Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4564 del 26/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4564 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: DE STEFANO FRANCO

SENTENZA

sul ricorso 3661-2008 proposto da:
BROGI MARINA BRGMNR53M43D874S, CAPANNACCI FRANCO
CPNFNC51E17A657P, domiciliati in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e
difesi dall’avvocato CAPURSO MAURIZIO giusta procura
speciale a margine;
– ricorrente –

2014

contro

93

BERTI

SIMONA

BRTSMN64H53E715H,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 27, presso lo
studio dell’avvocato MAGNI FRANCESCO ALESSANDRO, che

1

Data pubblicazione: 26/02/2014

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
GARIBOTTI ALESSANDRO giusta procura speciale in calce;
– 2cintroricor.runte =
A -uvr3n la sntenz ,Q, n_

1()4/200 -7 dellà CORTE D’APPELLO

di FIRENZE, depositata il 12/07/2007, R.G.N. 456/2005;

udienza del 16/01/2014 dal Consigliere Dott. FRANCO DE
STEFANO;
udito l’Avvocato MAURIZIO CAPURSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso;

2

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo

1. Simona Berti e Javad Kamron Kashtgar intimarono, loro
notificandolo il 23.5.02, precetto a Marina Brogi e Franco
Capannacci di rimuovere alcune opere da loro eseguite su di
un accesso di uso comune, violando i termini di un verbale
di conciliazione giudiziale concluso nell’ambito di una

controversia possessoria intrapresa dagli intimanti (in uno
ad Ariane Hildegarde Ann Von Sydow) nei confronti degli
altri. I precettati si opposero, sostenendo non essersi mai
impegnati a non modificare in modo assoluto lo stato dei
luoghi, ma soltanto a non reiterare atti di spoglio o di
turbativa del compossesso dell’accesso e, cioè, in pratica,
del solo cancello comune.
L’adito tribunale di Lucca accolse l’opposizione,
condannando gli opposti alle spese di lite, con sentenza n.
1083 del 20 aprile 2004; ma la corte di appello di Firenze,
adita dalla sola Berti, ne accolse il gravame e, riformata
la sentenza di prime cure, rigettò l’opposizione a
precetto, condannando i soccombenti appellati Brogi e
Capannacci alle spese del doppio grado.
Per la cassazione di tale sentenza, resa il 12.7.07 col
n. 1046 e notificata il 29-30.11.07, ricorrono, affidandosi
a due motivi, Marina Brogi e Franco Capannacci; resiste con
controricorso la Berti.
Motivi della decisione

2. Va premesso che, essendo la sentenza impugnata stata
pubblicata tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla fattispecie
continua ad applicarsi, nonostante la sua abrogazione (ed
in virtù della disciplina transitoria di cui all’art. 58,

3

IV
il

comma quinto, della legge 18 giugno 2009, n. 69) l’art.
366-bis cod. proc. civ. e, di tale norma, la rigorosa
interpretazione via via elaborata da questa Corte (Cass. 27
gennaio 2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n. 12887;
Cass. 8 febbraio 2013, n. 3079; Cass. 17 ottobre 2013, n.

2.1. i motivi riconducibili ai nn. 3 e 4 dell’art. 360
cod. proc. civ. vanno corredati, a pena di inammissibilità,
da quesiti che devono compendiare:
a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto
sottoposti al giudice di merito;
b)

la sintetica indicazione della regola di diritto

applicata dal quel giudice;
c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del
ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie
(tra le molte, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n.
2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo
2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 22704);
d) questioni pertinenti alla ratio decidendi, perché, in
contrario, difetterebbero di decisività (sulla necessità
della pertinenza del quesito, per tutte, v.: Cass. Sez.
Un., 18 novembre 2008, n. 27347; Cass., ord. 19 febbraio
2009, n. 4044; Cass. 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. 21
dicembre 2011, n. 27901);
2.2. a corredo dei motivi di vizio motivazionale vanno
poi formulati momenti di sintesi o di riepilogo, che devono
consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo
del ricorso, il quale indichi in modo sintetico, evidente
ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo,
4

