Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4585 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. III, 11/02/2022, (ud. 17/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4585

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20735-2019 proposto da:

B.M., C.R., C.A.,

C.R., quest’ultimo anche in proprio e tutti quali eredi di

C.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo

studio dell’avvocato FAUSTO FIORAVANTI, rappresentati e difesi

dall’avvocato GIUSEPPE MANDARINO;

– ricorrenti –

contro

CE.FR., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CESARE

PAVESE 141, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO ZAMBROTTI,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE BONINFANTE;

L.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ULDERICO,

SACCHETTI 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA FORINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO CALABRESE;

AZIENDA SANITARIA LOCALE SALERNO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato ROSA RUSSO;

ASSICURATORI DEI LLOYD’S (che hanno assunto il rischio derivante dal

contratto di assicurazione n. 1283239), in persona del procuratore

speciale T.A., elettivamente domiciliati in (OMISSIS),

presso lo studio dell’avvocato MARCO ANNECCHINO, rappresentati e

difesi dall’avvocato CARLO MORACE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 575/2019 della CORTE DI APPELLO DI SALERNO,

depositata il 30/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella udienza pubblica del

17/01/2022 dal Consigliere Dott. VINCENTI ENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO

ALBERTO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avvocato FAUSTO FIORAVANTI per delega;

udito l’Avvocato RAFFAELE BONINFANTE;

udito l’Avvocato SILVIO CALABRESE per delega;

udito l’Avvocato MARCO ANNECCHINO per delega.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – B.M., anche in qualità di esercente la responsabilità genitoriale sull’allora minore C.R., nonché C.R. e C.A., convennero, dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore, L.L., in qualità di medico di base, e CE.Fr., in qualità di medico in servizio presso il pronto soccorso dell’Ospedale di Pagani, nonché l’Azienda Sanitaria Locale Salerno 1 (di seguito anche “Azienda Salerno 1”), per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni patiti, iure proprio e iure hereditatis, in conseguenza del decesso del congiunto C.A., adducendo che quest’ultimo si era recato, il (OMISSIS), per un malore avvertito nella zona toracico-addominale, presso il pronto soccorso dell’anzidetto Ospedale e, quindi, una volta dimessosi, era poi deceduto il giorno successivo, (OMISSIS), a causa di arresto cardio-circolatorio inadeguatamente diagnosticato e trattato come sindrome addominale; di tale decesso era ritenuto, altresì, corresponsabile il L., in qualità di medico di base, per non essersi recato, la mattina dell’8 novembre, a visita del paziente nonostante richiesto.

1.1. – Instaurato il contraddittorio e costituitisi i convenuti, nonché la società “Assicuratori dei Lloyd’s”, chiamata in causa dall’Azienda Salerno 1, il Tribunale adito, con sentenza dell’aprile 2011, accolse la domanda risarcitoria degli attori nei soli confronti di L.L. e di CE.Fr. – che condannò, in solido, al pagamento, in favore di C.R., di Euro 60.000, nonché, in favore della B. e di R. e C.A., di Euro 632.905,30 -, dichiarandola, invece, inammissibile nei confronti dell’Azienda Salerno 1 e degli Assicuratori di Lloyd’s.

2. – Avverso tale sentenza interponevano gravame il Ce., in via principale, e, in via incidentale, il L., nonché gli originari attori; quest’ultimi per ottenere l’accoglimento della pretesa risarcitoria anche nei confronti dell’Azienda Salerno 1 e degli Assicuratori di Lloyd’s.

2.1. – Con sentenza resa pubblica il 30 aprile 2019, la Corte d’Appello di Salerno accoglieva gli appelli, principale ed incidentale, di CE.Fr. e di L.L. e, riformando l’impugnata sentenza, rigettava la domanda risarcitoria proposta da B.M., C.R., C.R. e C.A..

