Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4575 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. III, 11/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4575

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 17019 del ruolo generale dell’anno

2018 proposto da:

1) A.G., (C.F. (OMISSIS)), 2) + ALTRI OMESSI,

rappresentati e difesi, in virtù di procure allegate in calce al

ricorso, dagli avvocati Salvatore Forgione (C.F.: FRGSVT50P241809L)

e Ferdinando Di Cerbo (C.F.: DCRFDN57A20F717C);

rappresentati e difesi, in virtù di procure allegate in calce al

ricorso, dagli avvocati Salvatore Forgione (C.F.: FRGSVT50P241809L)

e Ferdinando Di Cerbo (C.F.: DCRFDN57A20F717C);

– ricorrenti –

nei confronti di:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata

e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n.

629/2018, pubblicata in data 1 febbraio 2018;

udita la relazione sulla causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11 gennaio 2022 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

I medici indicati in epigrafe quali ricorrenti, deducendo di non avere ricevuto la remunerazione prevista dalle Direttive CEE n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 per la frequenza di corsi di specializzazione universitaria, hanno agito in giudizio nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata attuazione delle suddette direttive comunitarie.

Le loro domande sono state rigettate dal Tribunale di Roma.

La Corte di Appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado.

Avverso tale decisione ricorrono i medici indicati in epigrafe quali ricorrenti, sulla base di quattro motivi.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri resiste con controricorso.

E’ stata disposta la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli altri intimati.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,167,50 c.p.c. e art. 101 c.pc.., comma 2 e art. 183 c.p.c., comma 4, art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il motivo è manifestamente infondato.

La corte di appello ha rigettato le domande dei ricorrenti, rilevando che i corsi di specializzazione da essi frequentati non rientravano tra quelli inclusi negli elenchi allegati alle direttive Europee che prevedono il diritto all’adeguata remunerazione per la frequenza.

I ricorrenti censurano la decisione sostenendo che la mancata inclusione dei corsi negli elenchi suddetti era stata eccepita dall’amministrazione convenuta, per la prima volta, in sede di riassunzione del giudizio davanti al Tribunale di Roma, dopo la decisione di questa Corte adottata in sede di regolamento di competenza e che, trattandosi di eccezione in senso proprio, avrebbe dovuto ritenersi tardiva e, come tale, inammissibile.

Al contrario, secondo l’indirizzo di questa Corte (cui intende darsi continuità e che comunque il ricorso non offre ragioni per rimeditare), in relazione al diritto all’indennità per la mancata percezione di una adeguata remunerazione in caso di frequenza delle scuole di specializzazione in medicina previste dalle direttive Europee che hanno imposto la predetta remunerazione, l’inclusione dei corsi di specializzazione negli elenchi di cui alle direttive stesse, ovvero la loro equipollenza a corsi istituiti in almeno due stati membri, è un fatto costitutivo della domanda e, come tale, va allegato e provato dal medico attore; di conseguenza, non costituisce oggetto di una eccezione, né in senso stretto né in senso lato, ma di una mera difesa (cfr., di recente: Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 28440 del 14/12/2020; Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 20303 del 26/07/2019, Rv. 654780 – 01, in motivazione; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 37251 del 29/11/2021, Rv. 663320 – 01).

Si tratta dunque di questione non soggetta ad alcuna preclusione e rilevabile anche di ufficio dal giudice.

Ne’ può ritenersi che vi fosse obbligo del giudice di segnalare alle parti il rilievo di ufficio della questione stessa, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 4, in quanto, come emerge dallo stesso ricorso, in realtà la questione era stata espressamente posta dalla parte convenuta, anche se in un momento successivo a quello del deposito dell’originaria comparsa di costituzione e risposta.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione direttive CE 362/75, 363/75 e 82/76 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Il secondo e il terzo motivo sono logicamente connessi e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.

