Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4586 del 25/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 25/02/2010), n.4586

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9092/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

CIESSEVI ITALIA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore pro

tempore e B.S. personalmente, elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA GERMANICO 146 presso lo studio dell’Avvocato MOCCI

Ernesto, che li rappresenta e difende unitamente all’Avvocato LEONE

GREGORIO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 81/2004 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di TRIESTE, depositata il 24/01/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il resistente l’Avvocato VALERIA FONTANA,

per delega Avvocato GREGORIO LEONE, Che ha Chiesto il rigetto del

ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Gorizia la società Ciessevi Italia srl in liquidazione e il liquidatore B.S. impugnavano gli avvisi di accertamento, relativi a maggiorazione delle imposte Irpeg e Ilor, interessi e sanzione per gli anni 1992 e 1993, fatti notificare dall’agenzia delle entrate di quella città, e con i quali l’amministrazione comunicava di avere accertato, mediante un verbale di constatazione della Guardia di finanza nei riguardi della medesima, delle operazioni non contabilizzate. Le ricorrenti facevano presente che i presupposti della pretesa tributaria erano carenti, giacchè gli acquisti di bestiame vivo dalla (OMISSIS) e la successiva cessione ad imprese della (OMISSIS) erano reali, e il relativo prezzo era stato pagato da imprenditori italiani, atteso che in quel periodo di guerra nei (OMISSIS) era in corso l’embargo disposto dalla CEE nei riguardi della (OMISSIS) e della (OMISSIS). Inoltre le sanzioni non potevano gravare sull’amministratore, anche perchè la relativa disciplina, introdotta con il D.Lgs. n. 472 del 1997, non poteva avere efficacia retroattiva; quindi chiedeva l’annullamento degli atti impositivi.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio eccepiva l’infondatezza dell’opposizione, posto che la rettifica si basava su contabilità e documentazione varia riscontrata dalla polizia tributaria, e in particolare dalla mancata annotazione delle vendite per le imprese italiane, anche perchè la fatturazione per quelle croate di per se comportava operazioni autonomamente imponibili, a fronte delle quali peraltro nessun accollo o delegazione di pagamento era stato provato, circa un eventuale collegamento tra i due tipi di scritturazione, e perciò chiedeva il rigetto del ricorso introduttivo.

Il giudice adito, in accoglimento di esso, annullava gli atti impositivi con sentenza n. 168 del 2001.

Avverso tale decisione l’agenzia delle entrate proponeva appello, cui l’appellata resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, la quale, con sentenza n. 81 del 2004, in parziale riforma di quella impugnata, ha annullato in parte gli atti impositivi, e condannato l’appellante alle spese di un terzo del doppio grado, osservando che l’amministrazione non aveva posto legittimamente a base dell’accertamento gli elementi di prova acquisiti dalla polizia tributaria, senza invece valutare la documentazione contabile della contribuente, nella quale le cessioni del bestiame alle imprese croate erano state annotate con l’indicazione delle fatture, per le quali la contabilizzazione dei pagamenti appariva regolare nella quasi corrispondenza degli importi, ancorchè corrisposti da ditte italiane.

Contro questa sentenza il Ministero dell’economia e delle finanze e l’agenzia delle entrate hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

La società Ciessevi Italia e B. hanno resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto anche da esso va dichiarato inammissibile.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1.1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle Finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

Inoltre va pure esaminata la questione, anch’essa di carattere pregiudiziale, sollevata dalle controricorrenti, secondo cui il ricorso sarebbe inammissibile, giacche con esso sarebbero stati prospettati degli elementi difensivi nuovi, e costituiti dalla sommatoria delle operazioni economiche e contabili costituite dai due tipi di annotazione, mentre nei gradi di merito le cessioni del bestiame alle ditte croate sarebbero state ritenute inesistenti.

L’eccezione non ha pregio.

Il mutamento della “causa petendi” determina quello della domanda, tale da renderla improponibile come nuova con il gravame, nei soli casi in cui vengano alterati l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia mediante la prospettazione di nuove circostanze o situazioni giuridiche che, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, pongano in essere una pretesa nuova e diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado. Invece nel caso in esame l’amministrazione ha sempre dedotto l’inattendibilità delle scritture contabili della contribuente nel loro insieme, e quindi ha dedotto un maggior reddito (V. anche Cass. Sentenze n. 464 del 17/01/2002, n. 8580 del 1998).

1) Col primo motivo la ricorrente agenzia deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e art. 39, comma 2;

D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 1, artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., oltre che omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, in quanto il giudice di appello non ha considerato che le fatture erano state emesse a favore di imprese estere, senza che ad esse corrispondessero i rispettivi pagamenti annotati. Nè vi era prova alcuna che le somme accreditate sui conti bancari della società controricorrente si riferissero a quelle cessioni, per le quali nessuna prova di accollo, delegazione di pagamento o simili era stata mai fornita dalla cedente. Del resto il solo credito bastava per farlo ritenere imponibile, in uno agli accrediti annotati nel libro giornale, a nulla rilevando il fatto che tra i due tipi di importo potesse esserci una certa corrispondenza nell’ammontare.

Il motivo è fondato.

La CTR non ha considerato che i libri contabili non contenevano l’annotazione delle cessioni alle imprese italiane, che provvedevano ai pagamenti; infatti figuravano degli incassi mediante accrediti bancari, che però non avevano alcun collegamento con le fatture delle cessioni, effettuate solo apparentemente in Croazia, sicchè era l’appellata che doveva fornire la prova precisa delle proprie deduzioni circa il collegamento, onde vincere la presunzione di operazioni in nero.

Ne deriva che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.

Quanto alle spese di questo giudizio nel rapporto col Ministero, sussistono giusti motivi per compensarle, mentre in quello con l’agenzia, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.

PQM

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero, e compensa le spese di questo giudizio nel rapporto con esso; accoglie quello dell’agenzia; cassa la sentenza impugnata in relazione ad esso, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia, altra sezione, per nuovo esame.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010

 

 

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