Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4580 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. III, 11/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4580

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22921/2019 R.G. proposto da:

F.A., Fi.Lu., e L.G., rappresentati e

difesi dall’Avv. Carlo Amoruso, con domicilio eletto presso il suo

studio in Roma, Via Nomentana, n. 403;

– ricorrenti –

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute,

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e

Ministero dell’Economia e delle Finanze;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 577/2019,

depositata il 25 gennaio 2019.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del di 11 gennaio

2022 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I medici odierni ricorrenti convennero davanti al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri, il M.I.U.R., il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive Europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione in anni compresi tra il 1979 e il 1985.

Con sentenza n. 3954/2018, depositata in data 22 febbraio 2018, il tribunale, dichiarata la carenza di legittimazione passiva dei tre Ministeri, rigettò le domande in quanto proposte nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ritenendo prescritte le relative pretese creditorie.

2. Pronunciando sul gravame interposto dai soccombenti la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 577/2019 del 25 gennaio 2019, lo ha rigettato sul confermato rilievo della prescrizione dei crediti azionati.

3. Per la cassazione di tale sentenza i predetti medici propongono ricorso affidato a quattro motivi.

Le amministrazioni intimate non svolgono difese.

La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 101 Marco, comma 2.

Lamentano che la corte d’appello non ha applicato la legge ma è rimasta ancorata ad un’interpretazione della S.C. “espressa in altre fattispecie, in punto di prescrizione, così come in punto di quantificazione dell’eventuale adeguata remunerazione ed in punto di interessi compensativi”.

Il motivo denuncia anche violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., in relazione al dies a quo del termine prescrizionale, a torto, secondo i ricorrenti, individuato in sentenza nella data di entrata in vigore della L. n. 370 del 1999 (27 ottobre 1999), invece che in quella della emanazione dei decreti attuativi del D.Lgs. n. 368 del 1999 e, segnatamente, con l’emanazione del D.P.C.M. 6 luglio 2007.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “nullità della sentenza per insussistenza di uno dei requisiti ex art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c.”, in relazione alla motivazione offerta dalla corte d’appello, a loro dire inidonea ad assolvere il relativo onere in quanto risolventesi nell’acritico recepimento di un orientamento giurisprudenziale.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano “violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 100 c.p.c. e art. 95 Cost.”, in relazione alla confermata esclusione della legittimazione passiva dei Ministeri.

4. Con il quarto motivo essi deducono violazione e/o falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione alla statuita loro condanna alle spese del giudizio di appello. Affermano che l’opinabilità delle questioni trattate avrebbe dovuto giustificarne la compensazione, considerato che l’arresto di legittimità richiamato in sentenza (Cass. n. 10813 del 2011) era apparso successivamente alla stessa Corte d’appello – in altre pronunce che avevano per tal motivo compensato le spese – superato o frutto di una interpretazione comunque non univoca.

5. Il primo e il secondo motivo – dedotti in punto di prescrizione (e relativa motivazione) e da esaminarsi, dunque, congiuntamente – sono inammissibili, a norma dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

Come noto, infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo chiarito che il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, insorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati, dopo l’applicabilità del regime Eurounitario ed entro l’anno accademico 1990-1991, in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente, per quanto osservato dalla corte territoriale, dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, laddove, al contempo, in riferimento a detta situazione, nessuna influenza può avere la sopravvenuta disposizione di cui alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43 – secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie soggiace alla disciplina dell’art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato – trattandosi di norma che, in difetto di espressa previsione, non può che spiegare la sua efficacia rispetto a quanto verificatosi successivamente alla sua entrata in vigore, ossia al 10 gennaio 2012 (Cass., 09/02/2012, n. 1917, che riprende Cass., nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011, evocate nei ricorsi, ed è confermata da innumerevoli successivi arresti, come, ad esempio, Cass. 19/07/2019, n. 16452 e Cass. 24/01/2020, n. 1589).

Ne’ può sostenersi che il leading case del 2011 avesse preso in considerazione un termine prudenziale in ottica di conformità comunitaria, in ragione di quanto allora esaminabile, e tale da essere comunque sufficiente a respingere, in quel tempo, l’eccezione di prescrizione, e che, invece, solo successivamente al 1999 la giurisprudenza di questa Corte ha escluso quelle incertezze inibendi la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato, relative ad aspetti quali: l’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa; la natura dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana; il termine di prescrizione; l’individuazione del legittimato passivo della domanda, se solo lo Stato o meno.

Detti argomenti – come già questa Corte ha più volte avuto modo di rimarcare (v., tra le più recenti, Cass. 31/03/2021, n. 8843) – sono del tutto infondati e inidonei a indurre a un ripensamento della stabile nomofilachia richiamata e, infatti, per un verso confermata in tempi ben susseguenti al 2011, per altro verso tale da non potersi più riferire solo al rigetto dell’eccezione di prescrizione allora effettuato secondo quanto obiettato dal patrocinio oggi ricorrente.

E’ appena il caso di osservare che la questione della giurisdizione non incide affatto sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso dell’estinzione prescrizionale che, come noto, non ha bisogno di iniziative giurisdizionali ma può ben essere stragiudiziale.

Per lo stesso motivo non ha alcun rilievo l’individuazione della natura dell’azione esperibile mentre la più ampia durata decennale della stessa, quale ricostruita, fa sì che la sua determinazione non abbia avuto alcun riflesso sulla maturazione della stessa.