I ricorrenti sostengono che i corsi di specializzazione da loro rispettivamente frequentati erano in realtà da ritenersi compresi negli elenchi di cui alle direttive Europee che hanno imposto l’obbligo di adeguata remunerazione della frequenza; assumono inoltre che la sentenza impugnata difetterebbe di una effettiva motivazione su tale punto, soprattutto con riguardo a taluni dei corsi di specializzazione oggetto di domanda, non presi espressamente in considerazione dai giudici di merito.

In particolare, vengono in rilievo i seguenti corsi di specializzazione:

“Igiene e Medicina preventiva” (frequentato dai ricorrenti A., + ALTRI OMESSI);

“Medicina del Lavoro” (frequentato dai ricorrenti As., + ALTRI OMESSI);

– “Pediatria preventiva” (frequentato dalla ricorrente B.);

“Radiodiagnostica” (frequentato dai ricorrenti Bo., + ALTRI OMESSI);

“Radioterapia oncologica” (frequentato dal ricorrente C.);

– “Tossicologia forense” (frequentato dalla ricorrente M.);

– “Scienza dell’Alimentazione” (frequentato dalla ricorrente R. A.).

2.1 In primo luogo, si rileva che, nella sentenza impugnata, sono espressamente indicati i seguenti corsi di specializzazione, che la corte territoriale afferma non essere inclusi negli elenchi di cui alle direttive Europee: “Medicina del Lavoro”, “Tossicologia forense”, “Radioterapia oncologica”, “Scienza dell’Alimentazione” e”Pediatria preventiva”.

I corsi di specializzazione in “Igiene e Medicina preventiva” e in “Radiodiagnostica” non sono espressamente indicati dalla corte tra quelli che non sarebbero inclusi negli elenchi di cui alle direttive; ciò nonostante, le domande proposte in relazione ai suddetti corsi risultano ugualmente rigettate.

Con riguardo a tali due ultimi corsi, dunque, la decisione deve ritenersi – come sostengono i ricorrenti – priva di una effettiva motivazione.

D’altra parte:

per il corso di specializzazione in “Radiodiagnostica” è sufficiente rilevare che lo stesso è in realtà espressamente previsto dall’art. 7 della Direttiva CE 75/362; si tratta cioè di un corso certamente incluso nell’elenco di cui alle direttive, il che rende superflua ogni altra considerazione;

del pari, per il corso di specializzazione in “Igiene e Medicina preventiva” è consolidato l’indirizzo di questa Corte secondo cui lo stesso corrisponde al corso denominato “Community Medicine” istituito in altri stati membri e, come tale, dà diritto alla remunerazione prevista dalle direttive per la sua frequenza (si vedano, in particolare: Cass., Sez. U., Sentenza n. 29345 del 16/12/2008, Rv. 605944 – 01; Sez. U., Sentenza n. 13909 del 24/06/2011, Rv. 617754 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21798 del 28/10/2016, Rv. 642960 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 13760 del 31/05/2018, Rv. 648800 – 01; di recente, ancora: Sez. 3, Ordinanza n. 39424 del 13/12/2021, non massimata); è opportuno chiarire che la specializzazione in “Igiene e Medicina preventiva” non è semplicemente equipollente o equivalente, ma è in realtà del tutto corrispondente alla specializzazione denominata “Community medicine”, espressamente prevista, come categoria generale (sebbene non oggetto di traduzione in lingua italiana), dall’art. 7 della direttiva 75/362 (sulla questione, valgono comunque le osservazioni che si faranno in prosieguo anche per la specializzazione in Medicina del Lavoro/Occupational Medicine”, cui si fa quindi rinvio, per quanto occorra).

La decisione impugnata va dunque senz’altro cassata, con riguardo a questi due corsi di specializzazione (più precisamente, in relazione alle posizioni dei rispettivi ricorrenti che li hanno frequentati, come sopra indicati), con rinvio alla corte di appello per la concreta determinazione del compenso agli stessi dovuto, con i relativi accessori.

