Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4582 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. III, 11/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10116/2019 R.G. proposto da:

A.A.B., + ALTRI OMESSI; tutti rappresentati e

difesi dall’Avv. Prof. Carlo Rienzi, e dall’Avv. Gino Giuliano, con

domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, viale delle

Milizie, n. 9;

– ricorrenti –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri- Ministero della Salute-

Ministero dell’Istruzione- dell’Università e della Ricerca e

Ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentati e difesi ex

lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici

domiciliano ope legis in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5804/2019,

depositata il 20 settembre 2018

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del di 11 gennaio

2022 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Numerosi medici specializzati, fra i quali gli odierni ricorrenti, convennero davanti al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri, il M.I.U.R., il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive Europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione in anni per alcuni compresi nel – per altri invece anteriori o successivi al – periodo 19831991.

Con sentenza n. 18725/2013, pubblicata il 24 settembre 2013, il tribunale rigettò le domande, ritenendo prescritto il dedotto credito risarcitorio.

2. Pronunciando sul gravame interposto dai soccombenti la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 5804/2018, pubblicata il 20 settembre 2018, lo ha rigettato, condannandone gli autori alle spese del grado, liquidate in Euro 60.000 per compensi, oltre rimborso spese generali.

3. Avverso tale sentenza A.A.B. e gli altri centosettanta ricorrenti indicati in epigrafe propongono ricorso affidato a due motivi, cui resistono le amministrazioni intimate depositando controricorso.

La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La sentenza impugnata è stata resa anche nei confronti di altri medici e del Codacons, soggetti nei cui confronti il ricorso non è stato notificato.

Tuttavia, trattandosi di litisconsorti facoltativi ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 c.p.c., non occorre far luogo all’ordine di notificazione dell’impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l’impugnazione per essi preclusa.

2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il dies a quo, ai fini della prescrizione decennale delle pretese azionate…, decorrerebbe dalla data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999: violazione e falsa applicazione art. 44 Direttiva 93/16/CEE,…; violazione e falsa applicazione art. 2946 c.c., art. 2935 c.c….; violazione e falsa applicazione art. 132 c.p.c, n. 4), ….; violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 189 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 10 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (Trattato di Roma) nella versione consolidata (GUCE n. C 325 del 24 dicembre 2002), dell’art. 117 Cost., comma 1, e dell’art. 16 della Direttiva CEE 82/76…” (così testualmente nell’intestazione).

Lamentano, in sintesi, che la Corte d’appello ha erroneamente omesso di identificare il dies a quo del termine di prescrizione del diritto azionato dagli odierni ricorrenti in corrispondenza del 20 ottobre 2007, data di cessazione dell’obbligo di attuazione delle direttive dell’Unione Europea

3. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, “erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha condannato gli odierni ricorrenti alle spese di causa per la somma di Euro 60.000 oltre rimborso spese generali; violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c.; violazione della sentenza Corte Cost. n. 77 del 2018; violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, artt. 2 e 4…; violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost.; violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4” (così nell’intestazione).

Affermano che l’opinabilità delle questioni trattate e le contrastanti pronunce della giurisprudenza di merito, avrebbero dovuto giustificarne la compensazione.

Lamentano che, comunque, l’importo liquidato appare eccessivo a fronte di una ridotta ed unitaria attività difensiva delle parti appellate, per compensare la quale avrebbe dovuto farsi riferimento solamente alla fase introduttiva e di studio, peraltro relativamente ad una causa seriale.

Avrebbe pertanto dovuto applicarsi la riduzione del 50% dei parametri medi e il minimo della maggiorazione prevista dall’art. 4, comma 2, del menzionato D.M., con riferimento allo scaglione previsto per cause di valore indeterminabile medio, tale considerata nella stessa sentenza.

4. Il primo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c..

La corte territoriale ha motivato sulla ragione assorbente richiamandosi al consolidato indirizzo di questa Corte con cui è stato chiarito in modo univoco e ripetuto che il diritto al risarcimento del danno da tardiva e incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, si prescrive nel termine decennale decorrente dalla data di entrata in vigore (27 ottobre 1999) della L. 19 ottobre 1999, n. 370, il cui art. 11, ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore di quanti, tra costoro, risultavano beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo, rendendo definitivo l’inadempimento soggettivo residuo (cfr., Cass. 17/05/2011, nn. 10813, 10814, 10815 e 10816; 31/08/2011, n. 17868; 20/03/2014, n. 6606; 15/11/2016, n. 23199; 31/05/2018, n. 13758). La descritta condotta statale ha definitivamente palesato l’adempimento soggettivamente parziale dello Stato per gli specializzandi che hanno iniziato i corsi anteriormente all’anno accademico 1991-1992, sicché, al di là del perdurare degli effetti di tale inadempimento per gli altri (non destinatari della disciplina in parola), la ragionevole cristallizzazione derivante dall’opzione esercitata, rispetto all’astratta possibilità di un ripensamento normativo, onerava della reazione i pretermessi, innescando la decorrenza estintiva prescrizionale; per le medesime ragioni, non può rilevare la diversa quantificazione della remunerazione, e il suo differente regime, discrezionalmente determinati dallo Stato con il D.Lgs. n. 368 del 1999, attuato dall’anno accademico 2006-2007 (Cass. 14/03/2018, n. 6355).

