Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4580 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. III, 19/02/2021, (ud. 09/12/2020, dep. 19/02/2021), n.4580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29057-2019 proposto da:

I.O.N., rappresentato e difeso dall’avv.to ENNIO

CERIO, con studio in Campobasso, via Mazzini 112

avvenniocerio.cnfpec.it) elettivamente domiciliato in Roma, piazza

Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO in persona del Ministro pro tempore;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO N. 1862/2019,

depositato il 27/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/12/2020 dal Consigliere Dott. DI FLORIO ANTONELLA.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. I.O., proveniente dalla Nigeria (Edo State) ricorre affidandosi a due motivi per la cassazione del decreto del Tribunale di Campobasso che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, in ragione del diniego a lui opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere stato costretto a lasciare il proprio paese in quanto svolgeva l’attività di apprendista meccanico e, a seguito di un sinistro verificatosi mentre collaudava un’autovettura, aveva investivo un’intera famiglia ed un componente di essa perdeva la vita: veniva quindi aggredito dai testimoni del fatto, i quali gli avevano incendiato la macchina e, successivamente, la casa familiare, ragione per cui, temendo ulteriori ritorsioni, era fuggito definitivamente verso l’Italia, dopo un primo transito verso la Libia.

2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Con il primo ed il secondo motivo – da esaminare congiuntamente per la stretta connessione e la parziale sovrapponibilità – il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 32.

1.1. Lamenta, in sostanza, che il Tribunale aveva omesso di compiere i doverosi accertamenti prescritti dalle norme sopra richiamate sulla situazione endemica di insicurezza esistente nel paese di origine; ed assume che tale mancata indagine abbia determinato un erronea valutazione delle condizioni ivi esistenti in base alla quale era stata ingiustamente negata la riconducibilità delle vicende narrate ai presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ed, in subordine, della protezione umanitaria.

1.2. Aggiunge, specificamente, che non erano state acquisite fonti informative aggiornate nè sulla situazione del paese di origine nè su quelle relative al paese di transito e che, quindi, mancava del tutto l’adempimento del dovere di cooperazione istruttoria al quale il giudice di merito era tenuto.

2. Entrambe le censure – pur dovendo essere riqualificate con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per apparenza della motivazione – sono fondate.

2.1. Il Tribunale, infatti, ha respinto la domanda del ricorrente senza riportare in modo specifico le informazioni sul paese di origine tratte da fonti informative attendibili ed aggiornate e limitandosi ad affermare che nello stato Edo non era in atto una violenza indiscriminata “dal momento che l’organizzazione terroristica di Boko Haram opera nel nord-est del paese, in particolare negli stati di Borno, Yobe e Adamawa per i quali l’UNHCR ha dato indicazioni di non rimpatrio”, ed aggiungendo che “l’Edo State non risulta segnalato per l’esistenza di conflitti armati in corso” (cfr. pag. 3 della sentenza terz’ultimo cpv).

2.2. Al riguardo, si osserva che:

a. tale ultima affermazione è meramente enunciativa, in quanto essa non è affatto riferita a fonti attendibili ed aggiornate dalle quali possa essere stata desunta; a ciò si aggiunge che anche la precedente statuizione, volta ad escludere l’esistenza di azioni terroristiche nella regione di provenienza del ricorrente, oltre ad essere prospettata ricavandola esclusivamente dalla presenza del fenomeno in altra parte del paese – fatto questo che non esclude a priori che sia presente, anche con diversi responsabili, nella regione di stretto interesse – è riferita ad una fonte ufficiale (l’UNHCR) priva di collocazione temporale e dunque, per ciò che risulta, non aggiornata;

b. il rilievo ridonda su tutte le ipotesi di protezione sussidiaria previste, in quanto il Tribunale, nelle premesse del provvedimento reso, non ha messo in discussione la credibilità del racconto ma, pur ritenendo attendibili i fatti narrati, ha affermato che erano “inidonei a riempire di contenuto uno dei concetti indeterminati, elastici o generali che dir si voglia, elevati dal legislatore a fatto costitutivo del diritto di protezione (id est l’esser perseguitato per motivi di razza, religione et alia)” (cfr. pag. 3 del decreto impugnato): ritenuto, pertanto, credibile il racconto narrato, il Tribunale avrebbe dovuto adempiere al dovere di cooperazione istruttoria, richiamando informazioni tratte da fonti attendibili ed aggiornate sulla esistenza di una condizione di sicurezza e sociopolitica della regione di provenienza tale da far ritenere insussistenti i rischi paventati, fra i quali, trattandosi di una vicenda privata consistente in reiterate aggressioni, quello di non ottenere una tutela adeguata da parte delle forze dell’ordine.

2.3. Il decreto impugnato richiama, invece, a sostegno della affermazione sopra riportata, una pronuncia di questa Corte (Cass. 5998/2018) che, nel respingere la domanda di protezione di un cittadino nigeriano, aveva escluso che in quel territorio esistesse, all’epoca della decisione di merito impugnata (oltretutto ben antecedente a quella in esame), una situazione di conflitto armato.

2.4. La statuizione, pertanto, risulta apparente in quanto priva di attinenza logica con i fatti narrati rispetto ai quali, mancando ogni riferimento diretto alle fonti informative utilizzate, risulta incomprensibile un percorso argomentativo coerente posto a base del diniego.

2.5. Al riguardo, non è inutile ricordare che quanto prescritto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, configura un preciso dovere officioso, non sostituibile dal richiamo ad un precedente giurisprudenziale che manca, oltre che di decisività rispetto allo specifico caso in esame, anche del necessario aggiornamento, indispensabile per una soluzione della controversia che rifletta le condizioni del paese di origine dove il ricorrente dovrebbe rientrare.

2.6. La censura ridonda, altresì, sulla domanda di protezione umanitaria in relazione alla quale, ugualmente, nessuna indagine è stata effettuata sul livello di tutela dei diritti fondamentali che lo Stato era in grado di fornire, con ciò non formulando un corretto giudizio di comparazione.

2.6. Al riguardo, questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, secondo cui “nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del ricorrente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente.” (cfr. ex multis Cass. 13897/2019; Cass. 9230/2020).

3. Tale principio risulta disatteso, ragione per cui il decreto deve essere cassato con rinvio al Tribunale di Campobasso che, in diversa composizione, dovrà riesaminare la controversia in relazione a tutte le fattispecie dedotte, alla luce del principio di diritto sopra evidenziato.

4. Il Tribunale di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Campobasso in diversa composizione anche per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 9 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

 

 

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