Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 457 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. II, 11/01/2017, (ud. 12/10/2016, dep.11/01/2017),  n. 457

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al n.r.g. 5561/12) proposto da:

M.G., (c.f.: (OMISSIS)), MA.Ma. (c.f.:

(OMISSIS)) parti entrambe rappresentate e difese dall’avv. Roberto

Mattoni e dall’avv. Vito Patta, giusta procura a margine del

ricorso; con domicilio eletto in Roma, via Duilio n. 7, presso lo

studio dei predetti;

– riocorrenti –

contro

S.I., (c.f.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa dall’avv.

Giuseppe Spada ed elettivamente domiciliata presso lo studio del

predetto in Roma, via Piemonte n. 32, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

SC.Fr.; SC.Da. entrambe eredi di

SC.Pi.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1246/2011 della Corte di Appello di Roma,

pronunciata il 18 gennaio 2011 e pubblicata il 23 marzo 2011;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12 ottobre 2016 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

udito l’Avv. Cipollaro Fabrizio, con delega dell’avv. Giuseppe Spada

per la controricorrente;

sentito il Sostituto Procuratore generale, nella persona del Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I coniugi M.G. e Ma.Ma. citarono innanzi al Tribunale di Velletri Sc.Pi. e S.I. chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti alla trasformazione in abitazione del sottotetto sovrastante il proprio appartamento in quanto ciò avrebbe determinato una infiltrazione di acqua dal locale bagno sovrastante alla propria camera da letto ed al bagno; chiesero inoltre la riduzione in pristino o, quanto meno, l’eliminazione delle opere edilizie compiute sia perchè pregiudizievoli alla vivibilità dei propri locali – essendo l’appartamento delle parti attrici sito all’ultimo piano dello stabile condominiale – sia perchè si sarebbe utilizzata la facciata condominiale in modo non congruo alla sua destinazione funzionale, dacchè i convenuti avevano allacciato lo scarico delle acque luride del bagno alla condotta delle acque pluvie ed avevano posto altro tubo – ad alimentazione delle condotte dell’acqua potabile – sulla facciata del condominio. Si costituì il solo Sc. che non contestò la materialità degli addebiti, limitandosi a sminuirne la gravità. Con sentenza 699/2003 l’adito Tribunale accolse parzialmente la domanda risarcitoria, senza peraltro stabilire il ripristino del primitivo stato della soffitta e senza disporre la eliminazione delle infiltrazioni: tali richieste vennero rinnovate nell’appello che ne seguì; si costituì la S., anche in rappresentanza delle figlie F. e D., a seguito del decesso del marito, a contestazione del gravame; la Corte di Appello di Roma, pronunciando sentenza n. 1246 del 2011, riformò in parte la precedente pronuncia, condannando le Sarno al rifacimento del pavimento del bagno ricavato nella soffitta nonchè a rifare l’allacciamento del tubo dello scarico, allacciato al pluviale condominiale; rigettò invece ogni ulteriore domanda ri-sarcitoria; quanto poi alla richiesta di rimozione dei manufatti insistenti sulla facciata condominiale, la Corte territoriale respinse il relativo motivo di impugnazione, ritenendo che le opere poste in essere dai coniugi Sc.- S. fossero di lieve entità e non incidenti sull’estetica del fabbricato, così che doveva ritenersi che detti condomini avessero fatto un utilizzo della cosa comune compatibile con il pari uso dei comproprietari, giusta quanto consentito dall’art. 1102 c.c..

Per la cassazione di tale decisione hanno proposto ricorso i M.- Ma., sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria; ha proposto controricorso la sola S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p.1 – Con il primo motivo viene denunciata l’omessa pronuncia sulla domanda ripristinatoria nuovamente proposta in appello, censurandosi il fatto che il Tribunale non aveva percepito l’esatto contenuto della richiesta che non era solo diretta all’emenda dei danni per la illecita attività di trasformazione edilizia posta in essere dagli Sc.- S., ma era altresì diretta a far ripristinare la primitiva conformazione del proprio manufatto nell’ambito dello stabile condominiale (attico) senza alcun appartamento sovrastante.

p. 1.a – Il motivo è infondato in quanto appare evidente che vi è stata una implicita pronuncia di rigetto del relativo motivo di appello, in forza dell’accoglimento della subordinata di risarcimento dei danni che presupponeva, dunque, la liceità della trasformazione della soffitta di proprietà dei controricorrenti in appartamento e considerava detto immobile solo sotto il profilo dei pregiudizi che poteva aver causato ai sottostanti locali.

p. 2 – Con il secondo mezzo viene denunciata la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1102 c.c. in quanto le opere poste in essere dagli originari convenuti all’interno della soffitta trasformata in civile abitazione non si trovavano in rapporto di accessorietà con il discendente pluviale condominiale e dunque non avrebbero legittimato la conclusione, alla quale era pervenuta la Corte di Appello, che l’utilizzo dello stesso si sarebbe configurato come utilizzo consentito della cosa comune.

p. 2.a – Il mezzo presenta profili di inammissibilità in quanto è diretto a far compiere alla Corte un novellato – ma non consentito- nuovo accertamento di fatto al fine di verificare se la nuova funzione alla quale era adibito lo scarico delle acque pluvie avesse determinato una alterazione rilevante al suo originario utilizzo – che peraltro non si deduce esser stato ostacolato.

p. 3 – La ripartizione dell’onere delle spese segue il principio della soccombenza e va regolata secondo la liquidazione esposta in dispositivo.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 2.700 di cui 200 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2017

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