Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 459 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. II, 11/01/2017, (ud. 18/10/2016, dep.11/01/2017),  n. 459

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15566-2012 proposto da:

S.S. – SLV SLV 49B07 C573K, elettivamente domiciliato in

Roma, Via Silvio Pellico 24, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

VALVO, rappresentato e difeso dall’avvocato VITTORIO BOLOGNI, come

da procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COSTRUZIONI EDILI F.LLI T. di T.F. & C SNC, in persona

del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, Corso

Vittorio Emanuele 2 18, presso lo studio dell’avvocato STUDIO GREZ E

ASSOCIATI S.R.L., rappresentato e difeso dall’avvocato MAURO

GIOVANNELLI, come da procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 718/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 19/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/10/2016 dal Consigliere Ippolisto Parziale;

udito l’Avvocato Giuseppe Valvo con delega Bologni, che si riporta

agli atti e alle conclusioni assunte;

udito il sostituto procuratore generale, dott. RUSSO Rosario

Giovanni, che conclude per il rigetto del ricorso e condanna alle

spese.

Fatto

FATTI DI CAUSA

a. Così la sentenza impugnata riassume la vicenda processuale.

1. “Con atto di citazione ritualmente notificato S.S. avanzava opposizione avverso il decreto ingiuntivo nr 142/2002 con il quale la Costruzioni Edili F.lli T. Snc di T.F. & C. gli ingiungeva il pagamento della somma di Euro 7427,45 quale quota parte della sanzione amministrativa irrogata in solido alla società ed all’architetto S., in qualità di professionista, e relativa ad un illecito edilizio. Assumeva la parte opponente che la domanda era infondata in quanto la solidarietà in relazione alla obbligazione di pagamento della sanzione amministrativa era da considerare una solidarietà meramente passiva nei confronti della P.A., ma non aveva alcun fondamento nei rapporti interni tra le parti coobbligate; e ciò anche perchè il soggetto che aveva beneficiato effettivamente dell’illecito commesso era da individuare nella società opposta, la quale quindi avrebbe realizzato un doppio vantaggio economico qualora il S. fosse obbligato a versare la propria quota parte della sanzione. Inoltre l’Architetto S. avanzava domanda di pagamento nei propri confronti delle competenze professionali, mai prima riscosse, per un ammontare pari ad Euro 24.661,00.

Si costituiva in causa la Costruzioni Edili F.lli T. Snc di T.F. la quale contestava nel merito la opposizione, assumendo che la interpretazione della solidarietà passiva fornita dall’opponente era da disattendere perchè infondata. In relazione alla domanda di pagamento degli onorari professionali la parte convenuta, dopo aver evidenziato come la domanda non era mai stata precedentemente avanzata stragiudizialmente, eccepiva il difetto di legittimazione passiva della convenuta in quanto la progettazione, di cui l’architetto S. chiedeva i1 pagamento, sarebbe stata commissionata da altri soggetti”.

2. La causa, dopo alcuni rinvii e senza attività istruttoria, veniva ritenuta in decisione e decisa con la sentenza impugnata, con la quale veniva respinta la opposizione.

Avverso la pronuncia avanzava appello il S.S., il quale censurava la sentenza, riproponendo le medesime argomentazioni in punto di diritto già svolte nel primo grado del giudizio. Segnatamente contestava la valutazione effettuata dal Tribunale in punto di solidarietà passiva della obbligazione e di diritto al regresso; in secondo luogo assumeva l’appellante che il Tribunale non aveva considerato l’incremento patrimoniale che la società convenuta aveva ottenuto in conseguenza dell’abuso; con ulteriore motivo di gravame l’appellante lamentava la circostanza che non era stato pagato dalla convenuta l’intero debito, ma soltanto una quota parte, e pertanto non si erano realizzati i presupposti per il regresso. In ultimo lamentava l’erroneità della pronuncia ove il Tribunale aveva respinto la domanda riconvenzionale di pagamento dei compensi professionali, ritenuto il diritto prescritto alla data della domanda. Si costituiva in grado di appello la Costruzioni Edili F.lli T. Snc di T.F. & C. che resisteva”.

B. La Corte di appello di Firenze respingeva il gravame di S., condannandolo alle spese.

C. Impugna tale decisione il S. che formula due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

A. I motivi del ricorso.

1. Col primo motivo si deduce: violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 6 e per mancata applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6″.

