Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4588 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. III, 11/02/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 11/02/2022), n.4588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20502/2019 R.G. proposto da:

Comune di Carovigno, rappresentato e difeso dall’Avv. Giacomo Massimo

Ciullo, con domicilio eletto in Roma, via Vaglia n. 11 – scala B,

presso la Dott.ssa Gioia Quattrocchi;

– ricorrente –

contro

G.B., D.C.G.L., Gi.Ma.An.,

D.S.E., D.C. e R.S., rappresentati e

difesi dall’Avv. Dario Vitale, con domicilio eletto in Roma, via

Federico Cesi, n. 72;

– controricorrenti –

e nei confronti di:

Alberico Immobiliare S.r.l., in liquidazione (già Alberico

Immobiliare S.p.a.);

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, n. 277/2019,

pubblicata il 20 marzo 2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 15 dicembre

2021 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.B., D.C.G.L., Gi.Ma.An., D.S.E., D.C. e R.S. convennero in giudizio davanti al Tribunale di Brindisi il Comune di Carovigno e la Alberico Immobiliare S.p.A. chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni derivanti agli immobili da ciascuno di essi occupati (dal G. quale usufruttuario, dagli altri quali proprietari), siti all’interno del complesso (OMISSIS) e costituiti da vani posti a piano terra e a piano interrato, a causa dell’allagamento verificatosi il (OMISSIS).

Esposero a fondamento che:

– il complesso turistico era stato realizzato dalla Alberico Immobiliare dopo aver stipulato in data 1 giugno 1990 convenzione per l’attuazione e realizzazione di un progetto di lottizzazione con il comune;

– la convenzione prevedeva la realizzazione di strade, fognature e sottofondo da parte della società sotto la supervisione dell’Ufficio tecnico comunale;

– con atto pubblico del 10 luglio 1992 la società costruttrice aveva ceduto le aree destinate a opere di urbanizzazione al comune;

– a seguito delle precipitazioni del (OMISSIS) le acque meteoriche erano esondate dai canali di scolo e sgrondo siti nei terreni circostanti il complesso e, unitamente a quelle che avevano allagato le campagne, nonché a quelle che erano defluite sulla strada comunale, si erano accumulate alle spalle del muro perimetrale lato sud del villaggio già fortemente danneggiato, esercitando su di esso una forte spinta che la mattina del (OMISSIS) ne aveva provocato il crollo, con conseguente allagamento dei loro appartamenti.

Da qui le responsabilità in tesi ascritte, rispettivamente, alla società per aver realizzato il complesso in una zona notoriamente soggetta allo scorrimento delle acque in assenza di adeguate soluzioni costruttive, ed all’amministrazione comunale, quale ente proprietario e gestore delle opere di urbanizzazione primaria e delle strade limitrofe.

2. All’esito della svolta istruzione il tribunale rigettò le domande, avendo ritenuto, alla luce dei dati pluviometrici rilevati dalla Stazione di (OMISSIS) nel corso del 2006, ed “in base al raffronto analitico delle precipitazioni registrate quotidianamente e quindi mese per mese in tale periodo di tempo”, “il carattere assolutamente straordinario delle relative precipitazioni meteoriche, considerato che nelle sole giornate del (OMISSIS) veniva registrato un dato pluviometrico (207 mm) pari a circa il doppio del dato complessivo relativo alle precipitazioni dell’intera stagione autunnale dell’anno 2006” e che, pertanto, l’eccezionalità dell’evento, confermata anche dal c.t.u., “era in grado di assorbire totalmente il determinismo causale inerente ai danni lamentati”.

Secondo il primo giudice non erano pertanto condivisibili le conclusioni del c.t.u. circa il rilievo concausale attribuibile alla mancanza di adeguati sistemi di drenaggio delle acque meteoriche all’interno e all’esterno del complesso, avendo lo stesso c.t.u. ritenuto “assai arduo” sostenere tecnicamente l’attribuzione di un valore percentuale al contributo di ciascuna delle cause all’uopo riscontrate in merito.