2.2 Per i corsi di specializzazione in “Pediatria preventiva”, “Radioterapia oncologica”, “Tossicologia forense” e “Scienza dell’Alimentazione”, le censure sono invece infondate.

Secondo i ricorrenti, si tratterebbe in realtà di corsi di specializzazione del tutto equipollenti/equivalenti a quelli espressamente previsti dagli elenchi allegati alle direttive Europee, anche se aventi denominazioni parzialmente diverse, ovvero equipollenti a corsi previsti in vari altri stati membri o, comunque, equiparati a quelli, anche in virtù di successivi provvedimenti normativi.

In particolari, i ricorrenti sostengono:

che il corso in “Tossicologia forense” sarebbe equipollente a quello incluso nelle direttive e denominato “Clinica/pharmacology” (che rientrerebbe tra quelli relativi alla specializzazione in “Farmacologia”);

che il corso in “Radioterapia oncologica” sarebbe equipollente a quello incluso nelle direttive denominato “Radioterapia”, dovendosi considerare, a suo avviso, che la radioterapia sarebbe solo oncologica;

che il corso in “Scienza dell’Alimentazione” sarebbe equipollente a quello denominato “Malattie dell’apparato digerente, della nutrizione e del ricambio”, costituendo uno specifico ambito di competenza all’interno della scuola di specializzazione in “Gastroenterologia”;

che il corso in “Pediatria preventiva” sarebbe equipollente a quello incluso nelle direttive e denominato “Pediatria”, costituendo uno specifico ambito di competenza all’interno di quest’ultima scuola di specializzazione.

Le indicate argomentazioni non colgono nel segno.

Va, in primo luogo, osservato che, innegabilmente, i corsi di specializzazione in esame non possono ritenersi espressamente previsti e, come tali, corrispondenti ad uno di quelli indicati negli elenchi di cui alle direttive Europee invocate dagli attori, come emerge dalle rispettive denominazioni, che sono oggettivamente diverse, almeno in parte, da quelle indicate nelle direttive.

Dunque, il diritto alla adeguata remunerazione, in relazione a tali corsi, non potrebbe affermarsi, se non mediante la allegazione e la prova della loro equivalenza/equipollenza con uno dei corsi espressamente previsti negli elenchi allegati alle direttive Europee, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte (cfr., da ultimo, cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 39826 del 14/12/2021, con i richiami agli ulteriori precedenti).

Ne’ si potrebbe ritenere che ulteriori provvedimenti normativi, anche di diritto interno, abbiano mutato tale situazione.

In particolare, è stato in proposito specificamente chiarito (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 9190 del 19/05/2020, in motivazione) quanto segue:

“… la direttiva 75/362 distinse due gruppi di specializzazioni: quelle comuni a tutti gli Stati membri (artt. 4-5); e quelle comuni a due o più Stati membri, ma non a tutti (artt. 6-8). I diplomi di specializzazione comuni agli Stati membri vennero stabiliti direttamente dal legislatore comunitario, che li elencò nell’art. 5, p. 2, della Direttiva 75/362. Essi erano: anestesia e rianimazione; chirurgia generale; neurochirurgia; ostetricia e ginecologia; medicina interna; oculistica; otorinolaringoiatria; pediatria; tisiologia e malattie dell’apparato respiratorio; urologia; ortopedia e traumatologia. Il successivo art. 7, p. 2, della medesima Direttiva stabilì invece quali fossero i diplomi di specializzazioni “equipollenti”, perché comuni ad almeno due Stati membri: biologia clinica; ematologia biologica; microbiologia – batteriologia; anatomia patologica; biochimica; immunologia; chirurgia plastica; chirurgia toracica; chirurgia pediatrica; chirurgia vascolare; cardiologia; gastroenterologia; reumatologia; ematologia generale; endocrinologia; fisioterapia; stomatologia; neurologia; psichiatria; neuropsichiatria; dermatologia e venereologia; radiologia; radio diagnostica; radioterapia; medicina tropicale; psichiatria infantile; geriatria; malattie renali; malattie infettive; community medicine; farmacologia; occupational medicine; allergologia; chirurgia dell’apparato digerente. Le medesime specializzazioni sono previste dagli artt. 4 e 5 della Direttiva 75/363/CEE…. 1.2. Ne’ a diverse conclusioni possono indurre le previsioni del D.M. 30 gennaio 1998, invocato dai ricorrenti. Tale provvedimento, infatti, non viene in rilievo nel presente giudizio. Il suddetto decreto non stabilisce alcuna equipollenza tra le specializzazioni previste dall’ordinamento interno e quelle indicate nelle direttive comunitarie, ma disciplina unicamente l’equipollenza tra le specializzazioni interne ai fini della partecipazione ai concorsi banditi dalle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, per l’attribuzione della qualifica di dirigente…… Una disciplina, dunque, del tutto irrilevante ai fini del nostro problema, come già ritenuto da questa Corte (Sez. 3, Ordinanza n. 20303 del 26/07/2019; Sez. 3, Ordinanza n. 1058 del 17.1.2019)”.

