Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4563 del 21/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 21/02/2020), n.4563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22373-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

BESTIT SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 134,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA CIPOLLA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ERMINIO RETUS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 332/11/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 29/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CROLLA

COSMO.

Fatto

RITENUTO

CHE:

1.Con sentenza n. 332/11/17, depositata in data 29 gennaio 2018, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza n. 1346/2/14 della Commissione tributaria provinciale di Bologna che aveva accolto il ricorso di Bestit Srl, società dedita al commercio all’ingrosso di materiale informatico, contro avviso di accertamento per IVA e altro 2009;

2. La CTR confermava la decisione dei giudici di prime cure, ritenendo illegittimo il recupero ad imposta con cui l’Agenzia aveva disconosciuto la deducibilità dell’IVA in relazione a determinate operazioni ritenute soggettivamente inesistenti in quanto i cedenti materiale informatico erano risultati evasori IVA, per non essere stato dimostrata la consapevolezza o anche solo conoscibilità da parte della contribuente di essere parte della c.d. frode carosello;

3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo un unico motivo. La contribuente si è difesa con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con un unico motivo – dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di plurime previsioni normative e dei principi indicati in una sentenza della Corte di Giustizia del 12.1.2006, da parte della CTR per aver questa non rispettato il canone di riparto dell’onere della prova in reazione alle contestate operazioni soggettivamente inesistenti, in particolare in punto di elemento soggettivo.

1.1. Il motivo è infondato.

1.1 Secondo il costante insegnamento di questa Corte “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.” (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018 – Rv. 647837 – 01; conforme Sez. 5 -, Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018 – Rv. 651004 – 01);

1.2 Nel caso di specie, la sentenza impugnata si è attenuta a tale canone giurisprudenziale consolidato di riparto dell’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, ponendo a carico dell’Agenzia l’onere di dimostrare la fittizietà dei fornitori e del fatto che la contribuente versava in condizioni di conoscenza o conoscibilità di tale stato di cose (“sapeva o avrebbe dovuto sapere secondo l’ordinaria diligenza”, come si legge a pag.2 della sentenza impugnata), ed ha escluso che sia intervenuta la dimostrazione dell’elemento soggettivo. In particolare, la sentenza tiene analiticamente conto degli elementi in fatto che caratterizzano la fattispecie concreto, come la “ravvicinatezza tra gli acquisti del materiale e la successiva rivendita”, la “corrispondenza delle quantità di merci acquistate e vendute”, la “contestualità tra i trasporti in acquisto e vendita e la contestualità dei pagamenti effettuati e ricevuti”, ed ha motivatamente escluso che tali elementi fossero sufficienti a determinare anche solo la conoscibilità in capo alla contribuente di essere parte della frode carosello. Ad esempio, al proposito nella motivazione si legge: “il materiale informatico è di rapidissima obsolescenza e, pertanto, in tale settore è comportamento necessità ed ampiamente diffuso quello di ridurre al minimo il magazzino, ricercando la massima velocità nell’approvvigionamento delle merci, spesso rifornendosi delle stesse solo nel momento in cui vi è domanda di acquisto (…)”. Circa le modalità di pagamento del bonifico bancario a seguito di fattura, la CTR motiva nel senso che in sè si tratta di una modalità garantita di pagamento in quanto tracciata, quanto ai prezzi praticati, la CTR accerta in fatto che non sarebbero inferiori a quelli di mercato, ma esposti con un ricarico medio dell’8-9% in linea con il settore, e non decisivo in sè appare l’elemento secondo cui la società si avvaleva di una società di logistica per lo stoccaggio, come pure il procedimento penale per evasione a carico dei legali rappresentanti conclusosi con archiviazione del GIP e concorde richiesta del PM.

1.3 Gli elementi dedotti nel motivo contengono una richiesta di rivalutazione del fatto e degli elementi di prova raccolti nel processo in contrasto con il principio secondo il quale la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti. (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332);

1.4 La sentenza impugnata va dunque confermata, in quanto ha rispettato i principi di diritto sopra richiamati, e al rigetto del ricorso segue il regolamento delle spese di lite liquidate come da dispositivo secondo soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 7.800 per compensi ed Euro 200 per spese oltre al rimborso forfettario e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 novembre 2019.

Depositato in cancelleria il 21 febbraio 2020

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