3. In riforma di tale decisione, la Corte d’appello di Lecce ha invece riconosciuto la responsabilità solidale, ex art. 2055 c.c., degli enti appellati e per l’effetto – al netto del concorso del fatto colposo ascritto agli attori, nella percentuale del 25%, ai sensi dell’art. 1227 c.c., per l’inerzia anche da essi mantenuta, una volta subentrati alla costruttrice, rispetto ai necessari interventi sui sistemi di deflusso all’interno dell’area lottizzata – ha condannato entrambi, in solido, al risarcimento dei danni, liquidati negli importi indicati in sentenza (compresi tra un minimo di Euro 20.969,79 in favore del D. e un massimo di Euro 31.989,72 in favore della D.S.).

Richiamate le conclusioni del c.t.u., secondo cui l’evento era stato causato da “fattori naturali relativi alla effettiva straordinarietà dell’evento e da cause antropiche relative ad omissioni o errate condotte”, ha infatti rilevato che “l’accurata descrizione dei luoghi e degli inidonei o, meglio, degli inesistenti sistemi di deflusso” consentono di “escludere l’efficacia causale esclusiva delle precipitazioni”, non essendo stata “fornita la prova, gravante sul custode, che questi abbia mantenuto la condotta diligente nel caso concreto e che le piogge siano state talmente intense che gli allagamenti si siano ciononostante, e nella stessa misura, verificati (cfr. Cass. 9/3/2010, n. 5658)”.

Ha quindi soggiunto che, per il principio di equivalenza causale (art. 41 c.p.), a nulla rilevava che il c.t.u. (per premettendo trattarsi di calcolo “tecnicamente arduo”) avesse ascritto l’evento dannoso in termini percentuali alle piogge eccezionali (55%), all’assenza di idonee opere di deflusso all’esterno (30%) ed all’interno (15%) del villaggio residenziale.

4. Avverso tale decisione il Comune di Carovigno propone ricorso per cassazione affidandolo a due motivi, cui resistono i soggetti suindicati, depositando controricorso ed a loro volta proponendo ricorso incidentale con tre mezzi.

L’altra intimata, Alberico Immobiliare S.r.l. in liquidazione, non svolge difese in questa sede.

La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Il ricorrente e i controricorrenti, ricorrenti incidentali, hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale il Comune di Carovigno denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 1227 c.c..

1.1. Sotto il primo profilo lamenta che la corte d’appello non ha fatto corretta applicazione dell’art. 2051 c.c., in punto di prova del caso fortuito, dal momento che, diversamente da quanto da essa ritenuto, tale prova era stata ampiamente fornita nella specie, in conformità ai criteri dettati da Cass. 01/02/2018, n. 2482, attraverso i “dati pluviometrici”, confermati anche dalla c.t.u., che attestavano come le precipitazioni abbattutesi il (OMISSIS) avessero i caratteri di vera e propria alluvione.

1.2. Sotto il secondo profilo lamenta falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2 (recte: primo), rilevando che il notevole lasso di tempo intercorso tra i primi allagamenti e quello per cui è causa (oltre 10 anni) avrebbero dovuto indurre a valorizzare la determinante ed esclusiva efficienza causale del comportamento passivo, inerte ed imprudente dei danneggiati, nella produzione dell’evento che ha cagionato il danno lamentato.

Ciò in particolare considerando che, come documentato in giudizio, il comune non aveva mai rilasciato alla società lottizzante e realizzatrice del complesso immobiliare il certificato di collaudo delle opere di urbanizzazione e, di conseguenza, neppure il certificato di abitabilità delle singole unità immobiliari, che per tale motivo risultano essere anche abusive.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità per omessa motivazione in violazione delle norme di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6”.

Afferma che la corte d’appello ha realizzato in motivazione “un vero e proprio collage” di due sentenze della Suprema Corte (n. 18856 del 2017 e n. 15991 del 2011), così in sostanza motivando per relationem, attraverso il rinvio a precedenti giurisprudenziali, senza però rendere con ciò possibile “il percorso argomentativo seguito”.