Analoghe considerazioni erano peraltro già contenute in altre decisioni, nel medesimo senso: cfr., con riguardo a specializzazioni in parte coincidenti e in parte sovrapponibili a quelle in esame, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 1058 del 26/07/2019, nella cui motivazione si precisa espressamente quanto segue: “… il II Considerando della Direttiva 75/363 stabiliva che per il reciproco riconoscimento dei diplomi di specializzazione tra gli Stati membri “e per mettere tutti i professionisti cittadini degli Stati membri su una certa base di parità all’interno della Comunità, è apparso necessario un certo coordinamento delle condizioni di formazione del medico specialista”, soggiungendo però che tale “coordinamento” “riguarda soltanto le specializzazioni comuni a tutti gli Stati membri nonché quelle comuni a due o più Stati membrì. Nel 1982, pertanto, delle due l’una: o una specializzazione era comune ad almeno due Stati dell’UE, ed allora l’Italia aveva l’obbligo di prevedere per legge una remunerazione in favore di chi la frequentava (giusta la previsione dell’Allegato “A” alla Direttiva 1975/363, aggiunto dalla Direttiva 1982/76); oppure quella specializzazione non era comune, ed allora non vi era l’obbligo comunitario di prevedere una re-munerazione per chi l’avesse frequentata. 4.7.3. Ne’ rileva, in senso contrario, la normativa invocata dai ricorrenti alle pp. 2223 del proprio ricorso, ovvero il D.M. 31 ottobre 1991, e ciò per due ragioni. 4.7.3.1. La prima ragione è che il D.M. 31 ottobre 1991, nel testo applicabile ratione temporis (e dunque alla data di completamento delle scuole di specializzazione da parte degli odierni ricorrenti) non includeva affatto nell’elenco delle specializzazioni “di tipologie e durata conformi alle norme delle Comunità economiche Europee”né l’oncologia, né la pediatria preventiva e puericultura, né la clinica pediatrica. 4.7.3.2. La seconda ragione per la quale le previsioni del d. m 31.10.1991 non giovano alla pretesa degli odierni ricorrenti è che, quale che fosse la qualificazione che volesse darsi alla condotta dello Stato il quale, tardivamente recependo una direttiva comunitaria attributiva ai singoli soggetti di diritti sufficientemente determinati, causi loro un pregiudizio economico (“fatto illecito”, “obbligazione di fonte legale”, od altro), quel che è certo è che la stima del pregiudizio da quella condotta causato non sfugge ai principi generali in tema di risarcimento del danno. Principio generale in tema di risarcimento del danno patrimoniale e ovviamente quello di causalità, in virtù del quale in tanto si può predicare l’esistenza d’un “danno” in senso giuridico, in quanto sia possibile affermare che, se il responsabile avesse tenuto una condotta diversa da quella effettivamente tenuta, il danneggiato si sarebbe trovato in una diversa e più favorevole condizione patrimoniale. Nel nostro caso, pertanto, un credito risarcitorio (o indennitario, se si preferisce) degli odierni ricorrenti in tanto sarebbe predicabile in iure, in quanto potesse affermarsi che, se lo Stato italiano avesse dato attuazione alle direttive comunitarie entro il termine da quelle previsto, gli odierni ricorrenti avrebbero beneficiato d’un incremento patrimoniale che invece hanno perduto. Orbene, tutti i ricorrenti hanno dedotto (cfr. il ricorso, p. 2, lettera a)) di avere frequentato le rispettive scuole di specializzazione tra il 1982 ed il 1991. Pertanto, nel periodo compreso tra la scadenza del termine per lo Stato italiano di dare attuazione alle direttive comunitarie (1982), e il completamento del corso di specializzazione da parte degli odierni ricorrenti, non esisteva alcuna delle norme sulla “equipollenza” delle specializzazioni invocate dagli odierni ricorrenti (e segnatamente il D.M. 31 ottobre 1991). E’ pertanto giuridicamente insostenibile pretendere che il corso di specializzazione frequentato dagli odierni ricorrenti debba ritenersi equipollente a quelli previsti in almeno altri due Stati membri, in virtù di norme che non esistevano all’epoca in cui quel corso venne frequentato. E se può imputarsi allo Stato italiano di avere dato tardiva attuazione alla Direttiva 1975/363 (come modificata dalla Direttiva 1982/76), nella parte in cui imponeva agli Stati membri l’obbligo di remunerare i dottori specializzandi, certamente non gli si può rimproverare a titolo di “illecito comunitario” di non avere ampliato il novero delle specializzazioni equipollenti, dal momento che tale ampliamento per gli Stati membri costituiva una facoltà, e non un obbligo loro imposto dalla normativa comunitaria. 4.8. Con la memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., i ricorrenti hanno introdotto un ulteriore argomento in iure: e cioè che l’equipollenza tra le specializzazioni da essi rispettivamente conseguite e quelle previste da almeno due Stati membri sarebbe stata prevista, già all’epoca in cui essi frequentarono le scuole di specializzazione, dal D.M. 10 marzo 1983 (per un evidente lapsus calami indicato nella memoria come “D.M. 10 settembre 1983”). La deduzione non ha pregio. Il suddetto provvedimento amministrativo è rubricato “Elenco delle discipline equipollenti ed affini rispetto alle discipline oggetto degli esami di idoneità e dei concorsi presso le unità sanitarie locali valevole per la formazione delle commissioni esaminatrici e per la valutazione dei titoli negli esami di idoneità e nei concorsi di assunzione dei medici, farmacisti e veterinari presso le unità sanitarie localì. Esso disciplina l’equivalenza delle specializzazioni previste dalla normativa regolamentare per la formazione delle commissioni esaminatrici e la valutazione dei concorsi per il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale. Pertanto, la circostanza che nella “Tabella A” allegata al suddetto decreto le specializzazioni conseguite dagli odierni ricorrenti possano essere equiparate a talune delle specializzazioni elencate anche nelle Direttive 75/363 e 75/362 nulla rileva, perché quella equipollenza venne stabilita al solo fine di rendere comparabili i titoli di studio dei membri delle commissioni esaminatrici e dei candidati agli esami. Un fine, dunque, del tutto estraneo al reciproco riconoscimento tra Stati membri dei diplomi di specializzazione…. 4.8. Escluso dunque che tra le specializzazioni conseguite dagli odierni ricorrenti e quelle previste dalle Direttive 75/363 e 75/362 esista una coincidenza nominale, ulteriori indagini sulla sostanziale equipollenza di fatto delle prime con le seconde costituiscono accertamenti riservati al giudice di merito, e non praticabili in questa sede”.

