Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4581 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4581 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: CARRATO ALDO

appalto

SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 7042/08) proposto da:

CEA SOC. COOP. EDILIZIA APPALTI a R.L. — già Edil-Aci s.c. a r.l. (P.I.: 01809870870),
in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in forza di
procura a margine del ricorso, dall’Avv. Claudio Fiume ed elettivamente domiciliata presso
lo studio dell’Avv. Paolo Gelli, in Roma, Via C. Poma , n. 4;
– ricorrente –

contro
SOCIETA’ COOPERATIVA EDILIZIA S. ANTONIO DELL’U.N.I.A.C. a R.L. in L.C.A., in
persona del designato Commissario liquidatore, rappresentata e difesa, in virtù di procura
speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Fabio Santangeli ed elettivamente domiciliata
presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Vaccaro, in Roma, Via Tacito, n. 90;
-controricorrente –

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320/Y6

Data pubblicazione: 26/02/2014

e
CO.SI.AB. — CONSORZIO SICILIANO ABITAZIONI S.C. a R.L., in persona del legale
rappresentante pro-tempore;

– intimata –

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 46/2007, depositata il 16 gennaio
2007 (e non notificata).

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
uditi gli Avv.ti Francesco Samperi (per delega), nell’interesse della ricorrente, e
Giuseppe Vaccaro (per delega), nell’interesse della controricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Luigi
Salvato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 14 gennaio 1994, la CEA soc. cooperativa Edilizia Appalti
a r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, la Cooperativa Edilizia S.
Antonio dell’U.N.I.A.C. ed il Consorzio Siciliano Abitazioni s.c.a.r.l. perché — sul
presupposto dell’intervenuta conclusione del contratto di appalto in data 3 aprile 1987, con
il quale alla stessa attrice (già Edil Aci s.c.a.r.I.) era stata commissionata dalla CO.SI.AB.
(per conto della Consorziata Coop. Edil. S.Antonio) la costruzione di alloggi sociali da
realizzarsi in Catania, zona Librino — affinché: – venisse, in via preliminare, dichiarata la
nullità della clausola compromissoria contenuta nel predetto contratto di appalto (essendo
competente, per ogni controversia da esso scaturente, unicamente il Tribunale di Catania);
– si ritenesse, comunque, l’invalidità dell’impugnato lodo arbitrale adottato in quanto affetto
da nullità radicale, con conseguente declaratoria dell’illegittimità della risoluzione del
contratto autonomamente pronunciata dalla Committenza in danno di essa appaltatrice,
dichiarandosi, per contro, la risoluzione del medesimo contratto per inadempimento della
Stazione appaltante; – venisse, pertanto, in conseguenza dell’accoglimento di quest’ultima
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Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 29 gennaio 2014 dal

domanda, dichiarato che essa ditta appaltatrice aveva diritto: a) al completo pagamento di
tutti i lavori eseguiti congiuntamente alla revisione prezzi; b) alla corresponsione del
decimo sull’ammontare delle opere rimaste ineseguite; c) allo svincolo ed alla restituzione
delle fideiussioni di garanzia prestate in relazione all’appalto; d) agli indennizzi per il
vincolo passivo del potenziale apprestato, durante il periodo di maggior durata del

maggiori costi sostenuti per l’esecuzione di lavori in zona franosa ed in presenza di
scarichi fognari; f) agli interessi e agli indennizzi dovuti per i mancati ed omessi pagamenti
dei corrispettivi di appalto; g) al pagamento del nolo delle attrezzature e dei macchinari
indebitamente trattenuti ed utilizzati dalla società committente ed alla restituzione degli
stessi in suo favore.
Radicatosi il contraddittorio, si costituivano in giudizio entrambe le società convenute, le
quali, oltre ad insistere per il rigetto della domanda principale e per il risarcimento dei
danni nella misura di £ 80.000.000 (o di quella comunque provata in corso di causa),
formulavano, a loro volta, domanda riconvenzionale per l’ottenimento, a loro favore, della
pronuncia della condanna della società attrice all’adempimento delle prestazioni dedotte
nel lodo arbitrale dell’il giugno 1992, con vittoria delle spese del giudizio.
Il Tribunale adito (in persona del designato G.O.A. della costituita Sezione stralcio), con
sentenza depositata il 25 settembre 2002, rigettava la domanda principale e quella
risarcitoria proposta dalle convenute, mentre accoglieva la domanda riconvenzionale
avanzata da queste ultime, condannando la società attrice al pagamento della somma di
euro 126.615,72, per le causali di cui al lodo arbitrale dell’i 1 giugno 1992, oltre interessi
dal 29 marzo 1992 fino al soddisfo, nonché della somma di euro 5.422,80 (in uno agli
accessori di legge) a titolo di compenso in favore dei tre arbitri e della somma di euro
413,17 quale compenso dovuto al segretario in seno alla stessa decisione arbitrale, oltre
alla rifusione delle spese giudiziali.
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rapporto; e) al riconoscimento della somma di £ 97.890.000, a titolo di reintegro dei