2.2. – Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale osservava che: a) le conclusioni del consulente tecnico non erano non condivisibili, “poggia(ndo) su argomentazioni di carattere meramente ipotetico e… (su) un presupposto del tutto incerto, quello inerente alla causa della morte di C.A.”, per aver esso consulente “solamente ipotizzato che la morte… fosse riconducibile ad una patologia coronarica acuta, senza averne alcuna certezza, né (aveva) fornito delucidazioni su potenziali esiti delle cure e degli interventi praticabili, in relazione alle caratteristiche che, in concreto, presentava la malattia ed alla sua gravità, né (aveva) detto se e quale trattamento o rimedio avrebbe potuto salvare la vita al paziente”; b) in ordine alla posizione del L., medico curante, il c.t.u. “non (aveva) detto in alcun modo se, come e perché la sua presenza presso il domicilio del paziente o il suo ricovero in ospedale, che avrebbero comunque richiesto un certo lasso di tempo, avrebbero potuto evitare il decesso”, considerato, inoltre, che il L. stesso “(era) stato contattato solamente poco più di due ore prima che fosse constatato il decesso del paziente”; c) per tali ragioni, “l’impossibilità per il consulente tecnico d’ufficio di stabilire una correlazione eziologica tra le condotte tenute dai sanitari in servizio presso il pronto soccorso (…) e dal medico curante di C.A. e la morte di quest’ultimo, attraverso la precisazione, non rinvenibile nell’elaborato peritale, degli strumenti o degli interventi che, qualora fossero stati posti in essere, avrebbero potuto scongiurare l’evento, e che lo (aveva) costretto a muoversi su un piano meramente ipotetico, si spiega(va) in ragione della sostanziale incertezza, non dissipata dagli elementi complessivamente acquisiti nel corso del giudizio, riguardo alla causa della morte del paziente, alla natura e alla tipologia della patologia, alla sua gravità ed all’evoluzione da essa avuta, soprattutto a decorrere dall’accesso in ospedale fino al decesso”; d) lo stesso c.t.u. aveva ammesso “che l’esame autoptico, eseguito in sede penale, non permetteva di stabilire alcuna “causa certa della morte”” e le “incertezze riguardo alle ragioni che hanno portato alla morte del paziente (erano) ancor più acuite dagli elementi acquisiti in sede penale”, là dove i consulenti tecnici nominati dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nocera Inferiore avevano evidenziato, allorché il C. si era recato presso il P.S., che non sussisteva “alcun elemento strumentale tale da fare ritenere in atto una patologia cardiaca infartuale,… che non era possibile stato possibile accertare con certezza la causa del decesso del paziente, che le arterie coronariche pervie permettevano di escludere un’ostruzione trombotica come evento scatenante di un eventuale infarto e che lo stato del cuore non consentiva di dire con certezza che C.A. avesse sofferto, in tempi remoti o prossimi all’evento, di una patologia infartuale”; e) gli stessi consulenti tecnici avevano, quindi, ipotizzato che la causa della morte potesse essere “di indole cardiaca, sotto forma di aritmia maligna insorta a seguito ad una crisi ischemica coronarica protratta con angor”, che la sentenza di non luogo a procedere, per insussistenza del fatto, pronunciata dal G.I.P. del Tribunale di Nocera Inferiore aveva ritenuto, in base ad una “ricostruzione alternativa ipotetica”, quale “peggioramento delle condizioni di salute” del paziente verificatasi proprio “nel corso del tempo trascorso presso la sua abitazione”; f) gli elementi raccolti “non permett(evano) – nemmeno in termini probabilistici, che comunque presuppongono l’emersione di conferme e l’insussistenza di riscontri alternativi, in modo… di poter effettuare un giudizio, in concreto, sulla maggiore o minore probabilità di una determinata ricostruzione… – di stabilire una correlazione eziologica tra le condotte tenute (dai sanitari convenuti) e la morte di C.A.”; g) l’assenza di responsabilità del Ce. e del L. emergeva non solo dalla “insussistenza di prova del nesso causale”, ma anche “da ulteriori circostanze”, comprovate dalle risultanze istruttorie: g.1) in ordine alla posizione del Ce. (al quale era addebitato l’omesso ricovero del paziente), “la circostanza che a firmare le dimissioni volontarie fosse stata la moglie di C.A. non (era) destinata ad assumere rilevanza decisiva, perché… la scelta di tornare a casa e rifiutare il ricovero prospettato dai sanitari (…) era stata presa da C., il quale, peraltro, se fosse stato ancora affetto dalla sintomatologia dolorosa (…) sicuramente non avrebbe deciso – o condiviso la scelta prospettatagli dalla moglie – di tornare a casa”; g.2) in ordine alla posizione del L. (al quale era addebitato di non aver visitato tempestivamente il paziente e di non aver suggerito almeno il suo ricovero in ospedale), “non (era) noto cosa – ed in quale modo – sia stato detto al medico curante, per cui, in mancanza di qualsivoglia elemento in grado di chiarire il tenore del colloquio telefonico, le circostanze riferite al sanitario e quanto quest’ultimo avrebbe chiesto o consigliato, non (era) possibile in alcun modo se sia stata o meno censurabile la sua condotta”.

4. – Per la cassazione di tale sentenza ricorrono B.M., C.R., C.R. e C.A., affidando le sorti dell’impugnazione ad un unico, articolato, motivo, illustrato da memoria.

