Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4582 del 25/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2010, (ud. 07/01/2010, dep. 25/02/2010), n.4582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

IPLOM S.P.A.;

– intimata –

sul ricorso 17381-2005 proposto da:

IPLOM S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ASIAGO 8/2 presso lo studio

dell’Avvocato VILLANI LUDOVICO FERDINANDO, che la rappresenta e

difende unitamente all’Avvocato PAPONE CORRADO giusta delega a

margine;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 15/2004 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di GENOVA, depositata il 24/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

07/01/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

udito per il ricorrente l’Avvocato dello Stato DANIELA GIACOBBE, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito per il resistente l’Avvocato LUDOVICO VILLANI, che ne ha

chiesto il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per l’inammissibilità

del ricorso del Ministero, l’accoglimento del ricorso dell’Agenzia e

il rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate propongono ricorso per cassazione nei confronti della Iplom s.p.a. (che resiste con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale successivamente illustrato da memoria) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione del silenzio rifiuto su istanza relativa a richiesta di interessi sulle somme corrisposte a titolo di rimborso dell’Iva infrannuale per il terzo trimestre del 1991 – da calcolarsi fino al momento del pagamento – nonchè di interessi anatocistici, la C.T.R. Liguria confermava la sentenza di primo grado limitatamente agli interessi legali (riconosciuti fino alla data dell’effettiva riscossione della somma capitale, in mancanza di notifica al contribuente dell’ordinativo di pagamento) e la riformava invece con riguardo al disposto riconoscimento anche degli interessi anatocistici, affermando che, a norma dell’art. 1283 c.c., non è possibile riconoscerli quando, come nella specie, il periodo di interessi su cui viene richiesto il calcolo sia inferiore a sei mesi.

2. Deve essere innanzitutto disposta la riunione dei ricorsi, siccome proposti avverso la medesima sentenza.

Sempre in via preliminare vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso principale proposte dalla controricorrente.

La prima di esse, concernente la legittimazione processuale del Ministero delle Finanze, è fondata.

A seguito dell’istituzione dell’Agenzia delle entrate ad opera del D.Lgs. n. 300 del 1999, divenuta operativa dal 1 gennaio 2001, si è verificata infatti una successione a titolo particolare della stessa nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, in forza della quale spetta esclusivamente ad essa la legittimazione processuale in ordine alle relative controversie (v. cass. n. 9004 del 2007 e n. 22889 del 2006, nonchè S.U. nn. 3116 e 3118 del 2006). Per contro, il Ministero delle Finanze è privo di legittimazione ad processum nè questa può ravvisarsi, nel caso concreto, in forza delle precedenti fasi processuali, tenuto conto che il giudizio di appello, promosso dopo il 1 gennaio 2001, si è svolto con la esclusiva partecipazione della Agenzia delle Entrate.

Infondata risulta invece l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate a mezzo dell’Avvocatura dello Stato per difetto di espresso e specifico mandato alle liti, avendo questa Corte già chiarito, con diverse pronunce, che quando l’Agenzia delle Entrate si avvalga, nel giudizio di cassazione, del ministero dell’Avvocatura dello Stato, non è tenuta a conferire a quest’ultima una procura alle liti, essendo applicabile a tale ipotesi la disposizione del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 1, comma 2, secondo il quale gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni senza bisogno di mandato (v. cass. n. 11227 del 2007).

Deve inoltre ritenersi destituita di fondamento l’eccezione proposta dalla controricorrente in relazione alla L. n. 644 del 1986, art. 7 e L. n. 383 del 2001, art. 10 (secondo la quale l’ufficio ricevente il ricorso è privo dell’abilitazione a sottoscrivere l’atto omologabile esclusivamente dall’Ufficio dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato legittimato a riceverlo), posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, nel caso in cui l’Avvocatura dello Stato, ai sensi della L. n. 664 del 1986, art. 7, comma 3, si avvalga dei mezzi di telecomunicazione per la trasmissione a distanza degli atti relativi agli affari contenziosi (nella specie, ricorso per cassazione), l’obbligo della sottoscrizione è anche soddisfatto, ai sensi della L. n. 383 del 2001, art. 10, comma 2, con la sottoscrizione da parte del titolare dell’ufficio ricevente (nella specie, un ufficio periferico dell’Amministrazione finanziaria), oppure da un suo sostituto, “purchè dalla copia fotoriprodotta risultino l’indicazione e la sottoscrizione dell’estensore dell’atto originale”, senza che rilevi, non essendo richiesto dalla legge, che l’Ufficio che abbia materialmente ricevuto l’atto, e il cui titolare abbia apposto la propria sottoscrizione, non coincida con quello competente alla trattazione della pratica in sede amministrativa (v.

tra le altre cass. n. 12791 del 2004, n. 18227 del 2004 e n. 12882 del 2008).

