Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4577 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4577 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: ABETE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso 7212

2008 R.O. propubto da:

FAZZNO MASSIMO — FZZMSM48L1511501W – elettivarnerite donneihatx) Rs)suB., •=t
viale G. Rossíni, n. 26, presso lo studio dell’avvocato Laura Vasselli, che lo rappresenta e
difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso.
RICORRENTE
contro
• POSTE ITALIANE s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa in virtù di procura generale alle liti del 13.3.2007 per notar A. Ioli dall’avvocato
Simonetta Guadagni ed elettivamente domiciliata in Roma, al viale Europa, n. 190, presso la
propria sede legale.
CONTRORICORRENTE
Avverso la sentenza n. 176 dei 5.12.2006/16.1.2007 della corte d’appello di Roma,
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 23 gennaio 2014 dal consigliere
dott. Luigi Abete,
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Data pubblicazione: 26/02/2014

Udito l’avvocato Laura Vasselli per il ricorrente,
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. Alberto
Celeste, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità, in subordine, per il rigetto del
ricorso,
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

di Roma l’architetto Massimo Fazzino, in tal guisa proponendo opposizione avverso il decreto
emesso in data 24.1.1999 dal presidente del medesimo tribunale, decreto con cui si
ingiungeva ad essa società opponente il pagamento della somma di lire 81.484.637, oltre
interessi legali a decorrere dalla domanda e spese di procedura monitoria, a titolo di compenso
per l’opera professionale dall’opposto architetto prestata sulla scorta degli incarichi
conferitigli con il disciplinare in data 23.5.1992.
Con la spiegata opposizione, in particolare, la s.p.a. “Poste Italiane” eccepiva
pregiudizialmente l’intervenuta prescrizione del credito ed, in ogni caso, l’operato regolare
integrale pagamento di quanto ex adverso preteso.
Si costituiva e resisteva l’opposto.
Con sentenza dei 8.6/8.10.2002 il tribunale di Roma rigettava l’opposizione, così
confermando l’opposta ingiunzione.
Interponeva appello la s.p.a. “Poste Italiane”, instando per la riforma della gravata
sentenza.
Si costituiva e resisteva l’architetto Massimo Fazzino.
Con sentenza n. 176 dei 5.12.2006/16.1.2007 la corte d’appello di Roma accoglieva il
gravame e revocava il decreto ingiuntivo, condannando l’appellato al pagamento delle spese
del doppio grado.

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Con atto in data 25.6.1999 la s.p.a. “Poste Italiane” citava a comparire innanzi al tribunale

In particolare il giudice del gravame, dato atto previamente che “con disciplinare 23
maggio 2002 l’Amministrazione delle Poste.., affidava all’Arch. Fazzino due distinti
incarichi…” (così sentenza d’appello, pag. 3), evidenziava che “dalla documentazione in atti
risulta che con riferimento al primo incarico il professionista emise in data 23 settembre 1992
la fattura n. 3/92 per £ 53.266.200, comprensiva di iva e contributi e detratta la ritenuta

15.7.1994 a firma del Fazzino” (così sentenza d’appello, pag. 3), che “ne deriva l’estinzione
dell’obbligazione di pagamento di tale prima parte dell’incarico per avvenuto adempimento e
comunque per prescrizione triennale, posto che la prima richiesta di sollecito di ulteriori
versamenti è datata 8.5.1998” (così sentenza d’appello, pagg. 3 4), che “non risulta pertanto