Interposto appello da parte della CEA Società Cooperativa Edilizia Appalti a r.l. e nella
sola costituzione della Società Cooperativa Edilizia S. Antonio dell’U.N.I.A.C. a r.I., posta
in L.C.A., la Corte di appello di Catania, con sentenza n. 46 del 2007 (depositata il 16
gennaio 2007), rigettava il gravame e, per l’effetto, confermava la sentenza impugnata,
condannando l’appellante anche alla rifusione delle spese del grado in favore

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte etnea, rilevata (alla luce dell’univoca volontà
manifestata nella convenzione di appalto delle parti stipulanti) l’infondatezza della censura
riguardante la dedotta nullità della clausola compromissoria (ricondotta ad un arbitrato
irrituale), confermava la sussistenza (come già ritenuta dal primo giudice) della
legittimazione attiva della Cooperativa S. Antonio ad avvalersi della stessa clausola,
nonché della ritualità dello svolgimento del procedimento arbitrale (anche con riguardo alle
notifiche effettuate durante il suo corso nei riguardi dell’appellante) e della validità del lodo
irrituale, non essendo risultata provata, da parte della società l’appellante, l’esistenza di
alcuno dei vizi della volontà in capo alle parti che avevano conferito l’incarico o agli arbitri,
senza che, peraltro, fosse rimasto riscontrato in concreto l’errore nell’apprezzamento della
realtà nel quale sarebbero incorsi i componenti del collegio arbitrale.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la CEA Soc.
Cooperativa Appalti a r.I., articolato in quattro motivi. La Società Cooperativa Edilizia S.
Antonio dell’U.N.I.A.C. a r.I., in L.C.A., ha resistito con controricorso, mentre l’altra
intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata — ai sensi dell’art.
360 n. 3 c.p.c. – per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c., nonché
degli artt. 808 e 829 n. 1 c.p.c. (vecchia formulazione), avuto riguardo alla ritenuta errata
interpretazione delle clausole contrattuali ed al complessivo comportamento delle parti,
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dell’appellata costituita.

oltre che per vizio di contraddittorietà e/o insufficiente motivazione sul punto, in virtù
dell’art. 360 n. 5 c.p.c. . Con riferimento alla dedotta violazione di legge risulta indicato, ai
sensi dell’art. 366 bis c.p.c., (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie, risultando la
sentenza impugnata pubblicata il 16 gennaio 2007) il seguente quesito di diritto : ” poiché il
giudice del riesame, ritenendo valida ed efficace la clausola compromissoria di cui all’art.

successivo art. 13, ha violato i principi di cui agli artt. 1362 e 1363 c.c., omettendo di
interpretare correttamente il dato contrattuale nonché di valutare il complessivo
comportamento delle parti, voglia la S. C. pronunciarsi sul motivo di diritto, enunciando il
principio di diritto corrispondente al superiore quesito”.
2. Con il secondo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per assunta
violazione degli artt. 1362 e segg. c.c., nonché degli artt. 1388 e segg. c.c., formulando, al
riguardo, il seguente quesito di diritto: “poiché il giudice del riesame, ritenendo parte
sostanziale del contratto di appalto la Coop. S. Antonio dell’U.N.I.A.C. e, quindi, legittimata
ad avvalersi della clausola arbitrale ha a) violato le norme generali in tema di
interpretazione del contratto ex art. 1362 e segg. c.c., non valutando correttamente il dato
contrattuale; b) violato i principi di cui agli artt 1388 e segg. c.c., omettendo di applicare le
norme generali in tema di rappresentanza e, in particolare, di accertare l’effettivo potere
rappresentativo in capo al legale rappresentante del CO.SI.AB. di agire per conto e nel
nome della Cooperativa S. Antonio, voglia la S. C. pronunciarsi sul motivo di ricorso,
enunciando il principio di diritto corrispondente al superiore quesito”.
3. Con il terzo motivo la ricorrente ha denunciato — ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. — la
violazione e falsa applicazione degli artt. 42, 43, 1334, 1335 e 1362 e segg. c.c. , nonché
dell’art. 101 c.p.c.„ avuto riguardo alla errata valutazione della circostanza che le notifiche
alla stessa effettuate, nel corso del procedimento arbitrale, in luoghi diversi dal domicilio
eletto fossero regolari. In relazione a tale doglianza risulta formulato il seguente quesito di
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12 del contratto di appalto del 3 aprile 1987 e non in contrasto con il contenuto del