Ne’ può sostenersi che il leading case del 2011 avesse preso in considerazione un termine prudenziale in ottica di conformità comunitaria, in ragione di quanto allora esaminabile, e tale da essere comunque sufficiente a respingere, in quel tempo, l’eccezione di prescrizione, e che, invece, solo successivamente al 1999 la giurisprudenza di questa Corte ha escluso quelle incertezze inibenti la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato, relative ad aspetti quali: l’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa; la natura dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana; il termine di prescrizione; l’individuazione del legittimato passivo della domanda, se solo lo Stato o meno.

Detti argomenti – come già questa Corte ha più volte avuto modo di rimarcare (v. tra le più recenti Cass. 31/03/2021, n. 8843) – sono del tutto infondati e inidonei a indurre a un ripensamento della stabile nomofilachia richiamata e, infatti, per un verso confermata in tempi ben susseguenti al 2011, per altro verso tale da non potersi più riferire solo al rigetto dell’eccezione di prescrizione allora effettuato.

E’ appena il caso di osservare che la questione della giurisdizione non incide affatto sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso dell’estinzione prescrizionale che, come noto, non ha bisogno di iniziative giurisdizionali ma può ben essere stragiudiziale.

Per lo stesso motivo non ha alcun rilievo l’individuazione della natura dell’azione esperibile mentre la più ampia durata decennale della stessa, quale ricostruita, fa sì che la sua determinazione non abbia avuto alcun riflesso sulla maturazione della stessa.

Quanto alla legittimazione passiva – premesso che è dello Stato in persona della Presidenza del consiglio dei Ministri, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale, qui in ogni caso contestuale alla prima, non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi della L. n. 260 del 1958, art. 4 (Cass. Sez. U. 27/11/2018, n. 30649), sicché solo se diretta nei confronti della sola Università l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass. 25/07/2019, n. 20099) – nella fattispecie non emerge, né è dedotta, un’eventuale attività interruttiva nei confronti dell’ente universitario o altri soggetti, fermo restando che dalla stessa normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria.

E’ opportuno ribadire, quanto alla remunerazione, che a seguito dell’intervento con il quale il legislatore – dettando della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 – ha effettuato una aestimatio del danno, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione satisfattiva avente natura di debito di valuta, iscritta in una cornice di disciplina comunitaria nella quale non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa, come ribadito – ferma, pure in chiave CEDU, la non irrisorietà della quantificazione nazionale -anche dalla pronuncia, evocata in ricorso, della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C617-16 (v. Cass. 24/01/2020, n. 1641, cui si rimanda per una più ampia ricostruzione giurisprudenziale).

Questa pronuncia, infatti, per un verso ribadisce che non vi è mai stata alcuna indicazione unionale sulla quantificazione della “adeguata remunerazione”, per altro verso non affronta il tema qui discusso della decorrenza prescrizionale.

Quanto sopra è in linea con ciò che si deve dire per la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, applicabile, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che, ove a regime secondo la normativa statale di recepimento, restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché, in particolare, la direttiva n. 93/16, rispetto alla quale quella n. 2005/36 nulla sposta, non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio (Cass. 14/03/2018, n. 6355, e le moltissime successive conformi, quale, solo a titolo esemplificativo, Cass. 24/05/2019, n. 14168).

Ciò per dire che non è individuabile alcun momento in cui si è stabilita una remunerazione adeguata da valutarsi come la sola recettiva della disciplina unionale, tale da poter concludere, anche in tesi, che esclusivamente a far data da allora avrebbe potuto decorrere la prescrizione.

5. Come desumibile dai rilievi appena fatti, non vi è alcuna incertezza, sulla questione qui in scrutinio, che imponga il rinvio pregiudiziale che i ricorrenti sollecitano nella memoria.

Per quanto già detto, infatti, non solo a partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell’ordinamento interno impediva agli odierni ricorrenti di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie; deve poi ribadirsi che nessun dubbio poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno (lo Stato), e che qualsiasi eventuale incertezza circa l’individuazione del giudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva impedire il decorso della prescrizione, dal momento che qualsiasi eventuale errore poteva essere rimediato mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione (v. in termini, da ultimo, Cass. 02/12/2021, n. 38109, in motivazione, p. 20.1, pagg. 1920).

6. Ne’ può giovare il richiamo a pronunce di merito (quale, da ultimo, quella citata in memoria del Tribunale di Firenze del 2020) che non si conformano all’univoco indirizzo della S.C., sulla base di argomenti che risultano però da questa esaminati e confutati o comunque con essa incompatibili.