La L. n. 47 del 1985, art. 6 correttamente interpretato “esclude che il direttore dei lavori sia tenuto in solido al pagamento della somma pecuniaria in quanto l’avverbio “solidalmente” è riferito solo alle spese per l’esecuzione (demolizione) in danno”. In tal senso precedenti del Tribunale di Firenze in assenza di arresti della Corte di cassazione.

Osserva il ricorrente che “l’avverbio “solidalmente” di cui alla L. n. 47 del 1983, art. 6 sistematicamente interpretato non può che riferirsi “alle spese per la esecuzione in danno” e non al pagamento della sanzione pari al doppio dell’incremento di valore che non può essere che applicabile al proprietario”. Inoltre, “la L. n. 689 del 1981, art. 6 prevede la solidarietà per le sanzioni amministrative nelle ipotesi: a) del titolare del diritto personale di godimento sulla cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione; b) della persona rivestita dell’autorità o incaricata della direzione o della vigilanza quando la violazione sia commessa da persona incapace di intendere e di volere, c) della persona giuridica o ente o imprenditore quando la violazione sia stata commessa dal rappresentante o dal dipendente di una persona giuridica o di un ente privo di personalità giuridica o, comunque, di un imprenditore nell’esercizio delle proprie funzioni o incombenze”. Aggiunge il ricorrente che “solo e soltanto in tali casi, “chi ha pagato ha diritto di regresso per l’intero nei confronti dell’autore della violazione””.

2. Col secondo motivo si deduce: “violazione per falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1292, 1293 e 1298 c.c., violazione per falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 5 ed omessa motivazione circa il titolo in base al quale il ricorrente dovrebbe essere considerato coobbligato principale”.

In ogni caso, “il diritto al regresso della T. Costruzioni deve essere escluso contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata. Infatti la sentenza impugnata omette di compiere un passaggio logico consistente nella verifica relativa alla circostanza che finti i destinatari della sanzione siano obbligati o meno a titolo principale oppure vi sia un destinatario della sanzione a titolo principale e gli altri siano obbligati sussidiari”. Rileva il ricorrente che “diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’Appello, esiste un Obbligato principale, che non ha diritto di regresso, e questo Obbligato principale non può essere che il proprietario, nel caso de quo anche costruttore, dell’immobile mentre gli altri soggetti risponderebbero in via sussidiaria e solo a titolo solidale nei confronti della P.A.”. Sottolinea il ricorrente che “se le parti in causa rispondessero a titolo principale dovrebbe trovare applicazione la L. n. 689 del 1981, art. 5 che prevede che, nel caso di concorso di più persone ad una violazione amministrativa, ciascuno soggiaccia alla sanzione che viene quindi applicata con effetto moltiplicativo per intero a tutti e la sentenza impugnata nel ritenere esistente il diritto dl regresso non tiene conto del disposto della norma ora citata”. Infatti, il Comune “ha irrogato un’unica sanzione, sanzione che trova come Obbligato principale il proprietario dell’immobile che non patisce il ripristino e mantiene così in essere gli effetti dell’intero abuso, abuso che è sanzionato appunto con il doppio dell’incremento di valore dell’immobile, sanzione L. n. 47 del 1985, ex art. 9, comma 2, alternativa al ripristino dello stato dei luoghi che non può che colpire il proprietario che ha beneficiato dell’incremento patrimoniale dell’immobile in conseguenza dei lavori abusivi”. In definitiva, quindi, “nel Caso de quo obbligato principale è il proprietario che non potrà agire in via di regresso, rilevando ad un caso la solidarietà solo verso il creditore Pubblica Amministrazione e non nei rapporti interni. La sentenza impugnata viola quindi il coordinato disposto degli artt. 1292, 1293 e 1298 c.c. ed in particolar modo il disposto dell’art. 1293 c.c. secondo cui: “La solidarietà non è esclusa dal fatto che i singoli debitori siano tenuti ciascuno con modalità diverse… (omissis)””.

B. La motivazione della Corte di appello.

La sentenza impugnata così motiva sui punti oggetto di ricorso.

1. “con i primi due motivi di gravame l’appellante lamenta la interpretazione effettuata dal Tribunale della normativa di cui alla L. n. 47 del 1985 e della ritenuta solidarietà passiva. I motivi sono infondati e debbono essere disattesi.