diritto: “poiché il giudice del riesame, ritenendo valide ed efficacia le notifiche effettuate

alla CEA, in luoghi diversi dal domicilio eletto ha: a) violato le norme generali in tema di
principio del contraddittorio non attenzionando che tutto il procedimento arbitrale si era
svolto in assenza della società ricorrente; b) violato i principi di cui agli artt. 43 e 47 c.c. e
1334 e 1335 c.c. omettendo di applicare le norme in materia di domicilio in generale e di

atti, voglia la S. C. pronunciarsi sul motivo di ricorso, enunciando il principio di diritto
corrispondente al superiore quesito”.
4. Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione
dell’art. 827 c.p.c., nonché l’insufficienza della motivazione della sentenza impugnata sul
punto relativo alla ritenuta validità ed efficacia del lodo arbitrale, malgrado il collegio

domicilio eletto e, conseguentemente, quelle relative alla effettiva conoscenza legale degli

arbitrale si fosse pronunciato agendo in eccesso rispetto ai limiti del mandato e la stessa 97
Tr
società CEA avesse fornito piena prova dell’esistenza di vizi palesi dell’intero

t

procedimento arbitrale. Quanto alla prospetta violazione di legge risulta esposto il

I

seguente quesito di diritto: “poiché il giudice dei riesame, ritenendo valido ed efficace il

lodo arbitrale, ha violato le norme generali in tema di principio di impugnazione del lodo
arbitrale, voglia la S. C. pronunciarsi sul motivo di ricorso, enunciando il principio di diritto
corrispondente al superiore quesito”.
5. Rileva il collegio che le quattro proposte censure non sono provviste della idonea
formulazione del requisito di ammissibilità prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. (“ratione
temporis” applicabile nel caso di specie) e, pertanto, non sono meritevoli di pregio.
Sul piano generale si osserva (cfr., ad es., Cass. n. 4556/2009) che l’art. 366-bis c.p.c., nel
prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai
fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da
parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dai
numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., ovvero del motivo previsto dal numero 5
6

della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua
illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va
funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 c.p.c., all’enunciazione del principio di diritto
ovvero a “dicta” giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre,
ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. (il cui oggetto riguarda il solo

da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a
giustificare la decisione.
Ciò posto, alla stregua della uniforme interpretazione di questa Corte (secondo la quale,
inoltre, ai fini dell’art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto non può essere implicitamente
desunto dall’esposizione del motivo di ricorso, né può consistere o essere ricavato dalla
semplice formulazione del principio di diritto che la parte ritiene corretto applicare alla
fattispecie, poiché una simile interpretazione si sarebbe risolta nell’abrogazione tacita della
suddetta norma codicistica), deve escludersi che la ricorrente si sia attenuta alla rigorosa
previsione scaturente dal citato art. 366 bis c.p.c..
Infatti, con riferimento al primo motivo, involgente la dedotta violazione degli artt. 1362
c.c., 808 e 829 n. 1 c.p.c. (vecchia formulazione) e l’assunto vizio di motivazione con
riguardo alla ritenuta erronea interpretazione delle clausole contrattuali ed al complessivo
comportamento processuale delle parti, la ricorrente ha concluso lo svolgimento della
censura motivo con l’indicazione di un quesito (come precedentemente riportato)
assolutamente generico, oltre che di tipo assertivo e tatutologico, siccome privo di una
idonea specificazione della correlazione con il “decisum” della Corte territoriale, la cui
formulazione non risulta certamente congrua ad assumere rilevanza ai fini della decisione
7