23574). Pertanto:

chiaramente il fatto controverso in riferimento al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure se non soprattutto – le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n.

dicembre 2009, ord. n. 27680);
2.3. infine, è sì ammessa la contemporanea formulazione,
col medesimo motivo, di doglianze di violazione di norme di
diritto e di vizio motivazionale, ma soltanto alla
imprescindibile condizione che ciascuna sia accompagnata
dai rispettivi quesiti e momenti di sintesi (per tutte:
Cass. sez. un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass. 20 dicembre
2011, n. 27649).
3. Questi i termini della controversia all’esame di
questa Corte.
3.1. I ricorrenti Marina Brogi e Franco Capannacci
sviluppano due motivi e:
– col primo, di “omissione parziale ed insufficienza
della motivazione della sentenza impugnata [art. 360 n. 5)
c.p.c.]”, prospettano un vizio motivazionale in ciò che la
corte territoriale si sarebbe limitata, per interpretare il
verbale di conciliazione, all’esame di una sola clausola;
– col secondo, di “violazione e/o falsa applicazione
degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369, 1371 c.c. [art. 360 n.
3 c.p.c.]”, essi, invocata l’applicazione delle norme in
tema di ermeneutica contrattuale pure al verbale di
conciliazione giudiziale, deducono la violazione di quelle,
sotto più profili, da parte della corte territoriale
5

16002; Cass. Sez. Un., l ° ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30

nell’individuazione del senso da attribuire alle clausole
del verbale stesso.
3.2. Dal canto suo, la controricorrente Simona Berti:
– del primo motivo contesta ammissibilità e fondatezza,
sostenendo quello risolversi in una censura sul merito

apprezzamento manifestamente erroneo, non potendo il
consenso all’uso temporaneo del bene in contesa comportare
anche un implicito consenso alla sua modificazione;
– del secondo motivo contesta comunque l’idoneità ad
inficiare la gravata sentenza, non potendosi attribuire
significati diversi da quello letterale alla clausola “c)”
del verbale, in rapporto all’ambito del giudizio
possessorio nel cui corso esso era intervenuto, esteso cioè
alla rimozione di ogni ostacolo o ingombro lungo il viale
destinato a passaggio.
3.3. I due motivi, siccome intimamente connessi, vanno
congiuntamente esaminati.
4. Va premesso che il verbale di conciliazione azionato
anche dalla Berti – ivi intesi per “convenuti” la Brogi ed
il Capannacci e compresa tra i “ricorrenti” la Berti prevedeva:
– alla lettera a): “i convenuti potranno utilizzare per
il cantiere l’area per cui è causa fino al termine
improrogabile del 31.3.2002, data alla quale per il passo
per cui è causa dovrà essere reso nuovamente libero e
praticabile dai ricorrenti”;
– alla lettera b): “fino al termine di cui sopra i
ricorrenti utilizzeranno l’altro accesso di cui dispongono
6

dell’interpretazione del contratto e comunque involgere un

sul lato opposto del parco, ma potranno utilizzare
l’accesso chiuso dal cantiere con un preavviso di una
settimana al direttore dei lavori per esigenze
eccezionali”;
– alla lettera c): “i convenuti si riservano ogni azione

transito e sosta dei ricorrenti sul parco e si impegnano a
non effettuare nessun intervento e a non modificare lo
stato dei luoghi nella zona interessata dal passo se non in
virtù di provvedimento giurisdizionale. In particolare si
impegnano a non collocare ulteriori recinzioni o cancelli”.
Al riguardo, la corte territoriale ha interpretato
l’impegno degli originari convenuti in possessoria come non
limitato affatto alla non apposizione di ulteriori
recinzioni o cancelli, ma esteso a qualunque mutamento
dello stato dei luoghi senza un provvedimento del giudice
dell’instauranda azione petitoria.
5. Per antico insegnamento (fin da Cass. l giugno 1968,
n. 1655), sotto il profilo formale, il verbale di
conciliazione giudiziale tra le parti non può avere gli
effetti esecutivi di una sentenza passata in giudicato, ma
solo quelli di un titolo contrattuale esecutivo ai sensi
dell’art. 474, n. 3, cod. proc. civ.; e così, visto che la
conciliazione è frutto dell’incontro della volontà delle
parti, il relativo verbale, ancorché redatto con
l’intervento del giudice a definizione di una controversia
pendente, è ad ogni effetto un atto negoziale, la cui
interpretazione si risolve in un accertamento di fatto di
esclusiva spettanza del giudice di merito, non sindacabile
7