Ai principi di diritto sopra esposti intende darsi continuità.

Deve inoltre considerarsi che, sotto il profilo in esame, il ricorso non può ritenersi sufficientemente specifico, quindi esso viola l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non richiama in modo adeguato puntuali allegazioni effettuate dagli attori nel giudizio di merito, al fine di comprovare l’eventuale concreta equipollenza tra i corsi di specializzazione da ciascuno frequentati e quelli previsti in altri stati membri.

In ogni caso, la valutazione sulla mancata prova dell’equipollenza tra corsi con diversa denominazione costituisce un accertamento riservato ai giudici di merito di fatto e non censurabile in sede di legittimità.

E’, infine, appena il caso di osservare che – stante quanto sin qui osservato – non può assumere alcun rilievo la circostanza che la domanda sarebbe stata accolta in primo grado per altri medici specializzati in “Pediatria preventiva” (secondo quanto affermano i ricorrenti, che peraltro, anche in tal caso in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non richiamano espressamente il contenuto della decisione di primo grado, in cui sarebbe eventualmente affermata l’equipollenza di tale corso di specializzazione a quello in “Pediatria”); in ogni caso, potrebbe trattarsi al più di una censura che avrebbe potuto essere rivolta avverso la decisione di primo grado, non di un vizio di quella impugnata nella presente sede

2.3 Per il corso di specializzazione in “Medicina del Lavoro” (“Occupational Medicine”) si impongono delle differenti considerazioni.

Si tratta, infatti, di un corso di specializzazione che, nelle direttive e nelle relative traduzioni, si presenta in una situazione peculiare, analoga a quella del corso in “Igiene e Medicina Preventiva” (“Community Medicine”): si tratta delle uniche due categorie di corsi di specializzazione che, nella direttiva 75/362, sono indicate all art. 7 con la denominazione in inglese, non tradotta nella versione italiana.

Il punto richiede un chiarimento.

L’art. 7 della direttiva 75/362, che indica una serie di corsi di specializzazione istituiti in almeno due stati membri, è formulato con l’indicazione di una serie di “categorie” di specializzazioni per le quali vengono specificate le denominazioni esistenti nei vari paesi che hanno istituito corsi corrispondenti a ciascuna categoria. Naturalmente, non per tutte le “categorie” di specializzazione sono indicati corsi istituiti in tutti i paesi membri, dovendo trattarsi di corsi istituiti in almeno due paesi membri (per alcune categorie, dunque, ne sono indicati più di due; per altre categorie, ne sono indicati solo due).

Orbene, secondo l’indirizzo di questa Corte, mentre i corsi istituiti in uno dei paesi membri ed esattamente corrispondenti alle denominazioni elencate nella direttiva danno senz’altro diritto alla remunerazione adeguata, senza necessità di accertamenti di fatto (si tratta, quindi, in sostanza, di una questione di mero diritto), i corsi istituiti in altri paesi ed equipollenti a quelli specificamente indicati e rientranti nelle categorie elencate nella direttiva danno anch’essi diritto alla remunerazione adeguata, ma in tal caso va allegata e dimostrata in fatto l’equipollenza (si tratta, come già chiarito, di una questione di diritto che richiede anche accertamenti di fatto).

Nella versione italiana della direttiva 75/362, le denominazioni delle varie “categorie” di specializzazione sono tradotte in italiano, mentre sono indicate in lingua originale le varie denominazioni dei corsi istituiti nei singoli paesi e rientranti in ciascuna categoria.

Non si è mai dubitato e deve ribadirsi, peraltro, che anche l’eventuale corso di specializzazione istituito in Italia con una denominazione corrispondente a quella della “categoria” inclusa nell’art. 7 (cioè esattamente e totalmente coincidente con la denominazione della “categoria”) dà diritto alla remunerazione adeguata, senza necessità di verifica dell’equipollenza e, dunque, sulla base di una valutazione di mero diritto, senza necessità di accertamenti di fatto (ciò anche quando nella direttiva non siano indicati specifici corsi istituiti in Italia con quella denominazione).

