Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4586 del 28/02/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 4586 Anno 2018
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: GIUDICEPIETRO ANDREINA

ORDINANZA
sul ricorso iscritto ai n. 26179/2011 R.G_ proposto da
Banca delle Marche S.p.A. (già Cassa di Risparmio di Pesaro), in
persona del I.r.p.t., rappresentata e difesa, dall’avv. Subirlo Brizzi, presso
cui elettivamente domicilia in Roma alla piazza Buenos Aires n.5;
– ricorrente contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore

pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in
Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente avverso la sentenza n.676/2010 emessa dalla Commissione Tributaria
Centrale, Sezione di Ancona, Collegio n.1.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 dicembre 2017
dal Consigliere Andreina Giudicepietro.
RILEVATO IN FATTO
1. La Banca delle Marche ricorre con un unico motivo contro l’Agenzia
delle Entrate ed il Ministero dell’Economia e Finanze, per la cassazione della
sentenza indicata in epigrafe n.676/2010 emessa dalla Commissione

1

Data pubblicazione: 28/02/2018

Tributaria Centrale, Sezione di Ancona, Collegio n.1, in controversia
concernente il diritto al rimborso dell’acconto di imposta IRPEG di cui al
D.P.R. n.116/1974.
2.

In particolare, con la cartella esattoriale n.7208, notificata alla ex

Cassa di risparmio di Pesaro in data 10/11/1974, veniva iscritto a ruolo
l’importo di 71.370.250 di vecchie lire a titolo di acconto dell’IRPEG dovuta

imponibile risultante dalla dichiarazione presentata nell’anno precedente
(1973), ai sensi dell’art.100 bis e ss. D.P.R. n. 602/73, e riscosso mediante
iscrizione in ruoli straordinari, ai sensi dell’art.100 quinquies D.P.R.
n.602/73. La Cassa di Risparmio aveva impugnato la predetta cartella
limitatamente all’importo di 20.981.100 di vecchie lire, perché l’Ufficio delle
Imposte di Pesaro aveva errato nella determinazione dell’imponibile
dell’anno 1973, non avendo tenuto conto della detrazione degli importi
relativi ai nuovi investimenti. Nelle more del giudizio, la Cassa di risparmio
in data 15 maggio 1975 aveva presentato la dichiarazione dei redditi
relativa all’anno 1974, da cui risultava una perdita fiscale, ed in data 1
luglio 1975 aveva pagato l’intero importo dell’acconto dedotto in cartella.
Con sentenza n.149/76 la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto
il ricorso della Cassa di Risparmio, relativo alla quota parte di 20.981.100 di
vecchie lire, e l’ufficio aveva provveduto allo sgravio del suddetto importo.
In data 30/12/1980 veniva notificato alla Cassa di risparmio l’avviso di
accertamento n.40/60, che confermava la perdita fiscale, rettificandone
l’importo, ed in data 5/11/1981 la Cassa di risparmio presentava
all’Intendenza di finanza di Pesaro istanza di rimborso della somma di
50.937.165 di vecchie lire (euro 26.028,00), quale differenza tra quanto
versato complessivamente a titolo di acconto il primo luglio 1975 e quanto
annullato a seguito di sgravio parziale, oltre interessi.
3.

Su tali premesse di fatto, la Commissione Tributaria Centrale,

riformando le precedenti decisioni del Giudice Tributario di prima e seconda
istanza, in accoglimento del ricorso dell’Ufficio II.DD. di Pesaro, ha
dichiarato non dovuto il rimborso, poiché la Banca non aveva inserito il
relativo importo nell’apposito riquadro della dichiarazione dei redditi (mod.

2

per l’anno 1974. L’acconto era determinato in percentuale sul reddito

760-anno 1974 presentata il 15/5/1975), onde beneficiare della detrazione
dell’acconto pagato mediante cartella di pagamento, né lo aveva richiesto
con apposita istanza nei termini di cui all’art. 38 DPR n. 602/1973,
decorrenti dalla data di presentazione della dichiarazione (15/5/1975) o al
più dalla data del pagamento (1/7/1975).
4.

A seguito del ricorso della Banca delle Marche, l’Agenzia delle

Ministero è rimasto intimato.
5.

Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 21 dicembre

2017, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il
primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168,
conv. dalla legge 25 ottobre 2016, n.197.
6.

Parte ricorrente depositava memorie.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 Con un unico articolato motivo, la ricorrente denuncia la violazione
e falsa applicazione degli artt. 38 e 41 D.P.R. n. 602/1973, degli artt. 100
bis e ss. D.P.R. n. 602/1973, dell’art. 36 bis D.P.R. n. 600/1973, degli artt.
2964 e 2946 c.c., in relazione all’art.360, comma 1, n.3, c.p.c..
1.2 Sostiene la ricorrente che, non avendo prodotto alcun reddito
nell’anno 1974, ma solo una perdita fiscale, ha diritto al rimborso della
somma versata a titolo di acconto per l’imposta IRPEG dell’anno 1974,
determinata in via presuntiva sull’imponibile dell’anno 1973 e non dovuta.
Secondo la ricorrente avrebbe errato la C.T.C., Sezione di Ancona, nel
ritenere applicabile al caso in esame il termine di cui all’art. 38 D.P.R. n.
602/1973, riferibile solo all’ipotesi di maggior versamento diretto, eseguito
spontaneamente dal contribuente per errore, fattispecie del tutto diversa da
quella in oggetto, in cui la riscossione dell’acconto è avvenuta tramite
iscrizione in un ruolo straordinario, ai sensi dell’art. 100 bis D.P.R.
n.602/1973. In particolare, l’A.F. avrebbe dovuto rimborsare d’ufficio la
somma versata dalla ricorrente a titolo di acconto, ai sensi degli artt. 41 e
100 quater D.P.R. 602/1973, in quanto l’imposta era stata iscritta
illegittimamente a ruolo. Precisa, inoltre, la ricorrente che la circolare
ministeriale n.8/15/7680 del 24/5/1974, proprio con riguardo al versamento

