Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4573 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 4573 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: MAZZACANE VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 9174-2008 proposto da:
MAISANO

UGO

MSNGU063M26F351G,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63,
presso lo studio dell’avvocato CONTALDI MARIO, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GALLENCA GIUSEPPE, MARTINO GIANNI;
– ricorrente contro

GARELLI

SILVIA

GRLSLV69P49F351S,

GARELLI

ELENA

GRLLNE72H65F351S, in proprio e quali eredi del padre
GARELLI GIUSEPPE, elettivamente domiciliati in ROMA,

Data pubblicazione: 26/02/2014

VIA CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato
GIUFFRIDA ROBERTO, che li rappresenta e difende
unitamente agli avvocati BARALE PIERCARLO, DEMARIA
CLAUDIO;
– controricorrenti

di TORINO, depositata il 28/12/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/01/2014 dal Consigliere Dott. VINCENZO
MAZZACANE;
udito

l’Avvocato

CRISTINA

Clerico

con

delega

depositata in udienza dell’Avvocato BARALE Piercarlo,
difensore dei resistenti che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, in subordine per il
rigetto.

avverso la sentenza n. 1938/2007 della CORTE D’APPELLO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione regolarmente notificato Ugo Maisano conveniva in giudizio dinanzi al
Tribunale di Mondovì Giuseppe Garelli, Silvia Garelli ed Elena Garelli chiedendo dichiararsi
l’inesistenza di una servitù di passaggio pedonale e carraio sul suo cortile in favore delle proprietà

domande l’attore evidenziava che le servitù pretese dai convenuti, che stavano ristrutturando le
loro proprietà, non erano state costituite volontariamente, non erano state acquisite per
usucapione, e neppure potevano essere costituite coattivamente.

I Garelli costituendosi in giudizio chiedevano il rigetto delle domande attrici e, in via
riconvenzionale, chiedevano la costituzione coattiva sia della servitù di passaggio pedonale e
carraio in favore delle loro proprietà ed a carico di quella dell’attore, sia della servitù di
acquedotto per il passaggio delle tubazioni necessarie all’allacciamento della proprietà Garelli
all’acquedotto del Comune di Mondovì ed a carico della proprietà del Malsano.

In sede di precisazione delle conclusioni i Garelli abbandonavano la domanda riconvenzionale di
accertamento della servitù di acquedotto o di sua costituzione coattiva per il passaggio delle
tubazioni di collegamento della loro proprietà con l’acquedotto del Comune di Mondovì.

Il Tribunale di Mondovì con sentenza del 19-8-2004 respingeva le domande del Maisano ed
accoglieva la domanda riconvenzionale di declaratoria di intervenuto acquisto per usucapione di
una servitù di passaggio pedonale e carraio in favore delle proprietà dei Garelli ed a carico della
proprietà di controparte.

Proposto gravame da parte del Maisano cui resistevano Giuseppe Garelli, Silvia Garelli ed Elena
Garelli la Corte di Appello di Torino con sentenza del 28-12-2007, previa correzione del dispositivo

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dei convenuti, nonché di una servitù di attingimento di acqua da un pozzo; a fondamento delle

della sentenza di primo grado con esclusione del termine “subordinata” dopo la dizione “accoglie
la domanda riconvenzionale”

articolata come secondo punto di decisione, ha respinto

integralmente l’impugnazione.

Per la cassazione di tale sentenza il Maisano ha proposto un ricorso basato su quattro motivi

eredi del proprio padre Giuseppe Garelli, hanno resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando insufficiente ed omessa motivazione e violazione
degli artt. 1158-1141-1061 e 2697 c.c. e 115 e 116 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver
confermato la sentenza di primo grado con riferimento alla usucapione della servitù di passaggio
attraverso la proprietà dell’esponente ed in favore della proprietà delle controparti.

Anzitutto il Maisano rileva che la Corte territoriale non ha sufficientemente evidenziato la
sussistenza di opere visibili per la configurabilità di tale servitù apparente, avendo soltanto posto
in risalto l’esistenza di una strada e di una rampa di accesso dalla strada al cortile; tale
considerazione era tanto più rilevante laddove si consideri che il Tribunale di Mondovì aveva
dettato specifiche disposizioni per l’esercizio del diritto di servitù in oggetto che, quindi, non era
stato ritenuto nei fatti neppure individuato.

Sotto diverso profilo il ricorrente assume che erroneamente il giudice di appello ha affermato che
l’applicazione dell’art. 1065 c.c. non è limitata alla servitù titolata, ma si estende anche alla servitù
acquisita a titolo originario per usucapione quando vi siano dubbi non sull’esistenza della servitù
ma sulla sua estensione ejo sulla modalità di esercizio; invero detto articolo stabilisce che l’uso
della servitù, ove non sia determinabile dal titolo, deve essere individuato attraverso la concreta

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illustrato successivamente da una memoria cui Silvia Garelli ed Elena Garelli, in proprio e quali

situazione di possesso; vi era quindi assenza di una qualsiasi motivazione sul punto decisivo del
rapporto tra la necessaria apparenza (al fine della usucapione) della servitù e la ritenuta non
individuazione della stessa nella concreta situazione di fatto.