Per maggiore chiarezza, a mero titolo di esempio, può considerarsi la categoria di specializzazione denominata “Immunology” (nella versione inglese della direttiva); si tratta di una “categoria” di specializzazione indicata all’art. 7 e nell’ambito della quale sono indicati corsi istituiti in alcune nazioni (tra cui non vi è l’Italia; sono indicati solo i corsi istituiti in Irlanda e nel Regno Unito, denominati rispettivamente “clinica immunology” e “immunology”). La categoria di specializzazione è indicata nella versione italiana della direttiva con la traduzione italiana “Immunologia” (mentre i due corsi rientranti nella suddetta categoria, istituiti in Irlanda e nel Regno Unito, sono indicati anche nella versione italiana con le loro denominazioni in lingua inglese). Altrettanto avviene per tutte le altre “categorie” di specializzazioni (muta, peraltro, per ciascuna categoria, l’indicazione dei corsi rientranti in essa e istituiti nei singoli paesi, che possono essere più di due e possono o meno comprendere corsi istituiti in Italia).

Esclusivamente per due categorie, peraltro, cioè per la categoria “Occupational Medicine” e per la categoria “Community Medicine”, non vi è la traduzione della denominazione nella versione italiana della direttiva.

Va peraltro osservato che la versione italiana della direttiva 93/16 (che ha carattere meramente compilativo, non innovativo), reca, a fianco della denominazione di categoria “Com-munity Medicine”, in parentesi, l’indicazione/traduzione delle denominazione in italiano, come “Igiene e Medicina Preventiva”, mentre per la categoria “Occupational Medicine” (che è indicata sempre in inglese nella versione originale), non solo vi è la traduzione della denominazione in italiano, come “Medicina del Lavoro”, ma è indicato anche un corso istituito in Italia con identica denominazione.

Secondo questa Corte, dovendo confermarsi l’orientamento favorevole a ritenere corrispondenti ai corsi indicati nelle direttive (e non meramente equipollenti) quelli istituiti nel nostro paese che hanno denominazione del tutto coincidente con una delle “categorie” indicate nell’art. 7, deve ritenersi che anche per i corsi di specializzazione in “Igiene e Medicina Preventiva” e in “Medicina del Lavoro” si ponga una questione di corrispondenza (e quindi una questione di mero diritto) e non di equipollenza (e quindi di diritto e di fatto).

La circostanza di fatto della omessa traduzione in italiano di queste sole due “categorie” di specializzazione, tra tutte quelle previste dall’art. 7 della Direttiva 362/75 finirebbe, al contrario, per alterare il paritario trattamento dei medici che hanno frequentato corsi corrispondenti alle suddette categorie; in altri termini, una circostanza relativa alla mera traduzione in italiano del testo originale della direttiva finirebbe, inammissibilmente, per avere effetti rilevanti sulla interpretazione giuridica del contenuto oggettivo e normativo delle relative disposizioni.

D’altra parte, a riprova di quanto appena osservato, è opportuno anche considerare che la direttiva 362/75 impone all’Italia di riconoscere il titolo di specialista al medico inglese il quale abbia conseguito nel suo Paese la specializzazione in “Community Medicine” o in “Occupational Medicine” ed è evidente che il titolo di specializzazione che gli va riconosciuto deve essere quello corrispondente alla relativa “categoria” di specializzazione, che non potrà che essere, quindi, rispettivamente quello in “Igiene e Medicina Preventiva” e in “Medicina del Lavoro”; in caso contrario il riconoscimento perderebbe del tutto la sua utilità pratica.