3. Con il primo motivo del ricorso incidentale G.B., D.C.G.L., Gi.Ma.An., D.S.E., D.C. e R.S. denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., commi 1 e 2, in relazione all’art. 2051 c.c. e 41 c.p. e vizio di motivazione”.

Lamentano che erroneamente la corte d’appello ha ritenuto la sussistenza dl fatto colposo dei danneggiati senza verificare il rapporto di causalità adeguata e/o efficiente tra le condotte loro storicamente imputabili e la genesi dell’evento dannoso; l’errore sarebbe in particolare consistito nel non aver rilevato che, a partire dal 1992, i danneggiati non avevano alcuna possibilità di controllare la cosa o di modificare la situazione di pericolo insita nella sua natura.

4. Con il secondo motivo essi denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., commi 1 e 2, e vizio di motivazione”.

Lamentano che erroneamente la corte territoriale ha ravvisato il fatto colposo dei danneggiati nell’avere essi omesso, quali aventi causa della società lottizzante, di realizzare le opere di urbanizzazione interne al complesso (fogna e opere di deflusso).

Rilevano che qualsiasi opera o intervento avrebbe modificato la proprietà acquistata dall’ente pubblico nel 1992 e ne avrebbe turbato il possesso conseguito con il medesimo atto, con la conseguenza che alcun intervento era esigibile nei confronti dei danneggiati, poiché li avrebbe esposti al rischio di incorrere in illecito, anche di natura penale, per violazione del diritto di proprietà pubblica e per la realizzazione di manufatti non previsti da alcuna concessione.

5. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano, infine, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, “nullità per omessa motivazione in violazione delle norme di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 111 Cost., comma 6″.

Rilevano che l’inciso motivazionale posto a fondamento dell’affermazione della sussistenza del concorso del fatto colposo dei danneggiati ex art. 1227 c.c., si pone in irriducibile contrasto con tutta la ricostruzione e qualificazione dei fatti e degli atti che, fino a quel punto, aveva coerentemente condotto la corte d’appello al riconoscimento della qualità di custode in capo al comune, quale proprietario e possessore dal 1992, e, quindi, all’affermazione della irrilevanza di qualsivoglia altra concausa non riconducibile all’adempimento dei doveri gravanti sull’ente pubblico.

La motivazione sarebbe, in particolare, resa incomprensibile, secondo i ricorrenti incidentali, dall'”irriducibile contrasto tra affermazioni inconciliabili” quali:

a) da un lato, quella, appunto, dell’esistenza del fatto colposo dei danneggiati, derivante – inferiscono i ricorrenti – dalla violazione di un obbligo giuridico di attivarsi avente natura contrattuale;

b) dall’altro, la conclusione che “le conseguenze delle precipitazioni atmosferiche vanno ascritte sia all’omesso controllo, quale custode, del comune, sia alla mancanza di idonei sistemi di deflusso anche all’interno dell’area lottizzata”: conclusione questa -rimarcano i ricorrenti – raggiunta “dopo l’espresso riconoscimento che la proprietà ed il possesso delle opere interne ed esterne si appartiene al Comune dal 1992”.

6. La prima delle censure svolte con il primo motivo del ricorso principale è fondata, nei termini appresso precisati, con conseguente assorbimento sia delle restanti censure svolte in detto ricorso, sia del ricorso incidentale.

6.1. Giova premettere che, al di là di taluni eccentrici ancorché ricorrenti riferimenti a profili soggettivi inerenti alla condotta ed alla diligenza osservata, appare chiaro che il fondamento giuridico della responsabilità ascritta al comune sia individuato in sentenza nell’art. 2051 c.c., in ragione della qualità in capo all’ente di custode del territorio comunale circostante, nonché delle opere di urbanizzazione primaria e dei sistemi di deflusso delle acque piovane esterni al complesso.