in sede petitoria in quanto contestano il diritto di

in Cassazione, ove sia sorretto da motivazione scevra da
vizi logici e da errori giuridici (nello stesso senso:
Cass. 15 aprile 1980, n. 2459): infatti, l’intervento del
giudice nel tentativo di conciliazione non altera, ove il
medesimo riesca, la natura consensuale dell’atto di

18 luglio 1987, n. 6333).
Pertanto, come per ogni contratto ed

anche ai fini

dell’individuazione del contenuto o

dell’oggetto

dell’obbligo in esso

assunto

ed azionato

esecutivamente,

l’interpretazione del verbale di conciliazione giudiziale
va operata alla stregua degli articoli 1362 ss. cod. civ.
(Cass. 27 ottobre 1998, n. 10719).
6. Se tanto è vero, si estendono al verbale di
conciliazione giudiziale i consolidati orientamenti della
giurisprudenza di legittimità in tema di ermeneutica
contrattuale.
6.1. A questo riguardo, il sindacato di legittimità può
avere ad oggetto non già la ricostruzione della volontà
delle parti, bensì solamente l’individuazione dei criteri
ermeneutici del processo logico del quale il giudice di
merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui
riservata, al fine di verificare se sia incorso in vizi del
ragionamento o in errore di diritto (tra le molte, v.:
Cass. 31 marzo 2006, n. 7597; Cass. 1 aprile 2011, n. 7557;
Cass. 14 febbraio 2012, n. 2109; Cass. 11 ottobre 2012, n.
17324; Cass. 7 febbraio 2013, n. 2962).
6.2. Pertanto (v., tra le molte: Cass. 3 settembre 2010,
n. 19044; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604):
8

composizione che le parti volontariamente concludono (Cass.

- l’interpretazione del contratto costituisce operazione
riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono
censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione
dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio
di motivazione ed è censurabile in sede di legittimità

contrattuale ovvero per vizi di motivazione, qualora la
stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da
non consentire il controllo del procedimento logico seguito
per giungere alla decisione;
– ai fini della censura di violazione dei canoni
ermeneutici, non è peraltro sufficiente l’astratto
riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è
necessaria la specificazione dei canoni in concreto
violati, con la precisazione del modo e delle
considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è
discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità
del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della
regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in
contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa
riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto,
qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del
diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di
attribuire;
– la denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece
effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune
argomentative, ovvero delle illogicità consistenti
nell’attribuzione agli
significato

estraneo

elementi di
al

senso

giudizio di un

comune,

oppure

con
9

soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica

l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza
logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità
razionale degli argomenti, sempre che questi vizi emergano
appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di
merito, quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per

quella data dal giudice sia l’unica interpretazione
possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una
clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è
consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione
disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del
fatto che ne sia stata privilegiata un’altra.
6.3.

Inoltre,

le

regole

legali

di

ermeneutica

contrattuale sono governate da un principio di gerarchia,
in forza del quale i criteri degli artt. 1362 e 1363 cod.
civ. prevalgono su quelli integrativi degli artt. 1365-1371
cod. civ., posto che la determinazione oggettiva del
significato da attribuire alla dichiarazione non ha ragion
d’essere quando la ricerca soggettiva conduca ad un utile
risultato ovvero escluda da sola che le parti abbiano posto
in essere un determinato rapporto giuridico: pertanto,
l’adozione dei predetti criteri integrativi non può portare
alla dilatazione del contenuto negoziale mediante
l’individuazione di diritti ed obblighi diversi da quelli
espressamente contemplati nel contratto o mediante
l’eterointegrazione dell’assetto negoziale esplicitamente
previsto dai contraenti, neppure se tale adeguamento si
presenti, in astratto, idoneo a ben contemperare il loro
interesse (Cass. 24 gennaio 2012, n. 925; sulla prima
10

sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che

parte, v. altresì, tra le molte, Cass. 22 marzo 2010, n.
6852, ovvero Cass. 25 ottobre 2005, n. 20660).
7. In applicazione di tali principi alla fattispecie,
nessuna delle espressioni adoperate dalle parti nelle
clausole a) e b) del verbale (come analiticamente riportate

ricorrenti in possessoria ad un mutamento dello stato dei
luoghi, tassativamente e categoricamente escluso dalla
clausola c): in quanto altro è poter usare della cosa
contestata, altro è mutarla, vista l’ampiezza evidentemente
e chiaramente incondizionata dell’obbligo di non modificare
lo stato dei luoghi, liberamente assunto perfino per il
caso in cui in concreto l’ambito del giudizio possessorio
potesse essersi concentrato su solo alcune delle condotte
complessive in origine dedotte.
7.1. La chiarezza e l’assenza di condizioni di un tale
obbligo sono state messe adeguatamente in luce dalla corte
territoriale, pure alla stregua della disamina lessicale
delle espressioni adoperate, in confutazione della diversa
tesi del tribunale: e del tutto coerente e congruo con tale
tenore letterale è il senso ad esso attribuito da
quest’ultima, cioè di attendere, lasciando intatti i luoghi
contestati, una pronuncia del giudice del petitorio.
Non ha quindi pregio la pretesa di interpretare la
volontà delle parti alla stregua di quanto opinato dal
giudice alla cui presenza l’accordo era stato raggiunto
(opinamento reso manifesto dalla sentenza di primo grado
sull’opposizione, resa dallo stesso magistrato della causa
possessoria), per la sua istituzionale estraneità al
11

anche sopra) può mai giustificare un consenso dei

medesimo e per l’impossibilità di correggere quanto
univocamente rappresentato dalle espressioni letterali
adoperate proprio dinanzi a lui.
7.2. Infatti, anche le norme ermeneutiche degli artt.
1366, 1369 e 1371 cod. civ. recedono dinanzi alla chiarezza
dell’obbligo liberamente assunto, per la vista

sovraordinazione gerarchica delle regole precedenti, alla
cui stregua si è già chiaramente esclusa la sostenibilità
della tesi degli odierni ricorrenti: non può quindi
rilevare l’idea di costoro che la loro attività, benché
oggetto di un divieto assoluto, potesse divenire legittima
in quanto corrispondente all’utilità perfino di
controparte, né il coordinamento con la natura e l’oggetto
del contratto, né il contenuto della causa petitoria (il
cui oggetto è stato ritenuto irrilevante nell’assunzione
dell’obbligo di mantenere intatti i luoghi).
t, al riguardo, evidente che la stessa locuzione
letterale, secondo la quale “in particolare” era indicata
la non collocazione di ulteriori cancelli o recinzioni come
oggetto degli obblighi assunti, esprime – secondo l’univoco
senso delle parole adoperate – un chiaro intento di
individuazione, a fini manifestamente esemplificativi, di
una specifica condotta all’interno di quella più generale
ed onnicomprensiva di astensione da ogni intervento.
8. Per l’infondatezza dei motivi in cui si articola, il
ricorso va pertanto respinto, con condanna solidale

attesa la loro comunanza di interesse in causa – dei
ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità.

(sÌ1

P. Q. M.

12

La Corte rigetta il ricorso; condanna Marina Brogi e
Franco Capannacci, tra loro in solido, al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità in favore di Simona
Berti, liquidate in 2.200,00, di cui 200,00 per
esborsi.

terza sezione civile della Corte suprema di cassazione,
addì 16 gennaio 2014.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della

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