In definitiva, si deve affermare il seguente principio di diritto:

“le specializzazioni italiane denominate “Igiene e Medicina Preventiva” e”Medicina del Lavoro” sono del tutto corrispondenti (e non meramente equipollenti) alle “categorie” di specializzazione denominate “Community Medicine” e “Occupational Medicine”, incluse nell’art. 7 della direttiva 75/362 (di cui costituiscono la mera traduzione in italiano); di conseguenza, la frequenza dei relativi corsi dà, per ciò solo, diritto all’adeguata remunerazione prevista dalle direttive Europee, sulla base di un accertamento che ha natura di mero diritto, senza necessità di alcun ulteriore accertamento in fatto dell’equipollenza con altre categorie o altri corsi di specializzazione inclusi nelle direttive e/o istituiti in almeno due paesi membri”.

La decisione impugnata va dunque senz’altro cassata, anche con riguardo a questo corso di specializzazione (più precisamente, in relazione alle posizioni dei rispettivi ricorrenti che lo hanno frequentato, come più sopra indicati), con rinvio alla corte di appello per la concreta determinazione del compenso agli stessi dovuto, con i relativi accessori.

3. Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1219,1224 e 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il motivo resta assorbito, sia per i ricorrenti per i quali non sono accolti i primi tre motivi, in quanto, per le relative domande è confermato l’integrale rigetto, sia per gli altri ricorrenti, in quanto la determinazione dell’importo loro dovuto dovrà essere stabilito in sede di rinvio.

E’ in proposito opportuno di precisare che, in sede di rinvio, la liquidazione dovrà comunque avvenire sulla base dell’indirizzo in diritto di questa Corte secondo cui “in tema di risarcimento dei danni per la mancata tempestiva trasposizione delle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE in favore dei medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, deve ritenersi che il legislatore – dettando della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, con la quale ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo delle citate direttive – abbia palesato una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato, valevole anche nei confronti di coloro i quali non erano ricompresi nel citato art. 11; a seguito di tale esatta determinazione monetaria, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione avente natura di debito di valuta, rispetto alla quale – secondo le regole generali di cui agli artt. 1219 e 1224 c.c. – gli interessi legali possono essere riconosciuti solo dall’eventuale messa in mora o, in difetto, dalla notificazione della domanda giudiziale” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1917 del 09/02/2012, Rv. 621205; conformi, tra le tante: Sez. 3, Sentenza n. 17682 del 29/08/2011, Rv. 619541; Sez. 3, Sentenza n. 21498 del 18/10/2011, Rv. 620244; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 1157 del 17/01/2013, Rv. 625215; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23635 del 06/11/2014, Rv. 633541; Sez. 1, Sentenza n. 2538 del 10/02/2015, Rv. 634216; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 14376 del 09/07/2015, Rv. 636004).

4. Il ricorso è accolto con esclusivo riguardo alla posizioni dei ricorrenti che hanno frequentato i corsi di specializzazione in “Igiene e Medicina preventiva”, “Medicina del Lavoro” e “Radiodiagnostica” (rispettivamente: A., + ALTRI OMESSI); è rigettato per le posizioni degli altri ricorrenti (o, comunque, per quelle relative alla frequenza di altri corsi di specializzazione).

La sentenza impugnata è cassata in relazione alle posizioni oggetto di accoglimento, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Le spese del giudizio di cassazione relative ai ricorrenti per cui il ricorso è rigettato possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, sussistendo motivi sufficienti a tal fine, in considerazione delle oggettive incertezze giurisprudenziali sussistenti sulle questioni affrontate.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (per i ricorsi non accolti).

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il ricorso con riguardo alle posizioni dei ricorrenti relative alla frequenza dei corsi di specializzazione in “Igiene e Medicina preventiva”, “Medicina del Lavoro” e “Radiodiagnostica” (rispettivamente: A., + ALTRI OMESSI); lo rigetta per le posizioni degli altri ricorrenti (o comunque relative ad altri corsi di specializzazione);

– cassa la sentenza impugnata in relazione alle sole posizioni oggetto di accoglimento, con rinvio alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;

dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità, con riguardo alle posizioni dei ricorrenti per cui il ricorso è rigettato.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei soli ricorrenti per cui il ricorso è rigettato, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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