Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4587 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. III, 11/02/2022, (ud. 17/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4587

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15908-2019 proposto da:

R.G., in proprio e quale erede di T.A.,

domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA

della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

STEFANO BOERO;

– ricorrente –

contro

M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE LIBIA 4,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GALIENA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEOPOLDI CONTI;

– controricorrente –

I.R.C.C.S. AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA “SAN MARTINO”;

P.D.;

ZURICH INSURANCE PUBBLIC LIMITED COMPANY RAPPRESENTANZA GENERALE PER

L’ITALIA;

– intimati-

avverso la sentenza n. 466/2019 della CORTE DI APPELLO DI GENOVA,

depositata il 27/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella udienza pubblica del

17/01/2022 dal Consigliere Dott. VINCENTI ENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale PEPE

ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARIA ANTONIA GIOFFRE’ per delega.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione dell’aprile 2013, R.G., in proprio e in qualità di erede del coniuge T.A., convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Genova, l’IRCSS Azienda Ospedaliera Universitaria “San Martino – Istituto nazionale per la ricerca sul cancro” (di seguito anche soltanto “Ospedale San Martino di Genova”), nonché i sanitari P.D., in qualità di primario di pneumologia, e M.P., in qualità di medico curante, al fine di sentirli dichiarare responsabili del decesso della congiunta, verificatosi il (OMISSIS), per tardiva individuazione della fibrosi polmonare di cui la stessa era affetta, nonché per inadeguato trattamento di detta patologia, anche senza previa acquisizione di consenso informato, con conseguente condanna dei convenuti al risarcimento di tutti i danni patiti, in proprio e iure hereditatis, da esso attore.

1.1. – Instauratosi il contraddittorio con la costituzione in giudizio di tutti i convenuti e della “Zurich Insurance Public Limited Company, Rappresentanza Generale per l’Italia” (di seguito, “Zurich Insurance”), chiamata in causa su istanza del M., l’adito Tribunale, con sentenza resa nel maggio del 2016, accolse parzialmente le domande attoree, reputando fondata soltanto quella di violazione del diritto all’autodeterminazione della Trevisani, per non esser stata informata, durante il ricovero ospedaliero, “sulla diagnosi, sulla prognosi di sopravvivenza e sugli effetti collaterali della terapia immunosoppressiva cui era sottoposta”, con conseguente condanna dell’Ospedale San Martino di Genova e del P., in solido tra loro, al risarcimento dei danni subiti dal R. nella sua qualità di erede, liquidati in Euro 3.333,33, oltre interessi legali.

Il primo giudice, inoltre, compensò per la metà le spese di lite tra l’attore e i predetti convenuti, mentre condannò l’attore medesimo a rifondere le spese di giudizio al M., nei cui confronti rigettò integralmente la pretesa del R..

2. – R.G. proponeva gravame avverso tale sentenza, che la Corte di appello di Genova – nel contraddittorio con l’Ospedale San Martino di Genova, il P., il M. e la Zurich Insurance -, con sentenza resa pubblica il 27 marzo 2019 e notificata il 2 aprile 2019, disattendendo le eccezioni di inammissibilità dell’impugnazione sollevate dal M. e dalla Zurich Insurance, rigettava nel merito, con condanna dell’appellante soccombente al pagamento delle spese del grado in favore di tutti gli appellati.

