggiante, “per vincere la presunzione di colpa, posta a suo carico dall’art. 2050 c.c.”, non è sufficiente che provi l’imprevedibilità del danno, “dovendosi, invece, dimostrare che esso non si sarebbe potuto evitare mediante l’adozione delle misure di prevenzione che le leggi dell’arte o la comune diligenza imponevano.”).

Il Tribunale ha dunque errato incentrando l’accertamento su dati del tutto irrilevanti, ovvero la proprietà e la gestione non in capo alla esercente dell’attività dei mezzi utilizzati per svolgerla, e traendo dalla non coincidenza, verificatasi nel caso concreto, tra chi svolge l’attività pericolosa e chi è proprietario degli utilizzati mezzi e li gestisce il difetto di legittimazione dell’attuale controricorrente rispetto all’azione promossa da controparte ai sensi dell’art. 2050 c.c.

Il motivo è pertanto manifestamente fondato, e la sua conformazione nel complessivo quadro delle doglianze proposte in ricorso, a ben guardare, conduce all’assorbimento degli altri motivi.

5. In conclusione, il ricorso deve essere accolto quanto al primo motivo, assorbiti gli altri, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio, anche per le spese processuali, ai Tribunale di Foggia, in persona di diverso magistrato.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese processuali, al Tribunale di Foggia.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2020

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