dovuta la differenza di £ 32.319.993 di onorario liquidata per il rilievo architettonico dal
Consiglio dell’Ordine degli Architetti” (così sentenza d’appello, pag. 4), che “per quanto
riguarda la progettazione dei lavori, oggetto del secondo incarico, la parcella vistata
dall’ordine professionale considera poi la voce di £ 31.000.000 per compenso a discrezione
che non risulta del pari dovuta, come emerso dalla prova testimoniale assunta in prime cure
che ha accertato che il progetto originale non subì modifiche e che non furono mai richieste
varianti ma unicamente effettuate normali revisioni” (così sentenza d’appello, pag. 4), che,
“detratte tali voci dall’importo ingiunto ha ragione le Poste Italiane laddove ha sostenuto… di
nulla dovere per aver corrisposto al Fazzino l’intero compenso per l’opera prestata” (così
sentenza d’appello, pag. 4).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso Massimo Fazzino, chiedendone, sulla scorta di
due motivi, la cassazione; con il favore altresì delle spese del giudizio di legittimità.
La s.p.a. “Poste Italiane” s.r.l. ha depositato controricorso; conclude per la declaratoria di
inammissibilità ed in ogni caso per il rigetto dell’avverso ricorso, con il favore delle spese del
giudizio.
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d’acconto, regolarmente saldata dal committente, come risulta esplicitamente dalla lettera

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorrente premette che gli onorari maturati per la complessiva opera professionale
prestata ammontavano a lire 265.094.014 e che la committente ha provveduto a liquidargli il
minor importo di lire 213330.612.
Indi, con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 360, 10 co., n. 5), c.p.c., il vizio di

All’uopo adduce che “non è dato comprendere se la Corte d’Appello abbia fondato 17.
propria richiesta su un parziale o su un totale adempimento delle Poste Italiane in relazione al
totale della somma specificata nel decreto ingiuntivo ” (così ricorso, pag. 6); che,
“cercando di rendere all’estremo logico il ragionamento della Corte, che logico non è,
sommando gli importi, rispettivamente di £ 32.319.993 e di £ 31.000.000, si ottiene
comunque un importo inferiore a quello ingiunto” (così ricorso, pag. 6).
Con il secondo motivo deduce, del pari ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5), c.p.c., il vizio di
difetto di motivazione.
All’uopo adduce che “in conclusione, deve essere cassata la decisione della Corte
d’Appello di Roma, perché, del tutto tralasciando le argomentazioni del tribunale…, ha
riformato la stessa senza compiutamente spiegare le ragioni e senza far comprendere perché
sia stata disposta la totale revoca del decreto ingiuntivo, dopo aver sostenuto che solo alcune
voci, per quanto congrue, non erano dovute” (così ricorso, pag. 7); che, “quantomeno avrebbe
dovuto far seguito, alla revoca del decreto, la condanna delle Poste Italiane alla quota — se pur
minima — pari alla differenza comunque non corrisposta” (così ricorso, pag. 7).
Si giustifica la disamina congiunta di ambedue i motivi di ricorso, quanto meno giacché
sono entrambi ancorati alla previsione del n. 5) del 1° co. dell’art. 360 c.p.c..
Sia l’uno che l’altro motivo, comunque, risultano destituiti di fondamento; e ciò, ben vero,
pur a prescindere dai pregnanti profili di inammissibilità che si configurano.
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erronea, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Si sottolinea, previamente, che i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza
impugnata devono senz’altro connotarsi alla stregua dei requisiti della specificità,
completezza e riferibilità alla decisione censurata (cfr., tra le altre, Cass. 17.7.2007,, n.

15952).
In questi termini si osserva che la corte distrettuale, siccome si è in precedenza anticipato,

ricorrente, ovvero in relazione all’incarico avente ad oggetto il “rilievo architettonico
fotogrammetrico dell’edificio”, ha opinato altresì per l’intervenuta prescrizione di
qualsivoglia pretesa creditoria – eventualmente insorta e rimasta insoluta – dell’architetto
Massimo Fazzino.
Ebbene, a tal specifico riguardo il ricorrente — né col primo né col secondo motivo – nulla
ha dedotto a confutazione dell’assunto del giudice di seconde cure.
E, giacché l’affermazione del giudice d’appello dell’avvenuto compimento del termine
triennale — evidentemente, ex art. 2956, n. 2), c.c. – di prescrizione è in parte qua di per sé
sufficiente a sorreggere il dictum in questa sede censurato, il primo motivo di ricorso, recte il
ricorso, relativamente al primo incarico, appare indiscutibilmente inammissibile, giacché in
nessun modo si correla, inficiandola, a siffatta ulteriore autonoma ratio decidendi.
Si osserva, in ogni caso, con riferimento ad entrambi gli incarichi (il secondo incarico