2.1. – A fondamento della decisione, il giudice di appello, per quanto ancora rileva in questa sede, osservava che: a) “attesi gli esiti delle plurime indagini medico-legali svolte, era evidente che l’ulteriore attività istruttoria invocata era comunque del tutto inidonea a dotare di chances la tesi attorea secondo cui la morte della moglie (affetta da una assai grave e veloce malattia polmonare con prognosi infausta) sarebbe stata causata da colpe mediche”; b) “la terapia antiinfiammatoria ed immunosoppressiva, (infatti praticata), era quella prevista dallo “stato dell’arte” dell’epoca per la grave malattia (fibrosi polmonare)”; c) “la circostanza che tale terapia immunosoppressiva potesse aver determinato o favorito l’infezione concausativa della morte rientrava nell’effetto collaterale inevitabile di ogni terapia immunosoppressiva da utilizzarsi con cautela e solo quando strettamente necessario, cautela e necessarietà ravvisabili nel caso concreto”; d) “palesemente infondata si manifestava la tesi difensiva che vorrebbe il Dott. M. corresponsabile dell’asserita colpa nosocomiale per aver avallato le cure ospedaliere”, sul rilievo per cui, in disparte il già detto rilievo di adeguatezza delle cure somministrate, il medico di famiglia “rispetto ai medici specialisti di un determinato reparto ospedaliero, non (aveva) di norma né le competenze specialistiche, per sindacare l’operato terapeutico dei sanitari ospedalieri, né il potere di condizionare le condotte di essi sanitari, né alcuna compartecipazione alle scelte di essi, restando, sostanzialmente al pari di un congiunto del ricoverato, un mero visitatore”; e) “persino la madre (…) della defunta Trevisani (…) dichiarava in sede testimoniale di collocare l’ultimo accesso della figlia insieme a lei nello studio del Dott. M. (…) a circa un anno dalla morte”, non comprendendosi, quindi, “come il medico di base potesse diagnosticare preventivamente la fibrosi polmonare di cui cominciarono a riscontrarsi i segni solo a seguito di un ricovero nel (OMISSIS)”; f) andava confermata “la quantificazione del danno morale operata dal primo giudice” per violazione del consenso informato, in forza di “equilibrata… stima equitativa (Euro 5.000 per l’intero, di cui solo 2/3 di competenza dell’attore ai sensi dell’art. 582 c.c….)”, in assenza di deduzioni e di prova su “una ben diversa consistenza del danno” in questione, e ciò sul presupposto che, seppure la violazione del consenso informato era lesiva dei diritti fondamentali della Trevisani, era, per un verso, assai probabile che la paziente, “quand’anche regolarmente informata per iscritto che la terapia immunodepressiva avrebbe potuto provocarle delle infezioni, non si sarebbe negata a tale terapia, avuto riguardo alla estrema gravità della sua malattia polmonare ed all’assenza, almeno all’epoca, di altre concrete ed efficaci soluzioni terapeutiche per il contrasto della fibrosi polmonare” e, per altro verso, “l’eventuale consapevole rifiuto da parte della Trevisani di tale trattamento non avrebbe sostanzialmente modificato gli effetti esiziali della sua malattia, effetti a cui l’infezione può solo aver contribuito, secondo quanto emerge dalle menzionate consulenze e perizie”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre R.G., affidando le sorti dell’impugnazione a tre motivi.

E’ stato depositato controricorso nell’interesse di M.P., che ha rilasciato procura per “rappresentare e difendere Banca Ifis s.p.a.”.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati Ospedale San Martino di Genova, P.D. e la Zurich Insurance.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del controricorso.

Dalla lettura della procura rilasciata in calce a detto atto si evince che il mandato difensivo risulta conferito dal M. per “rappresentare e difendere Banca Ifis s.p.a. nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione avverso la sentenza n. 466/2019 della Corte d’Appello di Genova (…)” e nello stesso controricorso (p. 2) si ribadisce che “Banca IFIS S.p.A., costituendosi nell’intestato giudizio, rappresentata e difesa come in epigrafe, eccepisce, preliminarmente, l’assoluta e palese inammissibilità dell’avverso ricorso così come la palese infondatezza di tutti i motivi proposti”.

Sicché, non essendo affatto specificati nella procura medesima o nello stesso controricorso quali siano gli eventuali rapporti giuridici tra i due soggetti (né tantomeno di tali rapporti è stata fornita dimostrazione alcuna), non è dato comprendere come la Banca Ifis S.p.A., si ricolleghi alla persona fisica conferente il mandato difensivo e in che veste sia legittimata a partecipare al giudizio di legittimità, essendo sempre risultato il solo M. il soggetto individuato come parte convenuta nella presente controversia.

2. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, nonché la “omessa decisione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” in ordine ai presupposti di accertamento della responsabilità del M. per “omessa diagnosi e per corresponsabilità relativa alle scelte terapeutiche effettuate durante il ricovero”; è altresì dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., artt. 1218 e 2697 c.c..