Passando all’esame dei ricorsi, giova premettere che i primi due motivi del ricorso incidentale pongono questioni pregiudiziali e che sulla dibattuta questione dell’ordine di esame dei ricorsi proposti in Cassazione quando l’incidentale investa questioni pregiudiziali, da ultimo le SSU, con sentenza n. 5456 del 2009, hanno affermato che, anche alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, secondo cui fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita (ove quest’ultima sia possibile) da parte del giudice di merito, mentre, in caso di intervento di detta decisione, tale ricorso l’incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale.

Deve pertanto essere esaminato per primo il ricorso principale del l’Agenzia.

Con un unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, comma 5, nonchè a D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 44 e 44 bis, la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per avere i giudici d’appello erroneamente ritenuto che, in mancanza di notifica dell’ordinativo, gli interessi sono dovuti fino alla data dell’effettiva riscossione, laddove, secondo la giurisprudenza, l’adempimento dell’obbligazione deve ritenersi eseguito, con conseguente liberazione dell’Amministrazione finanziaria, mediante l’emissione dell’ordinativo di pagamento, restando irrilevante la data della comunicazione al contribuente dell’emissione stessa, non essendo applicabile in materia tributaria la regola del pagamento al domicilio del creditore stabilita dall’art. 1182 c.c..

Il ricorso è fondato alla luce della giurisprudenza di questo giudice di legittimità, secondo la quale, in tema di IVA e con riguardo alla disciplina dei rimborsi, l’adempimento della relativa obbligazione da parte dell’amministrazione finanziaria deve ritenersi eseguito – con conseguente liberazione dalla prestazione dovuta – mediante l’emissione dell’ordinativo di pagamento (la cui esecuzione è poi affidata alla tesoreria), non essendo applicabile in materia tributaria la regola del pagamento al domicilio del creditore, stabilita dall’art. 1182 c.c., con la conseguenza che – anche alla luce del disposto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 44, norma dettata in materia di imposte dirette, ma estensibile all’IVA, attesa l’analogia delle modalità di effettuazione dei rimborsi -, il termine finale della decorrenza degli interessi sulle somme da rimborsare va individuato nella data in cui avviene la suddetta emissione del mandato di pagamento, restando irrilevanti, a tal fine, sia la data della comunicazione dell’emissione stessa al contribuente, sia quella dell’effettivo accredito della somma da rimborsare, il cui ritardo può, semmai, essere fonte di responsabilità per il tesoriere (v. tra le altre cass. n. 4235 del 2004).

In particolare, nella citata sentenza (alla quale il collegio intende dare continuità in assenza di validi motivi per discostarsene) si è rilevato che la regola del pagamento al domicilio del creditore ex art. 1182 c.c., si applica quando il luogo della prestazione non è determinato “dalla convenzione o dagli usi”, ovvero non può desumersi dalla “natura della prestazione” o da “altre circostanze”, con la conseguenza che la regola che l’obbligazione in danaro è “portabile” è subordinata a diverse condizioni negative, tra le quali la natura cella prestazione, che nella specie è tributaria: in mancanza di una norma che preveda la consegna della somma al domicilio del contribuente, è incontestato che l’adempimento dell’obbligazione debba essere eseguito dall’ufficio mediante l’emissione di un ordinativo affidato per l’esecuzione alla tesoreria. Il luogo di adempimento della prestazione non è perciò il domicilio del creditore nè quello da lui indicato (ad esempio, la filiale di una banca presso la quale esiste un conto corrente) e pertanto il debitore – Amministrazione Finanziaria dello Stato – si libera dell’obbligazione emettendo l’ordine di pagamento, senza possibilità di pagare altrimenti, ad esempio “per cassa”, mentre l’eventuale (abnorme) ritardo nell’esecuzione del detto mandato è fonte di responsabilità per il tesoriere e non per l’Amministrazione.

Il problema del carattere ricettizio del mandato di pagamento non sposta i termini della questione: è vero che l’ordinativo di rimborso deve essere comunicato al contribuente e che agli effetti ricollegati agli adempimenti di quest’ultimo (ad esempio, l’impugnativa) vale la data di comunicazione, ma agli effetti della “mora debendi” da parte dell’Amministrazione Finanziaria dello Stato, rimane fermo il principio che l’Amministrazione stessa si libera del l’obbligazione disponendo il rimborso. Nè contrasta con quanto sinora affermato il principio espresso in Cass. 30.3.2001 n. 4760, secondo la quale “il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44, deve essere interpretato nel senso che gli interessi sul crediti di imposta decorrono fino alla data di emissione dell’ordinativo di pagamento, in quanto ritualmente e tempestivamente notificato”, posto che tale sentenza conferma che detti interessi vanno computati fino alla data di emissione del mandato di pagamento, il quale deve essere comunicato in un termine ragionevole al contribuente, senza che se ne possa inferire che il mandato di pagamento debba liquidare gli interessi fino alla data della sua comunicazione.