Resistono, con distinti controricorsi, CE.Fr., L.L., l’Azienda Salerno 1 e gli Assicuratori dei Lloyd’s.

Il pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte, con le quali chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con un unico, articolato, mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, (il n 5 come “vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione””, in forza della modifica introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006: cfr. p. 10 del ricorso), la violazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, art. 132 c.p.c. e art. 2707 c.c., nonché la “insufficiente e errata motivazione correlata alla valutazione”, per caratterizzarsi “la censura, (espressa dalla Corte d’Appello), alla relazione tecnica di ufficio espletata, del tutto artificiosa, fustellata di concetti sul rapporto eziologico nonché sul linguaggio lessicale, venendo meno il corollario tecnico-scientifico sulla patologia accertata sulla scorta della documentazione acquisita al fascicolo di primo grado”.

A tale riguardo, parte ricorrente adduce che l’apprezzamento prova “libera” – che sarebbe da ricondurre al paradigma normativo dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” correlata ad “un fatto controverso per il giudizio” di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – siccome rimesso, ai sensi dell’art. 116 c.p.c. al “prudente apprezzamento” del giudice, presuppone “un uso ragionato della logica e del buon senso, in base a criteri razionali e massime d’esperienza, che consentono al giudice di attingere alla diretta esperienza della vita, nel compito delicato di valutare il significato, la genuinità e l’efficacia delle singole prove acquisite”.

Unitamente a tale deduzione critica, parte ricorrente sostiene che “la motivazione dettata dalla Corte d’Appello di Salerno deve ritenersi, non solo illogica, bensì non articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico”.

Invero, il giudice di secondo grado, nel sostenere “l’aspetto di carattere formale del soggetto che aveva materialmente apposto la vergatura delle dimissioni e la scelta di tornare a casa rifiutando “il ricovero prospettato dai sanitari””, ha “illogicamente motivato la ricostruzione dei fatti sulla volontà espressa dal dante causa, trasfusa nella sottoscrizione del referto medico dalla sig.ra B.M.”. Difatti, “si può dedurre che il de cuius: a) era vigile a seguito della diagnosi di cui al referto medico era il Dott. Ce. a provvedere alle dimissioni del C.A.; b) viceversa, se il C…. era in uno stato di salute grave, il Dott. Ce…. era tenuto all’obbligo di disporre il ricovero ai fini del monitoraggio… in osservazioni ai fini dell’evoluzione patologica che successivamente si è determinato “infarto miocardico””.

Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe “dato debitamente conto degli accertamenti tecnici eseguiti nel corso del giudizio” in relazione sia alla “indiscussa incidenza letale del quadro traumatico” del C., sia “del riscontrato ruolo causale concorrente… a seguito dell’accertata identità/sovrapponibilità della vicenda fattuale dal ricovero all’evento… omettendo il protocollo operato nella vicenda la diagnosi (riportata) nel referto medico desunta ai fini della sintomatologia e la terapia applicata”, mancando, altresì, di prospettare “alcuna ulteriore… serie causale alternativa” della morte del paziente, invece essendo “positivamente comprovata (in termini clinici-scientifici) la relazione causale diretta diagnosticata refertata e l’evoluzione in atto della patologia”.

2. – Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

2.1. – Occorre premettere che il ricorrente, nel denunciare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 del comma 1, ha ritenuto che fosse applicabile al presente giudizio di legittimità la formulazione della relativa disposizione di legge processuale dettata dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, ossia: “5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.

E proprio in forza dello specifico tenore di siffatta norma ha calibrato tutte le censure, che, non solo formalmente, ma anche nella sostanza, si sviluppano unicamente secondo il paradigma del vizio motivazionale, non essendo ravvisabile alcuna effettiva denuncia di errores in iudicando, salvo quella di violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, come si preciserà in seguito.

Tuttavia, contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, nella specie non trova applicazione l’anzidetta formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., giacché la sentenza di appello è stata pubblicata (il 30 aprile 2019) ben oltre il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 83 del 2012 (ossia l’11 settembre 2012), che segna il momento in cui deve trovare applicazione la diversa, vigente, formulazione della citata disposizione, ossia: “5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

2.2. – Ciò posto, giova rammentare – in base all’ormai consolidato orientamento di questa Corte (Cas., S.U., n. 8053/2014 e, tra le tante, Cass. n. 23940/2017, da cui sono tratte le argomentazioni che seguono) – che, alla luce del vigente art. 360, comma 1, n. s, c.p.c., non trova più accesso al sindacato di legittimità della Corte il vizio di mera insufficienza od incompletezza logica dell’impianto motivazionale per inesatta valutazione delle risultanze probatorie, qualora dalla sentenza sia evincibile una regula juris che non risulti totalmente avulsa dalla relazione logica tra “premessa (in fatto) conseguenza (in diritto)” che deve giustificare il decisum.