aveva ad oggetto il “progetto dei lavori di restauro e ristrutturazione”), che la corte
d’appello di Roma, nella descrizione del fatto, sulla scorta delle prospettazioni della s.p.a.
“Poste Italiane”, ha riferito compiutamente le vicende tutte concernenti i pagamenti eseguiti in
adempimento delle obbligazioni pecuniarie insorte per effetto, appunto, e dell’uno e dell’altro
incarico.
In particolare la corte territoriale ha esplicitato che, antecedentemente all’emissione della
fattura di lire 52.220.000, oltre accessori, regolarmente saldata dalla controricorrente, erano
5

in relazione al primo incarico professionale che la s.p.a. “Poste Italiane” ebbe a conferire al

stati corrisposti ben quattro acconti (rispettivamente da lire 18.800.000, da lire 8.080.000, da
lire 23.300.000 e da lire 81.580.000), oltre al saldo finale, pari a lire 23.249.353, et;
all’importo di lire 6.121.268, a titolo di interessi per ritardato pagamento, e così in totale lire
207.229.353 (lire 155.009.353 + lire 52.220.000), oltre a lire 4.144.587 per c.n.p.a.i.a. ed
all’i.v.a. e detratta la ritenuta d’acconto.

vicende del rapporto operata dalla s.p.a. “Poste Italiane” e, su tale piattaforma, ha considerato
non dovuta la voce di lire 32.319.993.
Dal canto suo la voce di lire 31.000.000 è stata reputata non dovuta atteso il difetto delle
prestazioni sinallagmatiche che sol sarebbero valse a giustificarla.
In tale quadro reputa questa corte di legittimità, per un verso, che il secondo giudice ha
senza dubbio ancorato tale suo dictum a motivazione ampia, articolata, congrua e coerente (si
tenga conto che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce
al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza
giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del
merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così,
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge; ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il
profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente
dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia
evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato

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Evidentemente il secondo giudice ha fatto integralmente propria la ricostruzione delle

dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le
argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del
procedimento logico – giuridico posto a base della decisione: cfr. Cass. 9.8.2007, n. 17477;
Cass. 7.6.2005, n. 11789), per altro verso, che le doglianze formulate dal ricorrente,
segnatamente allorché ha assunto che la statuizione di secondo grado, “tralasciando le

ragioni e senza far comprendere perché sia stata disposta la totale revoca del decreto
ingiuntivo” (così ricorso, pag. 7), risultano sicuramente prive dell’imprescindibile connotato
della specificità.
E ciò tanto più al cospetto della puntualizzazione operata dalla controricorrente (cfr.
controricorso, pag. 5), alla cui stregua l’importo di lire 81.484.637, di cui si era ingiunto il
pagamento, era sol nei limiti di lire 51.763.393 (ammontare, peraltro, pari all’incirca alla
differenza tra lire 265.094.014 e lire 213.330.612) costituito da sorta capitale, giacché il
residuo, fino a concorrenza di lire 12.209.582, era rappresentato da svalutazione monetaria e,
fino a concorrenza di lire 17.511.662, era rappresentato da interessi moratori.
In questi termini è ben evidente che la somma (lire 63.319.993) dei due importi (lire
32.319.993 e lire 31.000.000) che la corte territoriale ha riconosciuto non dovuti, siccome, del
pari, han rimarcato “Poste Italiane” (cfr. controricorso, pag. 5), sopravanza di gran lunga il
quantum della sorta capitale di cui all’ingiunzione revocata dal secondo giudice.
Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla s.p.a. controricorrent..;
le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3,700,00, di cui euro 200,00 per esborsi.

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argomentazioni del Tribunale.., ha riformato la stessa senza compiutamente spiegare le

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di

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