Inoltre il Maisano evidenzia una omessa motivazione in ordine alla prova del possesso idoneo a

avendo la sentenza impugnata osservato che la rampa di accesso della strada al cortile era stata
realizzata molti anni addietro su iniziativa ed a spese dei Garelli previo accordo con il dante causa
del Maisano, occorreva richiamare il principio secondo il quale la detenzione o l’uso di un bene
previo accordo con il proprietario non integra un possesso valido per l’usucapione; pertanto la
Corte territoriale avrebbe dovuto accertare l’assolvimento dell’onere probatorio da parte dei
Garelli circa l’intervenuta interversione della detenzione in possesso; peraltro tale indagine era
stata del tutto omessa.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. in riferimento
all’art. 360 n. 4 c.p.c., sostiene che la sentenza impugnata, nel confermare quella di primo grado in
punto di concreta determinazione delle modalità di esercizio della servitù di passo in questione, ha
violato il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non avendo mai i Garelli chiesto
tale determinazione.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono infondate.

Il giudice di appello, premesso che dalle prove testimoniali assunte e dal convincimento al
riguardo del Tribunale, non oggetto di contestazione specifica al riguardo da parte dell’appellante,
era emerso che i Garelli avevano sempre transitato da oltre vent’anni attraverso la corte di
proprietà Maisano per accedere e recedere dalla loro proprietà alla pubblica via sia a piedi che con
veicoli, ha ritenuto sussistente il requisito dell’apparenza di tale servitù di passaggio non
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giustificare una declaratoria di intervenuto acquisto per usucapione della predetta servitù; invero,

limitandosi alla constatazione dell’esistenza di una rampa di accesso dalla strada al cortile
realizzata dai Garelli molti anni fa previo accordo con il dante causa del Maisano, ma evidenziando
la situazione complessiva dei luoghi, caratterizzata da fabbricati, posti consecutivamente, che
affacciavano tutti su di un’ampia area cortilizia che, pur divisa in tre parti quanto alla proprietà, si

spazio su cui si aprivano gli accessi dei fabbricati delle parti e che permetteva di raggiungere, da
via San Gottardo, sia direttamente la proprietà ora Maisano che, attraverso la prima, la proprietà
ora Garelli; nello stesso senso la Corte territoriale, ad ulteriore riscontro della evidenza dell’utilizzo
della corte ora di proprietà Maisano anche per l’accesso alla proprietà ora Garelli, ha richiamato la
circostanza che non vi erano altre strade di collegamento di dette proprietà alla via pubblica, a
prescindere dall’accertare la possibilità di detto collegamento con la costruzione di un nuovo
accesso tutto sulla proprietà Garelli, dovendosi soltanto valutare, ai fini dell’apparenza, la concreta
mancanza da sempre di altri accessi praticabili in concreto alla proprietà degli appellati; pertanto,
contrariamente all’assunto del ricorrente, la Corte territoriale ha valorizzato, con riferimento al
requisito dell’apparenza della servitù in oggetto, una serie di elementi di riscontro ulteriori
rispetto alla suddetta rampa di accesso al cortile di proprietà Maisano, tali da legittimare il proprio
convincimento in proposito, con la conseguenza che non si pone in radice la questione della prova
dell’interversione della detenzione in possesso.

Sotto diverso profilo occorre rilevare l’insussistenza della denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c.,
avendo la sentenza impugnata correttamente affermato che, in presenza di una domanda relativa
all’accertamento di un diritto reale limitato, quale appunto il diritto di servitù di passaggio, rientra
nei poteri del giudice determinarne le modalità di esercizio, essendo evidente che dette modalità
si configurano come una imprescindibile estrinsecazione di quel diritto; e nella fattispecie,
trattandosi di una servitù il cui acquisto era stato invocato per usucapione, ai sensi dell’art. 1065
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presentava, prima della ristrutturazione e della recinzione ad opera dell’appellante, come un unico

c.c. è al possesso che deve farsi riferimento per stabilire quali ne siano l’estensione e le modalità
d’esercizio.

Né per altro verso è legittimo inferire dal fatto che non sia stata individuata una specifica parte del
cortile interessata al transito la mancata prova del requisito dell’apparenza; infatti, premesso che

della prova univoca del passaggio pedonale e carraio in favore della proprietà Garelli attraverso il
cortile di proprietà Maisano, correttamente è stato individuato uno specifico tracciato nel punto
del cortile più distante dal fabbricato del proprietario del fondo servente, con la conseguenza che
il transito non potrà più gravare sull’intero cortile, in conformità al richiamato art. 1065 c.c.
secondo cui, nel dubbio circa l’estensione e le modalità di esercizio, la servitù deve ritenersi
costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante col minor aggravio del fondo
servente.

