Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4564 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2022, (ud. 19/01/2022, dep. 11/02/2022), n.4564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26194/2020 R.G. proposto da:

S.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Rocco Donato

Rizzello, con domicilio eletto in Roma, Largo Trionfale, n. 7, int.

5, presso lo studio dell’Avv. Gabriele Gennaccari;

– ricorrenti –

contro

C.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Biagio S. Palamà,

con domicilio eletto in Roma, Via Belisario, n. 7, presso lo studio

dell’Avv. Antonio Pasca;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, n. 1018/2019,

pubblicata il 14 gennaio 2020.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19 gennaio

2022 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che – pronunciando in controversia promossa, con ricorso ex art. 447-bis c.p.c., da C.A. (locatore) nei confronti di S.A. (conduttore) – aveva dichiarato risolto il contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo intercorso tra i due, per il grave inadempimento del conduttore, consistito nell’aver lasciato il locale senza dare congruo preavviso nei termini di legge e senza provvedere alla rimozione delle opere realizzate per lo svolgimento dell’attività ed al ripristino del locale nello stato in cui era prima della locazione, con la conseguente condanna dello stesso al pagamento della complessiva somma di Euro 3.808,80, a titolo di canoni scaduti e non pagati e risarcimento danni, al netto del deposito cauzionale.

2. Le doglianze riproposte dall’appellante, circa la nullità del contratto di locazione per difetto delle autorizzazioni amministrative necessarie e per la mancata menzione in contratto del certificato APE (e, comunque, per la mancata informazione circa la sua esistenza), sono state rigettate in sentenza sulla base dei seguenti rilievi:

– è documentato che il bene locato era munito di regolare certificato di agibilità ad uso sia commerciale che artigianale;

– l’indicazione della autorizzazione non è requisito di validità del contratto di locazione;

– è irrilevante che le autorizzazioni fossero intestate ad altro soggetto, dal momento che si tratta di documenti relativi all’immobile e non a qualità personali del proprietario;

– il conduttore non ha mai provato, come era suo onere, che la SCIA gli sia stata rifiutata a causa delle presunte irregolarità autorizzative originarie dell’immobile, né tantomeno che gli impianti non fossero conformi alle vigenti disposizioni legislative;

– l’immobile era munito di regolare attestazione APE (attestazione di prestazione energetica) rilasciata in data antecedente al contratto;

– alla luce della normativa di riferimento la locazione è da ritenersi valida anche se il proprietario ha omesso di allegare al contratto l’attestazione di prestazione energetica (APE);

– ai sensi del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192, art. 15, comma 9, il proprietario locatore che non doti, in caso di nuovo contratto di locazione, l’immobile dell’attestato di prestazione energetica, ai sensi del suddetto D.Lgs., art. 6, comma 2, è esposto ad una sanzione amministrativa non inferiore a 3.000 Euro e non superiore a 18.000 Euro; il locatore inadempiente può dunque essere multato ma il conduttore è comunque tenuto a corrispondere i canoni di locazione;

– la mancata informativa non costituisce di per sé, in assenza di vizi sostanziali, un motivo di inadempimento grave che giustifichi la risoluzione a carico del locatore;

– nel caso di specie, peraltro, è discutibile che vi fosse l’obbligo di allegazione dell’attestato APE, essendo da tale obbligo esclusi gli edifici industriali e artigianali i cui ambienti siano riscaldati o raffrescati per esigenze del processo produttivo o utilizzando reflui energetici del processo produttivo non altrimenti utilizzabili ovvero quando il loro utilizzo e/o le attività svolte al loro intermo non ne prevedano il riscaldamento o la climatizzazione; al qual riguardo va considerata la presenza di un camino all’interno del locale e la destinazione ad attività di rosticceria.

3. Avverso tale decisione S.A. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resiste l’intimato, depositando controricorso.

4. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Devesi preliminarmente rilevare l’inammissibilità del controricorso, non essendovi prova in atti del perfezionamento della sua notifica a mezzo posta (v. Cass. 28/03/2001, n. 4559).

2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, “con riferimento al mancato espletamento della c.t.u. invocata e richiesta”.

Deduce che il c.t.u. avrebbe potuto ampiamente riferire non solo in merito alle censure in fatto relativamente all’immobile locato “ma soprattutto in riferimento a quelle in diritto”.

Afferma di avere dimostrato sin dal primo grado la difformità dell’immobile e che la c.t.u. era l’unico mezzo per accertare la correttezza e la legittimità dell’eccezione formulata già in primo grado.

3. Con il secondo motivo egli denuncia “violazione per falsa applicazione della normativa inerente (a)l certificato energetico APE nella parte in cui non è stato messo a disposizione del locatario in fase di sottoscrizione del relativo contratto” (questa, testualmente, l’intestazione)

Lamenta che erroneamente la corte d’appello ha ritenuto che la mancata allegazione al contratto del certificato predetto non fosse rilevante né avesse provocato danni al ricorrente, dal momento che -afferma – emerge per tabulas che l’immobile locato, al momento della sottoscrizione del contratto, non fosse idoneo alla locazione e ciò, tra l’altro, proprio per la mancanza dell’APE.