In primo luogo, sarebbe evidente come il giudice di appello (e già il primo giudice) abbia “totalmente estrapolato dal contesto una singola frase dalla testimonianza della madre della sig.ra T., così incorrendo in un grossolano errore che (concernerebbe) la mera correttezza della lettura delle dichiarazioni testimoniali”. Tale lamentato errore consisterebbe nel rilievo per cui l’ultima visita medica della T. effettuata dal M. sarebbe stata risalente all’anno precedente al ricovero, mentre non sarebbe stato considerato il dato per cui, come emergerebbe dalla trascritta testimonianza, la medesima T. si sarebbe nuovamente recata dal medico curante prima del ricovero.

Inoltre, sussistendo ormai giudicato sulla natura contrattuale della responsabilità del M. per “aver omesso di diagnosticare tempestivamente la malattia della Sig.ra T. e di aver omesso di indirizzarla da uno specialista in pneumologia”, il secondo giudice avrebbe altresì “violato il principio dell’inversione dell’onere probatorio, in virtù del quale sarebbe stato il Dott. M. a dover dimostrare di aver agito secondo diligenza, prudenza e perizia nella sua qualità di medico curante”. Onere della prova – soggiunge il ricorrente – rimasto inadempiuto, “poiché la malattia è stata tardivamente, e, peraltro, causalmente diagnosticata dai medici dell’ospedale di Bobbio in occasione di un ricovero avvenuto a seguito di sinistro stradale”.

2.1. – Il primo motivo di ricorso è inammissibile in tutta la sua articolazione.

2.1.1. – Quanto alla prima censura, che denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, essa è inammissibile per plurime ragioni.

2.1.1.1. – Va rammentato, anzitutto, che in ipotesi di cosiddetta “doppia conforme” in fatto, ex art. 348 ter c.p.c., comma 5, è escluso il controllo sulla ricostruzione sulla quaestio facti operata dai giudici di merito, sicché il sindacato di legittimità sulla sentenza di appello non è consentito ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o non si conformi al c.d. “minimo costituzionale”, ossia (quali ipotesi non ravvisabili nella specie) manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili.

Invero, è lo stesso R. a dedurre (p. 12 del ricorso) che il rilievo fattuale, asseritamente erroneo, per cui la T. sarebbe stata visitata dal M., come ultima volta, un anno prima del ricovero ospedaliero, è stato desunto dalla deposizione testimoniale della madre della T. medesima sia dal Tribunale, che dalla Corte territoriale, in ciò coincidendo l’accertamento di fatto operato dai due giudici, che rende inammissibile la doglianza veicolata ai sensi del citato n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (che, peraltro, il ricorrente deduce anche come vizio motivazionale, non denunciabile ratione temporis con l’impugnazione in esame).

2.1.1.2. – In ogni caso, là dove la doglianza parrebbe lamentare un vizio di travisamento della prova (cfr. pp. 12 e 13, che riportano uno stralcio della deposizione della madre della T., la quale teste ha riferito anche che la paziente “… era andata di nuovo dal Dott. M. ma lo non ero andata e non so cosa si fossero detti, prima del ricovero…”), essa, nella sostanza, viene a sollecitare, piuttosto, un riesame della valutazione – riservata al prudente apprezzamento del giudice del merito e inammissibile in sede di legittimità – della prova testimoniale, siccome insistente sulla prospettazione di una tesi difforme da quella recepita dal secondo giudice.

Difatti, il travisamento della prova non implica (come nella specie) una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che un’informazione probatoria, utilizzata dal giudice ai fini della decisione, è contraddetta da uno specifico atto processuale, così da mettere in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo della motivazione che sorregge la decisione stessa (Cass. n. 1163/2020; Cass. n. 3796/2020); ciò che non è dato affatto ravvisare in base alla prospettazione del ricorrente.

Del resto, l’errore di percezione, in relazione al travisamento della prova, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, non può ravvisarsi laddove la statuizione di esistenza o meno della circostanza controversa presupponga un giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze, che si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità (Cass. n. 25166/2019).