Non è pensabile, invero, che l’art. 360-bis c.p.c., n. 1, abbia come presupposto che i precedenti della Corte di cassazione – e ciò ancorché si tratti di un solo precedente, ma non è questo, come detto, il caso in esame – si debbano considerare rilevanti ai fini della sua applicazione solo a condizione che abbiano riscosso “successo” univoco nella giurisprudenza di merito e non invece se non abbiano dispiegato efficacia persuasiva in modo univoco, cioè se abbiano incontrato “resistenze” nella giurisprudenza di merito: invero, se nel dibattito insorto nella giurisprudenza di merito sono emersi argomenti per superare i precedenti della Corte, il ricorrente in Cassazione li dovrà prospettare sempre per postulare il superamento dei medesimi; se, invece, nella giurisprudenza di merito i precedenti siano stati contraddetti in spregio della nomofilachia sulla base di argomenti già discussi e disattesi dai precedenti di legittimità, il ricorrente non potrà pretendere di formulare il suo ricorso semplicemente adducendo tale situazione, che, pur non essendo il nostro ordinamento improntato al regime c.d. dello stare decisis, si pone – senza argomenti – in manifesto contrasto con la funzione nomofilattica attribuita alla Corte di Cassazione (cfr., in motivazione, Cass. 29/09/2015, n. 19231).

7. Il secondo motivo è in parte inammissibile (con riferimento al primo profilo di censura), in altra parte infondato (con riferimento al secondo).

7.1. Costituisce, invero, jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui esula dal sindacato di legittimità e rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione della opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese processuali, essendo la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 c.p.c., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa – ipotesi nella specie non ricorrente – o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea (Cass. 07/03/2001, n. 3272 e successive numerose conformi).

E’ stato anche precisato che “in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione” (Cass. Sez. U. 15/07/2005, n. 14989).

Può nondimeno soggiungersi che, nel caso di specie, l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale è infondatamente postulata in ricorso, essendo stato il gravame proposto in data in cui, come sopra evidenziato, l’orientamento sul decorso della prescrizione si era già consolidato.

7.2. Quanto poi al valore in base al quale parametrare gli importi, questa Corte ha già precisato (in un caso analogo), e va qui ribadito, che “non ricorrendo l’identità di posizione processuale dei… soggetti assistiti dal medesimo avvocato, non trova applicazione il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2” (Cass. 04/03/2021, n. 6110).

In motivazione la corte d’appello ha postulato trattarsi di controversia di valore indeterminabile (ancorché erroneamente, per quanto si dirà qui appresso nel p. 9 della presente ordinanza, ma senza pregiudizio per i ricorrenti rispetto allo scaglione da applicarsi).

Ha però anche precisato doversi considerare la pluralità di parti.

Ne deriva che il valore complessivo delle cause cumulate nel giudizio di appello deve considerarsi pari ad Euro 5.304.000 (valore che si ottiene moltiplicando l’importo di Euro 26.000 (valore minimo delle cause di valore indeterminabile D.M. n. 55 del 2014, ex art. 5, comma 6) per 204, che è il numero degli appellanti).

Per i giudizi di appello di valore compreso tra Euro 4.000.000,01 ad Euro 8.000.000 l’importo massimo liquidabile, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 6 – escludendo dal calcolo la fase istruttoria, come la stessa corte di merito ha ritenuto di dover fare, ma non anche la fase decisoria, alla cui considerazione non osta la circostanza, l’unica dedotta dai ricorrenti, del mancato deposito di comparsa conclusionale – è pari ad Euro 69.714.

L’importo liquidato non oltrepassa tale limite.

Salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, la determinazione in concreto del compenso per le prestazioni professionali di avvocato è rimessa esclusivamente al prudente apprezzamento del giudice di merito (fra le tante da ultimo, Cass. n. 4782 del 2020).

Non ricorre pertanto la denunciata violazione di diritto.

8. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere in definitiva rigettato.

9. Ne discende la condanna dei ricorrenti alla rifusione, in favore delle amministrazioni resistenti, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Il valore della causa, ai fini della liquidazione del compenso, deve ritenersi pari ad Euro 4.807.181,04 (Euro 33.569,70 (pari all’importo unitario di Euro 6.713,94 dell’indennizzo annuale che sarebbe spettato, se del caso, ove non prescritto, moltiplicato per cinque) per i trentasette ricorrenti specializzati dopo 5 anni di corso + Euro 26.855,76 (risultante dalla moltiplicazione di detto importo unitario per quattro anni di corso) per i novantanove ricorrenti specializzati dopo 4 anni di corso + Euro 20.141,82 (importo annuo unitario moltiplicato per tre anni di corso) per altri quarantacinque ricorrenti specializzati dopo 3 anni di corso; occorrendo solo avvertire che il numero complessivo dei corsi di specializzazione considerati ai fini dell’esposto calcolo è maggiore di quello dei ricorrenti perché alcuni di questi hanno proposto la descritta domanda per due o più corsi di specializzazione, in periodi differenti).

10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore delle amministrazioni controricorrenti, in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 30.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

 

 

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