Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4588 del 25/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2010, (ud. 27/01/2010, dep. 25/02/2010), n.4588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

M.L., S.A., MO.GI.MA., tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE ANICIO GALLO 51 presso lo

studio dell’Avvocato LUCCHESE GIUSEPPE, rappresentati e difesi

dall’Avvocato PINNA GIUSEPPE, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 125/2 004 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 29/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/01/2010 dal Consigliere Dott. CARLO PARMEGGIANI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIANNI DE BELLIS, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di un processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, l’Ufficio IVA di Nuoro riteneva che M.L., S. A. e Mo.Gi.Ma. avessero costituito una società di fatto, per costruzione e vendita di appartamenti nel Comune di Bosa ed emetteva avvisi di accertamento per gli anni 1992, 1993, 1994, con i quali recuperava a tassazione IVA per complessive L. 162.177.000 ed irrogava le relative sanzioni.

Gli avvisi erano impugnati dai contribuenti in proprio e nella qualità di soci della presunta società di fatto, i quali sostenevano principalmente la inesistenza di tale società di fatto e la non assoggettabilità all’IVA delle operazioni contestate, vertendosi in tema di preliminari di vendita.

La Commissione Tributaria Provinciale di Nuoro, riuniti i ricorsi, li rigettava nel merito, con rideterminazione delle sanzioni pecuniarie.

Su appello principale dei contribuenti ed incidentale dell’Ufficio, la Commissione Tributaria Regionale della Sardegna, con sentenza n. 125/8/04, in data 29-10-2004, depositata il 30-10-2004, accoglieva l’appello dei contribuenti, sul rilievo ritenuto assorbente che tra i contribuenti stessi non si era formata una società di fatto, bensì una associazione in partecipazione.

Avverso la sentenza propongono ricorso per Cassazione, con un motivo, il Ministero della Economia e delle Finanze e la Agenzia delle Entrate.

Resistono i contribuenti con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va rilevata la inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero della Economia e della Finanze: nel caso di specie al giudizio innanzi la Commissione Regionale ha partecipato l’ufficio periferico di Nuoro della Agenzia delle Entrate (all’epoca Ufficio IVA) successore a titolo particolare del Ministero, ed il contraddittorio è stato accettato dal contribuente senza sollevare alcuna eccezione sulla mancata partecipazione del Ministero, che così risulta, come costantemente ha rilevato la giurisprudenza di questa Corte, (ex plurimis v. Cass. n. 3557/2005) estromesso implicitamente dal giudizio, con la conseguenza che la legittimazione a proporre ricorso per Cassazione sussisteva unicamente in capo alla Agenzia.

Le spese relative a detto ricorso devono essere compensate tra le parti, per la obbiettiva incertezza esistente all’epoca della successione tra i citati enti.

Con unico, articolato ricorso, la Agenzia deduce violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 2 e 4; degli artt. 2247, 2297, 2549 e segg. c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c.; omessa, insufficiente ed illogica motivazione su punti decisivi della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Sostiene l’Ufficio in primo luogo che la Commissione ha errato asserendo, sulla base della ritenuta sussistenza di un contratto di associazione in partecipazione tra i contraenti in luogo della contestata società di fatto, che le operazioni di compravendita immobiliare non fossero assoggettate ad IVA, in quanto trattandosi di operazioni commerciali erano in ogni caso assoggettate al tributo.

In secondo luogo, osserva che la Commissione aveva escluso la sussistenza di una società di fatto in forza dei rilievo che 1) il M. era dipendente pubblico; 2) tra il S. ed il Mo.

esisteva già una società in nome collettivo avente ad oggetto attività edilizia; che gli associati avrebbero realizzato un solo affare (costruzione e vendita di un fabbricato diviso in appartamenti).

Ad avviso dell’Agenzia, tale conclusione era errata in diritto in quanto le circostanze enunciate erano inidonee ad escludere la sussistenza di una società di fatto, per cui sussistevano i presupposti, (esistenza di un fondo comune, svolgimento in comune della attività, ripartizione dei guadagni e delle perdite, volontà di svolgere in comune una attività commerciale, in concreto sufficiente in quanto diretta a realizzare una opera edile complessa, ancorchè unica).

Era inoltre errata in fatto, in quanto la motivazione su cui la sentenza fondava la esistenza di una associazione in partecipazione era carente e contraddittoria, in quanto non teneva conto degli elementi accertati dalla G. di F, che deponevano in favore della esistenza di una società di fatto, ed in particolare che il M. aveva avuto nella attività commerciale un ruolo attivo di primaria importanza, del tutto incompatibile con la figura ed i limiti imposti all’associato in partecipazione dall’art. 2549 e segg.

c.c..

I contribuenti in controricorso contestano le tesi dell’Ufficio, fondando tuttavia la pretesa di esenzione dall’IVA sulla stipulazioni di contratti preliminari e non definitivi e sulla percezione di somme non a titolo di acconto sul prezzo degli immobili bensì di caparra confirmatoria, non avente natura di corrispettivo.