Rimane, quindi, estranea al vizio di legittimità “riformato”, tanto la censura di “contraddittorietà” della motivazione (peraltro, attinente ad una incompatibilità logica intrinseca al testo motivazionale, in quanto determinata dalla reciproca elisione di affermazioni oggettivamente contrastanti, non altrimenti risolvibile, che impedisce di discernere quale sia il diritto applicato nel caso concreto: Cass., S.U., n. 25984/2010), quanto la censura che, anteriormente alla modifica della norma processuale, veicolava il vizio di “insufficienza” dello svolgimento argomentativo, con il quale veniva imputato al giudice di merito di avere tratto, dal materiale probatorio esaminato, soltanto alcune delle conseguenze logiche che il complesso circostanziale avrebbe consentito di desumere, pervenendo ad un accertamento meramente parziale della res litigiosa, ovvero di non avere considerato elementi costituenti “fatti secondari” che – se pur non decisivi, da soli, a fornire la prova contraria favorevole al ricorrente, tuttavia – erano idonei ad inficiare o quanto meno a revocare in dubbio la efficacia dimostrativa (dei fatti costitutivi della pretesa) attribuita ai diversi elementi indiziari utilizzati dal giudice a fondamento della decisione, ovvero ancora erano idonei ad evidenziare eventuali lacune o salti logici dello stesso ragionamento rispetto alla corretta applicazione dei criteri induttivo-deduttivo della logica formale.

Nei termini in cui è declinata la nuova formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto soltanto alla verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4) e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità.

Pertanto, il vizio di cui al citato n. 5 dell’art. 360 c.p.c. può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio – ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi.

Rimane, altresì, estranea al predetto vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, ex art. 116 c.p.c., in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova ed operando quindi il conseguente giudizio di prevalenza.

Non e’, infatti, sindacabile in sede di legittimità il potere del giudice di valutazione della prova sotto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome “suo” è estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che “la legge disponga altrimenti” (Cass. n. 34786/2021).

In tal senso, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c., e’, quindi, ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operaio assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile unicamente ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e, quindi, soltanto nei rigorosi limiti, innanzi ricordati, in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità (Cass., S.U., n. 20867/2020).

E’, del resto, principio consolidato che la denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 116 c.p.c. solo apparentemente veicola un vizio di “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, traducendosi, invece, nella denuncia di “un errore di fatto” che deve essere fatta valere attraverso il corretto paradigma normativo e, dunque, nei limiti consentiti dal citato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., essendo, quindi, esclusa in ogni caso una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità.

Ne discende, pertanto, che la censura di violazione delle norme processuali predette non può legittimare, evidentemente, una “trasformazione” del precedente vizio di motivazione per “insufficienza od incompletezza logica” – non più sindacabile in sede di legittimità in un vizio di “errore di diritto” (attinente alla attività processuale), sì che il primo possa in tal modo ritornare ad essere sindacabile avanti la Corte sotto le apparenti, diverse, spoglie della violazione di norma di diritto, non essendo in ogni caso autonomamente denunciabili attraverso la denuncia della violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 116 c.p.c.- asseriti errori di “convincimento” attinenti alla preminente rilevanza attribuita a talune “questioni” od alle stesse “argomentazioni” nelle quali si estrinseca l’esercizio del potere discrezionale di apprezzamento delle prove e rimanendo in ogni caso precluso nel giudizio di cassazione l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione ai fini istruttori.

2.3. – Tanto premesso, l’unica doglianza che viene effettivamente prospettata come error in iudicando ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 è quella di asserita violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, che parte ricorrente intesta alla motivazione nel suo complesso, nonché per un profilo specifico, giacché, per un verso, la dedotta violazione dell’art. 2707 c.c. non è sorretta da alcuna argomentazione pertinente e, comunque, idonea a configurarsi come motivo di censura nel rispetto del principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4; mentre, per altro verso, le doglianze che si fondano sulla lamentata violazione dell’art. 116 c.p.c., sono sviluppate, in realtà, come vizi motivazionali, alla stregua della previgente formulazione del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., come detto inapplicabile nel caso in esame.