Con il terzo motivo il Maisano, denunciando violazione degli artt. 167-183 c.p.c. e 1079 c.c.,
censura la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda di “negatoria servitutis” di
attingimento e conduzione d’acqua nonostante che in proposito i Garelli non avessero proposto
alcuna domanda riconvenzionale di usucapione; invero soltanto la dichiarazione di intervenuta
costituzione di una servitù per usucapione avrebbe potuto ostacolare la

“vindicatio libertatis”

allorché non esiste alcun titolo costitutivo di tale diritto reale.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha correttamente rilevato che il fatto che i Garelli non avessero richiesto
un accertamento positivo del loro diritto ad attingere e portare acqua dal pozzo esistente sulla
proprietà Maisano era ininfluente ai fini della decisione sulla domanda di “negatoria servitutis”
proposta dall’attuale ricorrente, posto che essi avevano sempre contrastato l’accoglimento di tale
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la Corte territoriale ha evidenziato tale mancata individuazione dopo aver ribadito la sussistenza

domanda, cosicché occorreva procedere ad un esame della fondatezza o meno di essa; tale
convincimento è del tutto corretto, atteso che in presenza della suddetta domanda, di cui i Garelli
avevano chiesto il rigetto in quanto infondata, è evidente che il giudicante era tenuto ad
esaminarne la fondatezza o meno a prescindere dalla mancata proposizione di una domanda
“thema decidendum”)

in base ai principi generali in materia di onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.

Con il quarto motivo il ricorrente, deducendo violazione degli artt. 1158-1141-2697 c.c. e 115 e
116 c.p.c., rileva che anche con riferimento alla pretesa servitù afferente all’attingimento
dell’acqua dal pozzo si poneva il problema del possesso valido “ad usucapionem”, avendo il giudice
di appello evidenziato la realizzazione di opere effettuate dagli appellati con il permesso dei danti
causa dell’appellante; infatti una tale situazione avrebbe comportato la necessità di provare o
l’immissione dei Garelli nel possesso “uti dominus” della servitù da parte del proprietario o
l’interversione della detenzione in possesso ai sensi dell’art. 1141 c.c.

La censura è inammissibile.

La Corte territoriale, premesso che l’appellante aveva fondato le sue doglianze sulla mancanza
dell’apparenza della predetta servitù, non avendo contestato le risultanze istruttorie riguardanti
l’esistenza del pozzo contenente acqua non potabile, l’uso dello stesso da parte degli appellati da
oltre vent’anni e la realizzazione di opere effettuate dagli appellati con il permesso e l’accordo dei
danti causa dell’appellante (opere comprendenti anche uno scavo per consentire che l’acqua della
cisterna potesse essere addotta ed utilizzata dai Garelli attraverso una pompa collegata ad una
tubazione interrata), ha affermato la sussistenza del requisito dell’apparenza della servitù di
attingimento e di conduzione dell’acqua dalla cisterna alla proprietà degli appellati necessario per
la configurabilità di tale diritto; infatti le opere realizzate oltre vent’anni prima dell’introduzione
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riconvenzionale di usucapione (che sarebbe solo finalizzata ad estendere il

del giudizio per permettere di attingere l’acqua direttamente dalla proprietà Garelli apparivano
ben visibili anche ad un semplice affaccio al muretto che delimitava la cisterna, ed avevano
comunque riscontri evidenti anche all’esterno del manufatto per la fessurazione esistente al fine
di far passare il cavo elettrico di alimentazione della pompa.

comunque non oggetto, quest’ultima, di censure in questa sede, posto che il ricorrente, al
riguardo, si limita ad evidenziare che l’accordo relativo alle esecuzione delle opere necessarie
all’esercizio della servitù tra i Garelli ed i danti causa del Maisano per l’attingimento dell’acqua
dalla cisterna suddetta era ostativo al riconoscimento della predetta servitù di attingimento e
riconduzione d’acqua; peraltro, poiché nella sentenza impugnata questa questione non risulta
trattata — nel senso che, pur dandosi atto del suddetto accordo, non vengono discussi i possibili
effetti derivanti da esso in termini giuridici – il ricorrente, al fine di evitare una sanzione di
inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere — in realtà non assolto — non solo di allegare
l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di appello, ma anche di indicare in quale
atto del giudizio precedente lo avesse fatta, per dar modo a questa Corte di controllare “ex actis”
la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.

In definitiva il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di euro 200,00 per esborsi e di euro
2.500,00 per compensi.

Il President

Così deciso in Roma il 20-1-2014
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Si è quindi in presenza di un accertamento di fatto sorretto da ampia e logica motivazione,

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