6.2. In materia, come è noto, questa Corte, sottoponendo a revisione i principi in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1 febbraio 2018, nn. da 2477 a 2483, che:

a) “l’art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l’evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima”;

b) “la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell’art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l’evento dannoso”;

c) “il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall’accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere”;

d) “il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall’esclusiva efficienza causale nella produzione dell’evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”.

7. Con particolare riferimento all’ipotesi – che qui viene in rilievo – in cui l’eziologia dell’evento dannoso abbia origine da precipitazioni atmosferiche, Cass. n. 2482 del 2018 (da cui è tratta l’enunciazione dei principi sopra trascritta, nella sostanza comunque sovrapponibile a quella contenuta anche nelle altre sopra citate pronunce) ha evidenziato quali criteri debbano presiedere alla valutazione dell’evento meteorico in termini di caso fortuito, e dunque come fatto idoneo ad assumere esclusiva efficienza causale nella determinazione del danno.

Al riguardo, sulla scorta di precedenti approdi giurisprudenziali (in particolare di Cass. n. 25837 del 2017) ed in coerenza con i principi teste’ ricordati, ha rimarcato (in sintesi) che:

– la riconducibilità all’ipotesi di “caso fortuito”, di cui (anche, ma non solo) alla fattispecie legale disciplinata dall’art. 2051 c.c., è condizionata dal possesso dei caratteri dell’eccezionalità e della imprevedibilità, mentre quello della inevitabilità rimane intrinseco al fatto di essere evento atmosferico;

– per caso fortuito deve intendersi un avvenimento imprevedibile, un quid di imponderabile che si inserisce improvvisamente nella serie causale come fattore determinante in modo autonomo dell’evento; il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non e’, quindi sufficiente, di per sé solo, a configurare tale esimente, in quanto non ne esclude la prevedibilità in base alla comune esperienza;

– al fine di poter ascrivere le precipitazioni atmosferiche nell’anzidetta ipotesi di esclusione della responsabilità ai sensi dell’art. 2051 c.c., “la distinzione tra “forte temporale”, “nubifragio” o “calamità naturale” non rientra nel novero delle nozioni di comune esperienza ma – in relazione alla intensità ed eccezionalità (in senso statistico) del fenomeno – presuppone un giudizio da formulare soltanto sulla base di elementi di prova concreti e specifici e con riguardo al luogo ove da tali eventi sia derivato un evento dannoso” (Cass. n. 522 del 1987); ciò anche perché “il discorso sulla prevedibilità maggiore o minore di una pioggia a carattere alluvionale certamente impone oggi, in considerazione dei noti dissesti idrogeologici che caratterizzano il nostro Paese, criteri di accertamento improntati ad un maggior rigore, poiché è chiaro che non si possono più considerare come eventi imprevedibili alcuni fenomeni atmosferici che stanno diventando sempre più frequenti e, purtroppo, drammaticamente prevedibili”;

– in tale ottica, dunque, l’accertamento del “fortuito”, rappresentato dall’evento naturale delle precipitazioni atmosferiche, deve essere essenzialmente orientato da dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia;

– all’ambito di tale indagine rimangono estranei profili inerenti alla colpa del custode nella predisposizione di cautele (specifiche e/o generiche) atte a rendere la res idonea a non arrecare pregiudizio allo scopo; sicché, l’allegazione dello “stato” del sistema di smaltimento di dette acque, nella sua effettiva consistenza attualizzata al momento del sinistro, viene ad assumere rilievo unicamente ai fini della dimostrazione del nesso causale tra la “cosa” medesima e l’evento lesivo.

Questi rilievi la citata pronuncia ha quindi condensato nel principio secondo cui “le precipitazioni atmosferiche integrano l’ipotesi di caso fortuito, ai sensi dell’art. 2051 c.c., allorquando assumano i caratteri dell’imprevedibilità oggettiva e dell’eccezionalità, da accertarsi con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i c.d. dati pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia, la quale va considerata nello stato in cui si presenta al momento dell’evento atmosferico”.