2.1.1.3. – La censura, infine, è inammissibile giacché non si confronta con la complessiva ratio decidendi posta dal giudice di appello a fondamento del giudizio di insussistenza della responsabilità del M..

Infatti, anche a voler prescindere dai rilievi, autonomi, di adeguatezza delle cure predisposte dal nosocomio convenuto, così come dalla sostanziale estraneità del medico curante rispetto a queste ultime, occorre evidenziare l’irrilevanza (oltre al difetto di specificità) della veicolata doglianza, poiché essa non si cura di criticare la ratio decidendi secondo cui i sintomi tipici di fibrosi polmonare a carico della T. “cominciarono a riscontrarsi… solo a seguito di un ricovero del (OMISSIS) presso l’Ospedale di Bobbio”, conseguente a sinistro stradale (p. 9 della sentenza impugnata). Ciò che, pertanto, rende comunque irrilevante, in quanto inidoneo a travolgere detto accertamento, anche l’eventuale ed ipotetica prova che la T. si sarebbe recata dal medico curante prima del ricovero, là dove, inoltref neppure è censurata dal ricorrente la statuizione della Corte territoriale sulla mancanza, nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2, del 30 luglio 2004, di capitoli di prova volti a dimostrare “che nei mesi anteriori al (OMISSIS)” la T. si fosse fatta visitare dal proprio medico o gli avesse segnalato un “peggioramento delle sue condizioni respiratorie” (p. 9 della sentenza impugnata).

2.1.2. – Il secondo profilo di censura, prospettante un error in iudicando, è anch’esso inammissibile.

Con esso, infatti, non si deduce, in modo idoneo e congruente, una errata applicazione o una violazione di norme disciplinanti la responsabilità civile del sanitario o il riparto dell’onere probatorio in detta materia, bensì un apprezzamento dei fatti volti a sostanziare l’ipotesi della responsabilità del M. per omessa diagnosi della fibrosi polmonare della T. e per la conseguente omessa indicazione di uno specialista che potesse curarla adeguatamente, ben diverso da quello effettuato dalla Corte territoriale che – come già detto (cfr. sintesi al p. 2.1. dei “Fatti di causa”; p. 2.1.1.3., che precede; inoltre, pp. 8 e 9 della sentenza impugnata detto) – ha escluso potersi addebitare quelle omissioni al predetto medico curante.

Del resto, un siffatto, inammissibile, orientamento della doglianza è disvelato anche dalla ulteriore dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., che si mostra affatto distonica rispetto al modo in cui essa può denunciarsi in sede di legittimità, ossia unicamente là dove il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (tra le molte, Cass. n. 11892/2016; Cass. n. 4699/2018).

3. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione” nonché la “omessa decisione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, unitamente alla doglianza, fatta valere ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, di violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., artt. 112,115 e 116 c.p.c., in ordine alla “quantificazione del danno morale per violazione operata dall’Ospedale San Martino e dal Dott. P. dell’obbligo di consenso informato”.

A tale riguardo, in ordine alla terapia somministrata presso l’Ospedale San Martino di Genova, parte ricorrente deduce che “gli odierni resistenti si siano del tutto inopinatamente discostati da una terapia che stava funzionando, contro il parere dei precedenti sanitari (dell’Ospedale di Bobbio) che avevano diagnosticato la malattia e iniziato una terapia che si stava rivelando corretta”. Ne deriverebbe che, “qualora (la paziente) fosse stata informata delle intenzioni del San Martino e soprattutto dei rischi che l’attuazione di quelle intenzioni avrebbe comportato, è lecito presumere che la stessa si sarebbe opposta, domandando di proseguire le terapie così come praticate con ottimi risultati dai sanitari che l’avevano avuta precedentemente in cura”.

3.1. – Anche il secondo motivo è inammissibile in tutta la sua articolazione.