Il motivo è fondato in ordine alla prima censura.

E’invero non controverso in causa che l’attività posta in essere dai contribuenti aveva natura commerciale, essendo consistita nella edificazione di un fabbricato e nella messa in vendita degli appartamenti che lo componevano.

Ne consegue che, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 1, gli atti di compravendita immobiliare sono assoggettati ad IVA (costituendo mera questione di fatto, non rilevabile in questa sede, se le operazioni compiute in concreto abbiano avuto o meno i requisiti per concretare il presupposto di imposta) a nulla rilevando che vi fosse a monte tra i venditori un contratto di associazione in partecipazione.

Difatti, ove riscontrata tale tipologia contrattuale, non era assoggettabile ad Iva unicamente l’apporto dell’associato inteso come bene che trasferisce all’assodante od il servizio che si impegna a svolgere in suo favore, ai sensi del D.P.R. citato, art. 2, comma 2, lett. e) e dell’art. 3, comma 4, lett. d), nella formulazione vigente “ratione temporis” avendo natura di “conferimento in associazione” (v. Cass. n. 6466 del 2-7-1998) ipotesi tuttavia che non viene in considerazione, nemmeno per implicito, nella sentenza impugnata, in cui viene in considerazione l’oggetto della attività associata, ovvero la vendita di immobili. Pertanto, sussiste la violazione di legge contestata. E’ pure sussistente il dedotto vizio di motivazione.

Invero, dopo avere esposto circostanze di fatto non contestate, ovvero l’essere il M. dipendente pubblico, l’avere la società in nome collettivo esistente tra il S. ed il Mo. autonoma capacità edilizia, l’essere l’accordo limitato alla costruzione di un solo immobile, conclude su tali basi per la esistenza di un contratto di associazione in partecipazione in quanto ” un soggetto associante ( S.- Mo.) riceve da un altro soggetto associato ( M.) un determinato apporto (una somma di denaro od un bene) e gli attribuisce in cambio una partecipazione agli utili di impresa o più limitatamente di uno o più affari. L’apporto dell’associato non concorre a formare un fondo, comune alle parti, ma entra nel patrimonio dell’associante”.

Deve in primo luogo rilevarsi che le circostanze di cui sopra, le uniche esposte aventi attinenza con il caso concreto, non sono idonee ad escludere la esistenza di una società di fatto; e nemmeno lo è la considerazione conclusiva della commissione sulla inesistenza della società per mancanza di un atto costitutivo scritto. La società di fatto invero prescinde dalle qualità o capacità personali dei contraenti e si fonda sul concorso di due elementi: uno oggettivo (conferimento beni o servizi in un fondo comune) ed uno soggettivo (comune intenzione dei contraenti di collaborare per conseguire risultati comuni nell’esercizio collettivo di una attività imprenditoriale) e non è esclusa dal fatto che il fine degli associati consista nel compimento di una opera unica purchè di obiettiva complessità (cd. “società occasionali”) ovvero dalla mancanza di un atto scritto, (Ndr: testo originale non comprensibile) la costituzione che può risultare da manifestazioni esteriori della attività di gruppo, quando esse, per la loro sintomaticità e concludenza, evidenzino la esistenza della società (v. Cass. n. 1961 del 2000; n. 4089 del 2001).

Rilevata quindi la irrilevanza degli elementi addotti in senso negativo per escludere la sussistenza di una società di fatto, deve prendersi atto che la Commissione ha omesso la esposizione degli elementi positivi a sostegno della diversa ipotesi di associazione in partecipazione.

Infatti, dopo avere esposto in modo astratto gli elementi caratteristici della associazione in partecipazione elencati all’art. 2549 c.c., riferendoli al M. quale supposto associato ed alla società Sale e Mocci come assodante, omette di esporre gli elementi concreti idonei a ritenere verificata in fatto la ipotesi ravvisata.

In particolare non spiega quali fossero la natura e la composizione in concreto, dell’apporto del M. quale associato, ed in cosa consistesse l’attività allo stesso delegata, punto questo essenziale in quanto elemento distintivo della associazione in partecipazione è la esclusione dell’associato dalla gestione dell’affare riservata all’assodante, verso cui mantiene unicamente poteri di controllo (art. 2552 c.c.).

Si verifica quindi vizio di motivazione per insufficienza della stessa a spiegare l’iter logico-giuridico alla base della decisione.

Pare inoltre ravvisabile una errata valutazione di circostanze di fatto incontroverse acquisite al giudizio di segno opposto rispetto alla conclusione raggiunta, in quanto, a prescindere dai rilievi della G. di F. solo genericamente indicati dall’Ufficio in violazione dei canoni di autosufficienza del ricorso, gli stessi contribuenti, in controricorso, ammettono espressamente uno di questi elementi, ovvero che il M. avesse stilato alcuni preliminari di vendita di appartamenti; attività certo non compatibile con il citato divieto di ingerenza nell’affare di cui al citato art. 2552 c.c..

La sentenza quindi deve essere cassata e rinviata, anche per le spese, a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Sardegna.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Sardegna.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010

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