8. Tale principio, ai quali la giurisprudenza successiva si è più volte uniformata (Cass. Sez. U. nn. 616 del 2019; n. 5422 del 2021; n. 15574 del 2021; Cass. n. 32223 del 2018; n. 18075 del 2018; n. 33243 del 2019; n. 31066 del 2019; n. 30521 del 2019; n. 14861 del 2019; n. 14571 del 2019; n. 36715 del 2021) e cui si intende qui dare continuità, deve ritenersi non rispettato nella specie.

La corte territoriale ha infatti condotto l’indagine volta a verificare l’eventuale sussistenza del caso fortuito, invocato dal custode ad esenzione della propria responsabilità, secondo criteri non conformi a quelli in proposito dettati da questa Corte.

La motivazione poggia, invero, essenzialmente sul rilievo, già sopra ricordato, secondo cui non era stata “fornita la prova, gravante sul custode, che questi abbia mantenuto la condotta diligente nel caso concreto e che le piogge siano state talmente intense che gli allagamenti si siano ciononostante, e nella stessa misura, verificati”, essendo piuttosto emersa l’inidoneità (o meglio l’inesistenza) dei sistemi di deflusso.

In tal modo, però, la corte attribuisce rilievo ad elementi che dovevano invece rimanere estranei alla propria indagine, ossia: da un lato alla diligenza osservata dal custode; dall’altro, allo stato dei sistemi di deflusso, il quale (stato), come detto, assume rilievo unicamente ai fini della dimostrazione del nesso causale tra la “cosa” e l’evento lesivo.

Per converso, con riferimento al fatto che doveva invece costituire oggetto centrale della sua disamina (l’evento meteorologico), la corte esprime una valutazione eccentrica, oltre che sostanzialmente apodittica.

Come detto, al riguardo la corte avrebbe dovuto infatti (solo) valutare se l’evento fosse da considerare “eccezionale e imprevedibile” e ciò avrebbe dovuto fare non sulla base di criteri o parametri generici e sostanzialmente soggettivi e non verificabili, bensì sulla base di “dati scientifici di stampo statistico (in particolare, i dati c.d. pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia”: sempre che, naturalmente, tali dati fossero stati acquisiti in giudizio nel rispetto del criterio di riparto del relativo onere (nella specie gravante sul custode).

La valutazione condotta dai giudici a quibus non considera però alcuno di tali elementi e si limita a ritenere dirimente la mancata prova, da parte del comune, che ove gli impianti di deflusso fossero stati realizzati o lo fossero stati in modo più accorto, l’evento dannoso, indipendentemente dall’entità del fenomeno, non si sarebbe verificato.

Si tratta, però, con evidenza di un ragionamento tautologico, oltre che estraneo al paradigma normativo surricordato.

Intanto la prova, che secondo la corte pugliese avrebbe dovuto darsi, avrebbe potuto rilevare al fine di escludere la responsabilità del custode, in quanto fosse prevedibile – secondo criterio oggettivo di regolarità causale – l’evento e quindi la necessità di adottare maggiori cautele. Se tale prevedibilità non era invece predicabile, non poteva nemmeno assumere rilievo la mancata prova che maggiori cautele (ovvero un migliore sistema di deflusso) avrebbero potuto evitare l’evento dannoso.

Sul punto, peraltro, può segnalarsi altro implicito errore di impostazione. La inevitabilità che connota il caso fortuito deve essere riferita non all’evento dannoso ma, appunto, al caso fortuito, ossia al fattore esterno al rapporto causale che lega la cosa all’evento dannoso: nel caso in esame all’evento naturale che però, come detto, trattandosi di fenomeno meteorico e’, per definizione, inevitabile.

