Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4582 del 24/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 24/02/2011, (ud. 11/11/2010, dep. 24/02/2011), n.4582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso

la quale è domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

P.A.G., rappresentato e difeso dall’avv. CODUTI

GAETANO, ed elettivamente domiciliato in Paliano presso l’avv.

Benedetto Longino Lombardi in viale Garibaldi n. 7/F;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 490/40/07, depositata il 22 ottobre 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11 novembre 2010 dal Relatore Cons. Antonio Greco.

La Corte:

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 490/40/07, depositata il 22 ottobre 2007, rigettando l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Frosinone, ha confermato la pronuncia di accoglimento del ricorso di P.A.G. nei confronti dell’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEF e dell’iva per l’anno 1996, emesso a seguito della determinazione di un maggior reddito, secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, ai sensi della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi 181 e 183, mediante l’applicazione dei parametri approvati con il D.P.C.M. 29 gennaio 1996, ed all’esito del contraddittorio instaurato con il contribuente.

Il giudice d’appello, infatti, ha tra l’altro ritenuto che l’Ufficio, confermando il reddito scaturente dai parametri nonostante gli elementi di motivazione offerti dal contribuente nel contraddittorio, altro non ha fatto che trasformare un adempimento sostanziale (contraddittorio) in una formalità senza senso ed effettuata solo ed esclusivamente perchè dovuta, in palese contrasto con la volontà del legislatore”; ed infatti l’amministrazione non aveva tenuto conto di quanto dedotto nella fase amministrativa dal contribuente, esercente l’attività di commercio al dettaglio di “ferramenta hobbistica”, per giustificare lo scostamento di L. 16.724.000, vale a dire che, “per essere competitivo aveva diminuito i prezzi dei prodotti, del tutto inferiori a quelli dei vicini supermercati, anche per incentivare la domanda, e che nel valore dei beni strumentali erano comprese L. 4.390.000 per cessione di azienda familiare e L. 8.500.000 per acquisto di un’autovettura per lo svolgimento dell’attività.

Nei confronti della decisione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi, rispondenti ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c..

Il contribuente resiste con controricorso.

Con il primo motivo, l’amministrazione ricorrente denuncia la violazione della L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 184, nonchè dell’art. 2697 c.c.; con il secondo motivo censura la sentenza per insufficiente motivazione in ordine alla idoneità della “controprova” offerta dal contribuente.

La ratio decidendi della sentenza impugnata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello standard, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata”; e secondo la quale tale procedura di accertamento “costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’inpugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass., sezioni unite, 18 dicembre 2009, n. 26635).

Quanto al secondo motivo, esso nella sostanza postula una nuova valutazione degli elementi di prova portati dal contribuente, diversa da quella già compiuta dal giudice di merito con motivazione congrua ed immune da vizi logici.

In conclusione, si ritiene, che, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, e art. 380 bis c.p.c., il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio in quanto il primo motivo è manifestamente infondato ed il secondo è inammissibile”;

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribaditi i principi di diritto sopra enunciati, il ricorso va rigettato;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.300,00, ivi compresi Euro 100,00, per esborsi.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2011

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