Afferma, inoltre, che la certificazione di agibilità n. (OMISSIS) del (OMISSIS) non era da considerarsi valida per l’esercizio dell’attività programmata ed il controricorrente non aveva mai provveduto ad integrarla o a sostituirla in base alle indicazioni del D.M. n. 37 del 2008, in materia di sicurezza degli impianti e, soprattutto, non era stata integrata “dalle variazioni strutturali relativa alla costruzione della canna fumaria” (così testualmente in ricorso).

4. Il primo motivo è inammissibile sotto diversi profili.

4.1. Anzitutto per la preclusione che deriva – ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., (come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis) – dall’essere la decisione confermativa di quella di primo grado, non avendo dimostrato il ricorrente, in presenza di doppia conforme, la diversità delle questioni di fatto alla base delle due decisioni di merito.

4.2. In secondo luogo, perché il vizio non è comunque dedotto nei termini in cui la giurisprudenza di questa Corte lo dice deducibile (Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014, Cass. n. 8054 del 2014): quale “omesso esame”, cioè, di un “fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”.

Giova al riguardo ribadire che alla nozione di “fatto storico” (principale o secondario), non può essere ricondotta la consulenza tecnica d’ufficio in quanto tale.

Come questa Corte ha avuto modo più volte di precisare, infatti, il “fatto storico” di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è accadimento fenomenico esterno alla dinamica propria del processo, ossia a quella sequela di atti e di attività disciplinate dal codice di rito che, dunque, viene a caratterizzare la diversa natura e portata del “fatto processuale”, il quale segna il differente ambito del vizio deducibile, in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (v. ex multis Cass. n. 18328 del 2019; Cass. n. 7024 del 2020; Cass. n. 12387 del 2020; Cass. n. 19370 del 2021).

E’, pertanto, evidente che, avendo il giudice d’appello motivato specificamente le ragioni per le quali ha ritenuto di pervenire ad una valutazione, in tesi, diversa da quella auspicata dalla parte, e non avendo il ricorrente evidenziato quale “fatto storico”, decisivo, egli abbia omesso di esaminare, la doglianza si risolve nella prospettazione di un vizio di motivazione non dedotta in modo coerente con il paradigma di cui all’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4.3. Il motivo, peraltro, non si confronta con l’alternativa ratio decidendi spesa in sentenza secondo cui era documentato che il bene locato era munito di regolare certificato di agibilità ad uso sia commerciale che artigianale e il conduttore non aveva provato come era suo onere, che la SCIA gli fosse stata rifiutata a causa delle presunte irregolarità autorizzative originarie dell’immobile, né tantomeno che gli impianti non fossero conformi alle vigenti disposizioni legislative, limitandosi sul punto solo ad una mera generica asserzione contraria.

4.4. Occorre peraltro rammentare – per evidenziare anche il difetto del requisito della decisività del dedotto vizio – che, secondo indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, nella locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, il carattere abusivo dell’immobile o la mancanza di titoli autorizzativi necessari o indispensabili ai fini dell’utilizzo della res (secondo la sua intrinseca destinazione economica o conformemente all’uso convenuto), dipendenti dalla situazione edilizia del bene, non incidono sulla validità del negozio, né costituiscono vizi della cosa locata agli effetti dell’art. 1578 c.c., ma possono configurare un inadempimento del locatore alle proprie obbligazioni, astrattamente idoneo a incidere un interesse del conduttore, al quale ultimo spetta l’onere di allegare e provare il concreto pregiudizio sofferto in conseguenza dell’abusività del cespite, senza che possa prospettarsi in tale caratteristica un danno in re ipsa (Cass. 21/08/2020, n. 17557; Cass. 28/12/2021, n. 41744); ciò, peraltro, solo nel caso in cui il locatore abbia assunto l’impegno di conseguire detti titoli, ovvero se il loro ottenimento sia reso definitivamente impossibile in ragione delle caratteristiche intrinseche del bene concesso in godimento (Cass. 20/08/2018, n. 20796).

5. Il secondo motivo è a sua volta inammissibile, per aspecificità, ex art. 366 c.p.c., n. 4.

Secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione

e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 16132 del 2005, Cass. n. 26048 del 2005, Cass. n. 20145 del 05, Cass. n. 1108 del 2006, Cass. n. 10043 del 2006, Cass. n. 20100 del 2006, Cass. n. 21245 del 2006, Cass. n. 14752 del 2007, Cass. n. 3010 del 2012 e Cass. n. 16038 del 2013). In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.

Nel caso di specie accade per l’appunto che il ricorrente, lungi dal precisare le ragioni per le quali la ritenuta irrilevanza della mancata allegazione al contratto dell’attestato di prestazione energetica (APE) dovrebbe ritenersi erronea in diritto, si limita a contrapporvi affermazioni generiche e di carattere meramente assertivo, in buona parte anche eccentriche rispetto al vizio denunciato in quanto volte a riproporre la questione, già esaminata con riferimento al primo motivo, relativa alla esistenza di valido e aggiornato certificato di agibilità.

6. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

Stante l’inammissibilità, per le ragioni dette, del controricorso, non v’e’ luogo a provvedere sul regolamento delle spese.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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