1.1 – “la normativa amministrativa in materia urbanistica prevede una serie di obblighi a carico dei soggetti che di fatto intervengono a vario titolo concorrendo alla realizzazione dell’illecito edilizio, tra i quali certamente il proprietario dell’immobile – e, nel caso che ci occupa, anche committente i lavori di ristrutturazione, ed il progettista dei lavori stessi (oltre all’esecutore materiale delle opere ed al direttore dei lavori di cantiere), al fine di meglio perseguire i fini pubblici di condonazione del territorio alle previsioni di piano regolatore, e comunque di gestire uno sviluppo armonico e conforme a legge della attività urbanistica. Trattasi di obbligazione personale di ciascuno dei soggetti presi in esame dalla legge, i quali pertanto, in caso di accertata violazione, rispondono per fatto proprio, sebbene in relazione ad una sanzione che è cumulativa, e fonte quindi di obbligazione solidale. Da ciò consegue che, come fatto rilevare correttamente dal Tribunale, in caso di pagamento della sanzione irrogata da pare di uno dei soggetti coobbligati, sorge il diritto al regresso nei confronti dei coobbligati, in base alla normativa di carattere generale di cui art. 1292 c.c., in relazione alle singole quote di spettanza; nel caso di specie un terzo del totale. Neppure ha pregio l’argomento largamente coltivato dall’appellante per contestare la sussistenza del diritto al regresso, secondo il quale la solidarietà passiva tra le parti sarebbe con friggente con il vantaggio patrimoniale che il solo proprietario dell’immobile trarrebbe dall’abuso. Ed, difatti, nel caso di specie non si verte in ipotesi di somma pagata a titolo di condono edilizio, ovvero di sanatoria L. n. 47 del 1982, ex art. 13 – ipotesi in cui il pagamento della oblazione, commisurata all’entità della violazione, consente di sanare l’illecito commesso, e quindi trarne vantaggio -; trattasi altresì di sanzione irrogata a fronte dell’accertamento di un illecita ristrutturazione edilizia non ripristinabile, che per espressa previsione di legge deve rappresentare il doppio dell’incremento di valore accertato. Si ha quindi uno squilibrio evidente – ed addirittura imposto dalla legge tra ipotetica utilità economica che il proprietario dell’immobile può trarre dall’abuso, e la sanzione irrogata in solido ai coobbligati che rispondono ciascuno per la violazione di un precetto legale di cui sono tutti destinatari. Nel caso di specie peraltro, ferma restando la obbligazione patrimoniale di regresso del progettista, ben poteva l’appellante eccepire nella sede opportuna della azione di regresso la eccezione di ingiustificato arricchimento nei confronti della società convenuta, quantomeno per la quota ritenuta effettiva, con conseguente domanda di compensazione ex art. 2041 c.c.; aveva tuttavia l’onere di precisare i termini della domanda stessa, oltre che di provarla in causa. Nulla di tutto ciò è avvenuto, e nella comparsa di costituzione di primo grado non viene formulata alcuna eccezione o domanda art. 2041 c.c., ma semplicemente utilizzato un argomento di sostegno alla eccezione di insussistenza della solidarietà passiva, senza formulare alcuna domanda autonoma in merito; argomento questo che il Tribunale prima, e questa Corte poi, ritengono infondato.

1.2 – “Venendo all’ulteriore motivo di gravame, secondo il quale non sussistevano i presupposti per la azione di regresso, avendo pagato la società convenuta soltanto una quota della sanzione irrogata, già il Giudice di prime cure aveva rilevato la decadenza dalla eccezione di merito che non risulta avanzata nei termini del combinato di posto artt. 167 e 180 c.p.c.. Il rilievo è fondato, deve essere confermato, e tanto basta senza necessità alcuna di indagare ulteriori motivi di reiezione”.

C. Il ricorso è infondato e va rigettato.

I motivi possono essere trattati congiuntamente. La Corte di appello ha correttamente e chiaramente evidenziato che con l’unica ordinanza ingiunzione erano stati sanzionati (ai sensi della L. n. 47 del 1985) cumulativamente tutti e tre i soggetti coinvolti nella violazione, seppure per i profili attinenti alle diverse responsabilità. Nulla dagli atti emerge in relazione all’esito di tale provvedimento sanzionatorio, che non risulta impugnato. In tale sede, come evidenziato pure dal giudice dell’appello, potevano essere fatti valere aspetti relativi alla responsabilità nella violazione. Risulta pacifico il pagamento dell’intero da parte delle società costruttrice con conseguente diritto al regresso, pro quota, nei confronti dei coobbligati solidali. Proprio l’unicità della sanzione applicata con riguardo ai tre contravventori consente l’esercizio del diritto al regresso, pro quota.

D. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 1.500,00 (millecinquecento) Euro per compensi e 200,00 (duecento) Euro per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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