In primo luogo, quanto al profilo di censura veicolato sub art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, esso, anzitutto, è prospettato in violazione dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che (come innanzi già evidenziato) in ipotesi di cosiddetta “doppia conforme” in fatto, non consente il sindacato di legittimità sulla sentenza di appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Inoltre, si presta in ogni caso al rilievo di inammissibilità sia la doglianza veicolata come vizio di motivazione ai sensi del non più vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sia quella di omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti, non si conformandosi quest’ultima al paradigma della citata norma processuale, nel testo attualmente vigente, poiché il ricorrente ha omesso di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (per tutte, Cass., S.U., n. 8053/2014).

Nel ricorso, infatti, non si dà conto delle deduzioni presenti nell’atto di appello, bensì di quelle soltanto dell’atto di citazione (cfr. da p. 16 a p. 21) e della comparsa conclusionale (non altrimenti specificata: cfr. da p. 21 a p. 23).

In ogni caso, e in forza di rilievo assorbente, la doglianza, nel suo complesso (e, dunque, anche sotto il profilo del dedotto error in iudicando), è orientata, peraltro con contestazione affatto generica dei criteri di liquidazione del qualificato “danno morale per violazione del consenso informato”, a sollecitare una rivisitazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, inerente all’accertamento della responsabilità della struttura sanitaria e del medico in essa operante, senza scalfire la ratio decidendi alla base della statuizione resa dalla Corte territoriale (in sintesi: a) assenza, all’epoca, di altre concrete ed efficaci soluzioni terapeutiche per il contrasto della fibrosi polmonare; b) effetti esiziali della malattia non modificabili dal rifiuto del trattamento somministrato presso l’Ospedale San Martino; c) omessa allegazione e prova di una diversa consistenza del danno da violazione del consenso informato. Cfr. p. 2.1. dei “Fatti di causa” e p.9 della sentenza impugnata).

E, difatti, le prospettate violazioni dell’art. 1226 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., sono priva di qualsivoglia supporto argomentativo congruente, non essendo, per un verso, attinta la anzidetta ratio sulla misura della liquidazione equitativa e, per altro verso, affatto indicato l’ubi consistam del vizio di omessa pronuncia di cui sarebbe viziata la sentenza di appello (avendo il ricorrente impugnato proprio la statuizione sulla domanda risarcitoria per il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione).

Quanto, infine, alle dedotte violazioni degli artt. 115 e 116 c.p.c., anch’esse, come detto in precedenza in riferimento al solo art. 115 c.p.c., disvelano l’orientamento della complessiva doglianza in guisa di sollecitazione di una rivalutazione delle emergenze probatorie, giacché, per quanto riguarda l’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), la relativa violazione è denunciabile in sede di legittimità (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4) non sotto il profilo dedotto dal R., ma solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (tra le molte, Cass. n. 11892/2016; Cass. n. 18092/2020).

4. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, per aver la Corte territoriale condannato esso appellante, ritenuto soccombente, al pagamento integrale delle spese processuali di secondo grado in favore del M. e della Zurich Insurance, là dove invece, in ragione del rigetto delle eccezioni di inammissibilità sollevate da detti appellati avverso l’atto di gravame, si era venuta a determinare una situazione di soccombenza reciproca, con conseguente necessità di statuizione di compensazione, totale o parziale, delle spese processuali.

4.1. – Il motivo è infondato.

La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali (art. 92 c.p.c., comma 2), si verifica – anche in relazione al principio di causalità – nelle ipotesi in cui vi è una pluralità di domande medesimo processo fra le stesse parti, ovvero venga accolta parzialmente l’unica domanda proposta, sia essa articolata in un unico capo o in più capi, dei quali siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri (tra le molte, Cass. n. 20888/2018).

Non rientra, dunque, nella nozione anzidetta l’ipotesi addotta dal ricorrente, di rigetto di eccezioni di inammissibilità del gravame, nel caso in cui (come nella specie) l’appello stesso venga rigettato integralmente nel merito; “il concetto di soccombenza rilevante ai fini della condanna alle spese si valuta sulla globalità della decisione di merito, non certo sulle eccezioni preliminari respinte” (così Cass. n. 4562/2014).

5. – Il ricorso va, dunque, rigettato.

Non occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente, essendo stato dichiarato inammissibile il controricorso, né nei confronti degli intimati Ospedale San Martino, P.D. e la Zurich Insurance, che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

 

 

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