Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4570 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2022, (ud. 25/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4570

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28912-2018 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI n.

151, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SEGRETO, rappresentato

e difeso dall’avvocato DONATO PESCA;

– ricorrente –

contro

L.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CICERONE n.

49, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO TORTORA, rappresentata e

difesa dall’avvocato MICHELE ANTONIO BARBATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 69/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 06/04/2018 R.G.N. 657/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/01/2022 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale di Vallo della Lucania, accogliendo la domanda proposta da L.C. nei confronti di C.F., ha accertato la instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato per gli anni 2010-2011 (nei periodi di apertura estiva e di maggiore afflusso nei fine settimana del periodo pasquale e di maggio 2011), con mansioni di receptionist-segretaria di ricevimento del personale degli alberghi, III livello di cui al CCNL Turismo, con conseguente condanna al pagamento delle differenze retributive pari a complessivi Euro 4.007,63 lordi;

2. la Corte territoriale, rilevato l’erroneo richiamo, da parte della lavoratrice, di un CCNL vigente in uno Stato estero (San Marino), ma l’invocata residuale tutela ex art. 36 Cost., ha ritenuto attendibili le prove testimoniali raccolte in primo grado, corroborate da altri elementi istruttori, e dunque ricorrenti tutti gli indici tipici della subordinazione, nonché sufficientemente individuato il settore

merceologico (Turismo) di inquadramento dell’attività lavorativa della L.;

3. avverso tale sentenza ricorre il C. con quattro motivi, illustrati da memoria, cui resiste la lavoratrice con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., sulla dedotta inammissibilità dell’atto di appello (proposto dalla lavoratrice), nonché violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, degli artt. 414 e 434 c.p.c., dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, avendo, la Corte distrettuale, trascurato di fornire una motivazione all’espressa eccezione, formulata dal C. con l’atto di costituzione in secondo grado, della inammissibilità dell’atto di appello proposto dalla L., riducendosi in una mera ripetizione delle asserzioni contenute nel ricorso introduttivo del giudizio, privo della indicazione delle ragioni poste a fondamento della decisione ritenute oggetto di richiesta di riforma;

2. con il secondo motivo si denuncia omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., sulla dedotta inammissibilità del motivo di appello (proposto dalla lavoratrice) concernente l’indicazione dell’attività lavorativa espletata, nonché violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, degli artt. 414 e 434 c.p.c., dell’art. 111 Cost, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, avendo, la Corte distrettuale, trascurato di valutare l’eccezione, formulata dal C., con l’atto di costituzione in secondo grado, della inammissibilità della mancata impugnazione del capo della sentenza di primo grado che aveva statuito l’omessa descrizione, nell’atto introduttivo del giudizio, delle mansioni concretamente disimpegnate dalla lavoratrice;

3. con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 432 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, avendo, la Corte distrettuale, ritenuto insufficiente la pattuita retribuzione di Euro 700,00 mensili nel 2010 e di Euro 750,00 nel 2011, considerata la mancata produzione del CCNL Turismo, da utilizzare a parametro di riferimento;

4. con il quarto motivo si denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo, la Corte distrettuale, condannato il C. al pagamento delle spese di lite di primo e secondo grado, dovendo invece essere condannata l’originaria ricorrente vista l’ingiustizia delle ragioni che avevano condotto il giudice di secondo grado ad accogliere la domanda;

5. i primi due motivi di ricorso non sono fondati;

5.1. la Corte territoriale, riassunto brevemente il contenuto della sentenza di primo grado (essenzialmente concernente “il difetto di allegazioni e di prova sulle mansioni in concreto svolte per soddisfare le esigenze dell’impresa… la contraddittorietà delle prove testimoniali assunte rispetto alla subordinazione e alla durata delle prestazioni quotidiane, ma anche la inattendibilità dei testi de relato o legati da stretti vincoli di parentela…”), quello dell’atto di appello e della memoria di costituzione dell’appellato (nell’ambito del quale indicava la sollevata eccezione di “inammissibilità dell’appello privo di motivi specifici”), ha sottolineato che le mansioni svolte dalla lavoratrice potevano enuclearsi non solo dalla dizione “receptionist turistica” utilizzata nel ricorso introduttivo del giudizio ma altresì da altri elementi (il richiamo di uno specifico livello di un CCNL che, seppur non applicabile allo Stato italiano, consentiva di circoscrivere la tipologia dell’ambito lavorativo, ossia lo svolgimento di attività presso un ristorante-albergo); ha, inoltre, aggiunto che la valutazione della prova testimoniale confermava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti e consentiva di ritenere “fondata la doglianza difensiva circa il mancato riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato (pag. 5 della sentenza impugnata);

5.2. la disamina della sentenza impugnata dimostra, pertanto, la valutazione (in parte esplicita e in parte implicita), da parte della Corte di appello, delle eccezioni dell’appellato attinenti l’impugnazione sia delle ragioni poste a fondamento della sentenza di rigetto adottata dal Tribunale (compendiate nella insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato) sia della sufficiente descrizione delle mansioni in concreto disimpegnate dalla lavoratrice, impugnazione (della L.) che il giudice di appello ha ritenuto esaustiva;

5.3. invero, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (tra le tante, Cass. n. 29191 del 2017);

6. il terzo motivo di ricorso è inammissibile;

6.1. la violazione dell’art. 2697 c.c., è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante sul lavoratore subordinato che intendeva ottenere il pagamento di differenze retributive;

6.2. la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., Sez. U, n. 11892 del 2016, Cass. Sez. U. n. 20867 del 2020), censure che non sono prospettate dal ricorrente;

6.3. infine, le censure non colgono la ratio decidendi perché il ricorrente insiste sulla mancata produzione del CCNL settore Turismo da parte dell’originaria ricorrente ma nulla deduce sulla residuale domanda della lavoratrice di determinazione della c.d. giusta retribuzione (ex art. 36 Cost., e art. 2099 c.c.) e sul potere del giudice di merito di individuare, con apprezzamento insindacabile in sede di legittimità, i parametri per la determinazione della retribuzione adeguata ex art. 36 Cost., che possono estendersi anche ai contenuti di una contrattazione collettiva non applicabile tra le parti (cfr. Cass. n. 27138 del 2013, citata dalla sentenza impugnata; Cass. 16866 del 2008);

7. il quarto motivo di ricorso non è fondato;

7.1. il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (cfr. da ultimo Cass. 13356 del 2021);

7.2. la sentenza impugnata ha correttamente applicato il suddetto principio di diritto, condannando al pagamento delle spese di lite la parte risultata soccombente;

8. in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite sono liquidate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte di cassazione, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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