“iter” argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera

del motivo ed a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla
concreta controversia (v., tra le tante, Cass. n. 7197/2009). Quanto al vizio logico manca
del tutto la formulazione di un’autonoma e specifica sintesi delle ragioni addotte a
sostegno della supposta insufficienza motivazionale della sentenza impugnata.
Ad ogni modo, il collegio rileva che la Corte territoriale ha sufficientemente evidenziato,

criteri ermeneutici in materia contrattuale (e, perciò, comunque incensurabile nella
presente sede di legittimità), che la clausola compromissoria (riferita ad arbitrato irrituale)
era stata validamente ed efficacemente prevista, non risultando alcuna contraddizione tra
le disposizioni contenute negli artt. 12 e 13 della convenzione di appalto.
6. Anche il secondo prospettato motivo (attinente alla dedotta erroneità della valutazione
operata con le sentenza impugnata in ordine al riconoscimento della legittimazione
sostanziale del contratto di appalto del 3 aprile 1987 in capo alla Cooperativa edilizia “S.
Antonio” e, quindi, ad avvalersi della clausola compromissoria) è da qualificare
inammissibile per le stesse ragioni evidenziate con la risposta al primo motivo in ordine
alla ritenuta violazione dell’art. 366 bis c.p.c. nella formulazione del quesito di diritto.
In ogni caso, la censura non coglie nel segno perché la Corte catanese ha rilevato la
sussistenza della legittimazione attiva della Cooperativa S. Antonio ad avvalersi della
clausola compromissoria, proprio in quanto committente sostanziale dell’appalto in nome
della quale era stata autorizzata a firmare il contratto la CO.SI .AB., che, peraltro, era stato
sottoscritto anche dal legale rappresentante della suddetta Cooperativa S. Antonio nello
stesso contesto temporale per accettazione e presa visione (il che avrebbe, comunque,
implicato una idonea manifestazione di ratifica della volontà espressa dal legale
rappresentante dell’altra società, ove avesse svolto le funzioni di un “falsus procurator”).

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con motivazione logica ed adeguata svolta in conformità alla corretta applicazione dei

7. Anche la terza censura si presenta corredata da un quesito del tutto inidoneo ai fini
della rituale osservanza dell’art. 366 bis c.p.c. (per le ragioni già poste in risalto con
riferimento alle prime due doglianze) e, in ogni caso, la stessa si prospetta infondata
poiché la Corte di appello etnea, con motivazione logica e congrua oltre che sorretta da
appositi accertamenti fattuali, ha verificato che, oltre alla circostanza che la previsione che

l’unica forma possibile a pena di nullità, gli atti relativi sia alla dichiarazione della Coop. S.
Antonio di volersi avvalere della clausola compromissoria che al ricorso al competente
Presidente del Tribunale per la nomina dell’arbitro da parte dell’appaltatrice (attuale
ricorrente) erano stati ritualmente notificati e, comunque, ricevuti dalla ditta destinataria,
che, perciò, ne era venuta legittimamente a conoscenza.
8. Anche la quarta ed ultima censura è da considerarsi inammissibile perché, oltre ad
essere sprovvista di un conferente quesito di diritto e da una appropriata sintesi delle
ragioni addotte a sostegno della supposta inadeguatezza motivazionale, riguarda una
questione nuova e, quindi, come tale, inammissibile in questa sede.
E’ appena il caso, peraltro, di evidenziare al riguardo che la Corte catanese ha accertato
che non ricorresse alcuno dei vizi legittimanti l’impugnazione del lodo arbitrale e,
comunque, che la CEA non aveva dato alcuna prova dell’esistenza di alcuno dei
(necessari) vizi della volontà né dell’eventuale errore nell’apprezzamento della realtà nel
quale erano incorsi gli arbitri, essendo pacifico — nella giurisprudenza di questa Corte (cfr.,
ad es., Cass. n. 18577 del 2004 e Cass. n. 22374 del 2006) — che il lodo arbitrale
irrituale non è impugnabile per errori di diritto, ma solo per i vizi che possono
vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale, come l’errore, la violenza, il
dolo o l’incapacità delle parti che hanno conferito l’incarico e dell’arbitro stesso.

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le notifiche presso il domicilio eletto non era stata concordata contrattualmente come

9. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il proposto ricorso va
rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento — in favore della
controricorrente – delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in
dispositivo sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M.

stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012). Non occorre, invece, adottare alcuna
pronuncia in punto spese con riferimento al rapporto processuale instauratosi tra la
ricorrente e l’altra società intimata, che non ha svolto attività difensiva in questa fase di
legittimità.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della
controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi in euro
10.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come
per legge.

Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 29 gennaio 2014.

Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello

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