La denuncia di violazione del citato art. 132 c.p.c. – dedotta sotto il profilo della motivazione “intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili” (p. 11 del ricorso) – e’, in riferimento alla motivazione nel suo complesso, palesemente infondata, poiché, come già pianamente si evince dalla sintesi della sentenza impugnata al p. 2.2. dei “Fatti di causa” (cui si rinvia), l’apparato argomentativo a sostegno della decisione è ben lungi, nel suo complesso, dal presentare aporie di sorta e si snoda in modo affatto intelligibile, in base ad un iter chiaro e coerente.

Allorquando, poi, detta denuncia viene più specificamente a criticare la motivazione resa dal giudice del merito in ordine alla rilevanza, nella causazione dell’evento lesivo descritto, della vicenda delle dimissioni volontarie del de decuius, essa non solo e’, del pari, palesemente infondata in ragione delle considerazioni che precedono, ma, invero, sottende, e mal cela, una mera istanza di rivalutazione dell’apprezzamento compiuto dal giudice del merito, inammissibile in sede di legittimità, non proponendo il ricorrente alcuna critica sussumibile nel paradigma del vigente art. 360 c.p.c., n. 5.

Peraltro, la doglianza, così come articolata, non solo e’, di per sé, non del tutto intelligibile, ma non coglie neppure la ratio decidendi sottesa alla mancata attribuzione di rilievo causale, nella determinazione dell’evento lesivo, alle predette dimissioni, là dove la Corte territoriale ha chiarito che non era rilevante chi fosse il soggetto ad aver sottoscritto l’atto di dimissioni dal ricovero ospedaliero, poiché la scelta effettiva proveniva proprio dal paziente ricoverato – come comprovato dalle risultanze probatorie – e che si trattava di scelta (oltre che cogente per i medici anche) logicamente comprensibile, giacché se il C. “fosse stato ancora affetto dalla sintomatologia dolorosa (…) sicuramente non avrebbe deciso – o condiviso la scelta prospettatagli dalla moglie – di tornare a casa” (cfr. p. 2.2., g.1) dei “Fatti di causa” e p. 14 della sentenza impugnata).

2.4. – Per il resto, tutte le ulteriori censure, mosse sotto i profili del vizio motivazionale di cui al previgente n. 5 dell’art. 360 c.p.c., della violazione dell’art. 116 c.p.c., vengono a declinarsi effettivamente come denunce del vizio di “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, non più veicolabile in questa sede, senza palesare, neppure alla stregua del loro sostanziale sviluppo argomentativo, alcuna critica sussumibile nel paradigma normativo vigente, in armonia con l’insegnamento reso dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui occorre indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. la citata Cass., S.U., n. 8053/2014).

Le critiche di parte ricorrente, infatti, si risolvono, tutte, in una inammissibile sollecitazione di questa Corte a rivalutare, e a compiere nuovamente, il giudizio di fatto reso dalla Corte territoriale (modulandosi, quindi, secondo una prospettazione – reiterata nella memoria ex art. 378 c.p.c., – che non sarebbe stata consentita, in questa sede, neppure alla luce del vizio motivazionale di cui al previgente n. 5 dell’art. 360 c.p.c.), peraltro ponendosi in contrasto anche con il principio judex peritus peritorum, secondo cui il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica, non ha alcun obbligo di nominare un consulente d’ufficio, potendo ricorrere alle conoscenze specialistiche acquisite direttamente attraverso studi o ricerche personali, ma anche esaminare direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, così da disattenderne le argomentazioni, in quanto sorrette da motivazioni contraddittorie, o sostituirle con proprie diverse, tratte da personali cognizioni tecniche (fra le molte, Cass. n. 17757/2014; Cass. n. 30733/2017; Cass. n. 200/2021).

Nel caso di specie, infatti, la Corte territoriale, esaminate le conclusioni rese, nel relativo giudizio, in sede di consulenza tecnica d’ufficio, ha ritenuto, come ben poteva alla luce degli anzidetti principi, di discostarsene, motivando (cfr. sintesi al p. 2.2. dei “Fatti di causa”), in modo affatto intelligibile e coerente (sulla scorta del complessivo compendio probatorio, traendo argomenti, segnatamente, anche dalle perizie espletate in sede penale), sia sul fatto che il nesso eziologico fra l’exitus del C. e la condotta dei sanitari coinvolti non fosse affatto provato, essendo rimasta incerta la causa della morte, anche tenuto conto della regola probatoria propria della responsabilità civile, ossia del “più probabile che non” (ciò comportando, di per sé, il rigetto della domanda attorea: tra le tante, Cass. n. 18392/2017; Cass. n. 27606/2019); sia sul fatto che le condotte dei sanitari medesimi non integrassero effettivo inadempimento della prestazione dovuta.

3. – Il ricorso va, pertanto, rigettato e i ricorrenti condannati al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in Euro 4.200,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

 

 

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