Quanto alla legittimazione passiva – premesso che è dello Stato in persona della Presidenza del consiglio dei Ministri, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale, qui in ogni caso contestuale alla prima, non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi della L. n. 260 del 1958, art. 4 (Cass., Sez. U., 27/11/2018, n. 30649), sicché solo se diretta nei confronti della sola Università l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass., 25/07/2019, n. 20099) – nella fattispecie non emerge, né dedotta, un’eventuale attività interruttiva nei confronti dell’ente universitario o altri soggetti, fermo restando che dalla stessa normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria.

E’ opportuno ribadire, quanto alla remunerazione, che a seguito dell’intervento con il quale il legislatore – dettando della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 – ha effettuato una aestimatio del danno, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione satisfattiva avente natura di debito di valuta, iscritta in una cornice di disciplina comunitaria nella quale non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa, come ribadito – ferma, pure in chiave CEDU, la non irrisorietà della quantificazione nazionale – anche dalla pronuncia, evocata in ricorso, della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C617-16 (Cass., 24/01/2020, n. 1641, cui si rimanda per una più ampia ricostruzione giurisprudenziale).

Quanto sopra è in linea con ciò che si deve dire per la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, applicabile, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che, ove a regime secondo la normativa statale di recepimento, restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché, in particolare, la direttiva n. 93/16, rispetto alla quale quella n. 2005/36 nulla sposta, non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio (Cass. 14/03/2018, n. 6355, e le moltissime successive conformi, quale, solo a titolo esemplificativo, Cass. 24/05/2019, n. 14168).

Ciò per dire che non è individuabile alcun momento in cui si è stabilita una remunerazione adeguata da valutarsi come la sola recettiva della disciplina unionale, tale da poter concludere, anche in tesi, che esclusivamente a far data da allora avrebbe potuto decorrere la prescrizione.

Non vi è alcuna violazione della normativa sovranazionale, e alcuna irragionevolezza o disparità di trattamento posto che l’incremento previsto nell’esercizio della discrezionalità legislativa per i corsi di specializzazione collocati in tempi successivi, non escludendo l’adeguatezza della remunerazione precedente, è stato espressione di una scelta che rientra nelle opzioni legislative di regolare diversamente situazioni successive nel tempo (cfr., anche, di recente, Cass., 19/02/2019, n. 4809; 18/02/2021, n. 4307).

Palesemente incongruo ed eccentrico è poi ipotizzare la violazione dell’art. 101 Cost., per il solo fatto di avere, il giudice a quo, deciso conformemente alla giurisprudenza della S.C.: uniformandosi al consolidato orientamento della giurisprudenza la corte d’appello ha, infatti, per ciò stesso reso una pronuncia conforme alla legge, quale costantemente interpretata dalla S.C..

La decisione richiama evidentemente i precedenti non in termini di stare decisis ma quale cornice nomofilattica all’ermeneutica legale positiva.

6. Ne’ può giovare il richiamo a pronunce di merito che non si conformano all’univoco indirizzo della S.C., sulla base di argomenti che risultano però da questa esaminati e confutati o comunque con essa incompatibili.

Non è pensabile, invero, che l’art. 360-bis c.p.c., n. 1, abbia come presupposto che i precedenti della Corte di cassazione – e ciò ancorché si tratti di un solo precedente, ma non è questo, come detto, il caso in esame – si debbano considerare rilevanti ai fini della sua applicazione solo a condizione che abbiano riscosso “successo” univoco nella giurisprudenza di merito e non invece se non abbiano dispiegato efficacia persuasiva in modo univoco, cioè se abbiano incontrato “resistenze” nella giurisprudenza di merito: invero, se nel dibattito insorto nella giurisprudenza di merito sono emersi argomenti per superare i precedenti della Corte, il ricorrente in Cassazione li dovrà prospettare sempre per postulare il superamento dei medesimi; se, invece, nella giurisprudenza di merito i precedenti siano stati contraddetti in spregio della nomofilachia sulla base di argomenti già discussi e disattesi dai precedenti di legittimità, il ricorrente non potrà pretendere di formulare il suo ricorso semplicemente adducendo tale situazione, che, pur non essendo il nostro ordinamento improntato al regime c.d. dello stare decisis, si pone – senza argomenti – in manifesto contrasto con la funzione nomofilattica attribuita alla Corte di Cassazione (cfr., in motivazione, Cass. 29/09/2015, n. 19231).

7. Tra gli autori del ricorso non vi è nessuno per i quali la domanda risarcitoria non sia stata rigettata per prescrizione.

Ne discende che le considerazioni sopra svolte assorbono e rendono ultroneo l’esame del terzo motivo in punto di esclusione della legittimazione passiva dei ministeri.

8. Del restante quarto motivo, in punto di spese, va parimenti rilevata l’inammissibilità.

Costituisce, invero, jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui esula dal sindacato di legittimità e rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione della opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese processuali, essendo la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito sindacabile in sede di legittimità nei soli casi di violazione del divieto, posto dall’art. 91 c.p.c., di porre anche parzialmente le spese a carico della parte vittoriosa – ipotesi nella specie non ricorrente – o nel caso di compensazione delle spese stesse fra le parti adottata con motivazione illogica o erronea (Cass. n. 3272 del 07/03/2001 e successive numerose conformi).

E’ stato anche precisato che “in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione” (Cass. Sez. U. 15/07/2005, n. 14989).

Può nondimeno soggiungersi che, nel caso di specie, l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale è infondatamente postulata in ricorso, essendo stato il gravame proposto in data in cui, come sopra evidenziato, l’orientamento sul decorso della prescrizione si era già consolidato.

9. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Non avendo, le amministrazioni intimate, svolto difese, non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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