Nel primo motivo di ricorso incidentale (indicato col n. 4.4 in quanto espresso successivamente alle eccezioni pregiudiziali relative alla ritualità del ricorso principale), la Iplom s.p.a. deduce nullità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 145 c.p.c, essendo stato l’atto d’appello notificato non alla parte presso il domicilio eletto, bensì presso i suoi difensori. La censura è inammissibile.

La sentenza impugnata, decidendo sulla eccezione preliminare di difetto di notifica dell’atto di appello, l’ha respinta ai sensi dell’art. 156 c.p.c., rilevando che, essendovi stata costituzione della parte appellata, doveva ritenersi che l’atto avesse raggiunto il proprio scopo, con l’effetto che il vizio della notifica eccepito risultava sanato. Il mezzo è pertanto inammissibile perchè non censura la ratio decidendi e, in particolare, non censura in modo diretto e specifico nè l’affermazione (implicita) del giudice territoriale in ordine alla sussistenza, nella specie, di una ipotesi di nullità (e non di inesistenza) della notificazione, nè la conclusione che il vizio doveva ritenersi sanato a seguito della costituzione in giudizio della parte cui la notifica era destinata.

Col secondo motivo, deducendo nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 11 e 12, la ricorrente incidentale si duole che i giudici d’appello non abbiano dichiarato inammissibile la costituzione, in entrambi i gradi di giudizio, dell’Agenzia delle Entrate, e quindi anche l’atto di appello dalla stessa proposto, pur avendo essa agito in proprio, senza rilasciare alcuna procura alle liti.

La censura è infondata.

In proposito, è sufficiente osservare che anche nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente in via incidentale, non è un soggetto di diritto privato ma ha personalità giuridica di diritto pubblico (D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 61), essendo succeduta ex lege al Ministero delle Finanze nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, trova applicazione la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 1, che, in materia di controversie tributarie, prevede solo per le parti diverse dal Ministero delle Finanze o dall’ente locale il dovere (fatta salva la facoltà prevista nell’ipotesi di cui al successivo comma 5) di farsi assistere in giudizio da un difensore abilitato.

Col terzo ed ultimo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, la ricorrente incidentale censura il capo della sentenza impugnata che ha respinto la domanda relativa alla corresponsione degli interessi anatocistici, assumendone l’erroneità per non avere il giudice a quo considerato che il giudizio verte su pronuncia di condanna dell’Amministrazione Finanziaria al rimborso di somma pecuniaria solo originariamente avente natura di interessi, posto che, a seguito del separato rimborso del capitale, essa avrebbe perso la propria “ancillarità”, acquisendo a propria volta natura di capitale. La censura è infondata.

La Commissione regionale ha respinto la domanda della contribuente relativa agli interessi anatocistici sulla base del rilievo che, essendo gli interessi scaduti da meno di sei mesi, non ricorreva nel caso di specie il presupposto oggettivo richiesto dall’art. 1283 c.c. secondo cui gli interessi possono produrre a loro volta interessi, sempre che siano “dovuti da almeno sei mesi”: tale argomentazione risulta giuridicamente ineccepibile e non censurata.

Peraltro, l’argomento speso dalla ricorrente incidentale (secondo la quale il debito relativo agli interessi, a seguito del rimborso del capitale, non avrebbe più carattere accessorio, ma avrebbe acquisito consistenza di debito di capitale, sicchè gli interessi richiesti non sarebbero più anatocistici) non ha pregio per la sua inconsistenza giuridica, dal momento che la distinzione tra capitale ed interessi attiene alla natura del debito e non muta in relazione ai tempi e alle modalità dei relativi pagamenti.

3. Alla luce di tutto quanto sopra esposto, il ricorso principale del Ministero delle Finanze deve essere dichiarato inammissibile; il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate deve essere accolto e il ricorso incidentale della contribuente deve essere rigettato. La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, dichiarando l’obbligo dell’Agenzia di corrispondere gli interessi sul rimborso fino alla data dell’ordinativo di pagamento.

Le spese di lite nei confronti del Ministero si dichiarano compensate, non avendo la sua partecipazione a questa fase del giudizio aggravato in maniera apprezzabile le difese della società intimata. Alla luce delle alterne vicende della controversia nel merito si dispone altresì la compensazione delle spese dell’intero processo tra le altre parti.

PQM

Riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero delle Finanze, accoglie il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate e rigetta il ricorso incidentale; cassa, in relazione al ricorso accolto, la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara gli interessi sulla somma oggetto di rimborso dovuti fino alla data dell’ordinativo di pagamento. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 7 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010

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