3

Entrate si è costituita con controricorso, replicando al ricorso, mentre il

degli acconti IRPEG del 1974, forniva istruzioni agli uffici finanziari nel senso
che ” il contribuente ha diritto al rimborso della differenza (tra l’imposta
dovuta in base alla dichiarazione o agli accertamenti dell’Ufficio e l’acconto
versato) che sarà effettuato secondo le procedure di cui all’art.41″. Dunque
l’A.F. avrebbe dovuto, nel rispetto dell’art. 41 D.P.R. 602/1973 e della
circolare ministeriale, nonché dei principi di buona fede e dell’affidamento

caso ricorrendo alla procedura di liquidazione della dichiarazione dei redditi
di cui all’art. 36 bis D.P.R. n. 600/1973, a cui rinvia il secondo comma dello
stesso articolo 41. Di conseguenza, la ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 2964 c.c. e ss. e 2946 c.c. e ss., in relazione
all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., poiché l’art. 41 D.P.R. n.
602/1973, applicabile al caso di specie, non contempla la necessità
dell’istanza della parte, da esercitarsi nei termini decadenziali di cui all’art.
38 D.P.R. n. 602/1973. Secondo la ricorrente, alla fattispecie in esame
sarebbe, invece, applicabile il termine di prescrizione ordinaria ex art. 2946
c.c.
1.3 D motivo è infondato e va rigettato.
1.4 Preliminarmente, deve rilevarsi che l’iscrizione a ruolo per l’importo
oggi in contestazione era stata legittimamente eseguita dalla P.A. Non vi è
stato, infatti, alcun errore dell’Amministrazione Finanziaria nella iscrizione a
ruolo (se non quello sul “quantum” riconosciuto dalla C.T.P. su ricorso del
contribuente e che ha comportato lo sgravio delle somme erroneamente
computate), per cui il diritto del contribuente al rimborso, ai sensi dell’art.
100 quater D.P.R. n. 602/73, non nasce da un atto patologico della P.A.,
bensì dall’eccedenza dell’acconto versato, determinato secondo i criteri
legali vigenti all’epoca e risultato eccessivo solo alla luce della successiva
dichiarazione.
1.5 La fattispecie in esame non è, quindi, riconducibile alla previsione
dell’art. 41 D.P.R. n. 602/73, secondo cui il rimborso deve essere eseguito
d’ufficio quando la prestazione indebita consegua alla formazione di atti
della riscossione viziati da errori materiali o a duplicazioni dovute alla stessa
Amministrazione.

4

nei rapporti reciproci tra contribuente e fisco, erogare il rimborso, se del

1.6 Né essa rientra nell’ipotesi di cui all’art. 36 bis D.P.R. n.600/73,
secondo cui l’Ufficio provvede in via autonoma al rimborso delle imposte
versate in eccesso rispetto all’imposta che risulta dovuta in base alla
dichiarazione dei redditi, poiché la banca non aveva menzionato l’acconto
nell’apposito paragrafo della dichiarazione e, quindi, l’amministrazione non
ha potuto prenderne atto in sede di rettifica.

regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di
decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta o, in difetto,
dalle disposizioni sul contenzioso tributario (artt. 19, comma 1, lett. g), e
21, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546), per cui le norme che
contemplano il rimborso ufficioso – che, ove applicabili, escludono la
necessità dell’istanza – vanno considerate di stretta interpretazione attesa la
loro natura eccezionale (Cass. ord. n. 6900/2014).
1.8 Ne discende che, debba farsi ricorso all’istituto del rimborso su
istanza di parte, cui deve riconoscersi carattere di regola generale in
materia tributaria – idonea, come tale, ad orientare anche l’interprete (Cass.
sent. n. 15840/2006).
1.9 In applicazione di tali principi, la fattispecie in esame non rientra
tra le ipotesi per le quali è normativamente previsto il rimborso officioso
(art. 41 D.P.R. n. 602/73, art. 36 bis D.P.R. n. 600/73), ma soggiace alla
diversa regola della rimborsabilità ad istanza di parte. La banca avrebbe
dovuto indicare l’ammontare dell’acconto nella dichiarazione dei redditi per
l’anno 1974 (presentata il 15 maggio 1975), oppure, una volta pagato,
avanzare autonoma istanza nei termini di decadenza previsti dalla legge,
decorrenti dalla data del pagamento (1/7/1975), successivo alla
dichiarazione dei redditi dell’anno 1974 e che il contribuente già sapeva non
essere dovuto.
1.10

Per quanto riguarda, infine, il richiamo della ricorrente alla

circolare ministeriale interpretativa, quest’ultima ha la funzione di istruire ed
indirizzare l’attività degli uffici periferici, ma non vincola l’interprete,
chiamato all’applicazione della disciplina legislativa.
1.11

Per i motivi fin qui illustrati il ricorso va rigettato.

5

1.7 Nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione dell’indebito, un

1.12

Atteso il rigetto del ricorso, la ricorrente deve essere

condannata al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese
del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in

liquida in euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il giorno 21 dicembre 2017.

favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità che

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