La verifica dunque, va ribadito, andava limitata alla eccezionalità e imprevedibilità dell’evento naturale: da operarsi, come ricordato, sulla base di soli dati obiettivi, ritualmente somministrati dalla parte onerata (cioè dal custode), riferiti ad un lasso temporale amplissimo – quanto meno di numerosi decenni – e non limitato all’angusto intervallo preso in considerazione.

9. Vero è che, come s’e’ già avvertito, l’onere di offrire in giudizio documentazione idonea a consentire detta verifica incombe al custode, proprio in quanto gravato dell’onere di dar prova del caso fortuito. Al riguardo però, nella specie, la sentenza esibisce delle valutazioni non univoche e comunque tali per cui non può ritenersi che essa abbia escluso il caso fortuito per mancanza di dati scientifici sufficienti o idonei.

Pronunciando infatti sul primo motivo d’appello, con il quale gli appellanti (odierni controricorrenti) avevano lamentato l’utilizzo da parte del c.t.u. delle carte pluviometriche della stazione di (OMISSIS), in luogo di quelle della più vicina stazione di (OMISSIS), senza rispondere ai rilievi sul punto mosso dal c.t.p. e senza nemmeno motivare il rigetto della richiesta di chiarimenti al c.t.u., l’ha respinto sul rilievo che (l’enfasi è qui aggiunta) “pur tenendo presente che le condizioni climatiche possono variare (in meglio o in peggio) da una zona all’altra, si può fare riferimento, con ottima attendibilità, a tali dati, in quanto la stazione meteorologica dell'(OMISSIS) dista, in linea d’aria, da “(OMISSIS)” poco più di dieci chilometri” (v. pag. 5 della sentenza; rilievo ribadito, se ben s’intende, anche nella successiva pag. 10, con l’inciso, leggibile nelle righe 3-4, “ferma l’irrilevanza delle carte pluviometriche adottate”).

10. Deve dunque, in conclusione, ritenersi fondato il motivo nella parte in cui denuncia error in iudicando con riferimento all’art. 2051 c.c..

In buona sostanza, infatti, i criteri di valutazione applicati nella disamina della fattispecie concreta ne hanno determinato una ricostruzione che non giustifica ancora l’esclusione del caso fortuito: errore di impostazione tanto più apprezzabile ove si consideri che, invece, il primo giudice non l’aveva commesso (avendo egli concentrato l’attenzione sui dati pluviometrici) ed era stato appunto devoluto alla corte d’appello il compito di ripercorrerne il ragionamento al fine di valutare, nel merito, l’esattezza o meno delle conclusioni, in ragione dell’idoneità ed attendibilità dei dati considerati.

11. In accoglimento, dunque, del primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo, il quale dovrà riesaminare la fattispecie alla luce dei surrichiamati principi affermati da Cass. n. 2482 del 2018 e tenendo presente che l’evento, per potersi apprezzare oggettivamente come eccezionale e potersi dunque riverberare anche sulla sua (im)prevedibilità, oltre a doversi valutare esclusivamente su basi scientifiche (dati pluviometrici riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia), deve avere “tempi di ritorno” molto elevati; deve cioè essere suscettibile di ripetersi dopo intervalli misurabili non in anni ma in molti decenni: accertamento, questo, che prescinde dalla considerazione isolata del singolo episodio e deve invece inquadrarlo in una rilevazione statistica di lungo periodo, sola idonea ad oggettivizzarne le caratteristiche; mentre, in difetto di tale positivo accertamento in base ai dati che la parte che invoca esimersi da responsabilità dovrà sottoporre al giudicante, non potrà escludersi la responsabilità del custode ai sensi della richiamata norma dell’art. 2051 c.c..

Al giudice di rinvio va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.

12. Rimane conseguentemente assorbito, come detto, anche l’esame del ricorso incidentale. Rilevando, infatti, il fatto colposo dei danneggiati non di per sé ma solo quale fattore di riduzione della responsabilità risarcitoria del danneggiante, se ne ha motivo di valutazione solo nel caso in cui questa sia accertata.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso principale, nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbito il secondo; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Lecce, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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