Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4563 del 15/02/2019

Cassazione civile sez. trib., 15/02/2019, (ud. 22/11/2017, dep. 15/02/2019), n.4563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23360-2011 proposto da:

P.R., B.D., elettivamente domiciliati in ROMA

VIA F. DENZA 50-A, presso lo studio dell’avvocato LUCIO LAURENTI,

che li rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 42/2010 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 02/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO GRECO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LUISA DE RENZIS che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato PISANA che ha chiesto il

rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.R. e B.D. propongono ricorso per cassazione, con due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha confermato la fondatezza degli avvisi di accertamento con i quali era stato rettificato, ai fini dell’IRPEF, il reddito per l’anno 1999, recuperando a tassazione (separata), a norma del tuir, art. 81, comma 1, lett. b), la plusvalenza derivante dalla vendita, avvenuta appunto nel 1999, di un terreno edificato in Vigodarzere, il cui acquisto era avvenuto parte nel 1981 e parte nel 1986.

Secondo il giudice d’appello, infatti, non sussistevano nella specie, “a carico dei provvedimenti impugnati i sostanziali vizi di carenza di precisione e di chiarezza in quanto tutti gli elementi di informazione e conoscenza erano stati messi a disposizione dei contribuenti, che quindi erano in condizione di valutare complessivamente la propria posizione”.

“Dall’esame della documentazione in atti, inoltre – si legge ancora nella sentenza impugnata -, appare corretta anche la ricostruzione della plusvalenza che l’ufficio ha compiuto. L’intervenuto accertamento per adesione, in quanto atto destinato a chiudere il procedimento in materia di INVIM e registro, non rappresenta in quanto tale un atto che inibisce il potere accertativo ai fini IRPEF”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione del tuir, art. 18 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42”, premesso che nell’ipotesi in esame di tassazione separata – regolata dalla prima norma in rubrica -, “l’imposta è determinata applicando all’ammontare percepito l’aliquota corrispondente alla metà del reddito complessivo netto del contribuente nel biennio anteriore all’anno in cui è sorto il diritto alla loro percezione”, i ricorrenti assumono che l’operazione di individuazione dell’aliquota dovrebbe necessariamente essere esplicitata nell’avviso di accertamento (nel quale era invece indicata solamente nel 25,28% l’aliquota applicata al P. e nel 18,50% l’aliquota applicata alla B.), per “consentire al contribuente di verificare l’esattezza della pretesa erariale senza ricorrere a complesse cognizioni tecniche e giuridiche”.

Il motivo è infondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte “l’avviso di accertamento ai fini IRPEF il quale non riporti l’aliquota applicata, ma contenga solo l’indicazione delle aliquote minima e massima, viola il principio di precisione e chiarezza delle “indicazioni” che è alla base del precetto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, nella funzione di tutela del diritto di immediato e agevole controllo che al contribuente deve essere consentito, ed incorre, pertanto, nella sanzione di nullità disposta dallo stesso art., comma 3″ (Cass. n. 13810 del 2005, n. 11682 del 2016)

E’ invece incontroverso che negli atti impositivi in discorso erano state indicate l’aliquota applicata al P. e quella, diversa, applicata alla B..

Quanto alla possibilità di verifica da parte del contribuente, l’operazione prescritta non presenta elementi di complessità e, quel che più conta, è basata sul reddito complessivo netto del contribuente nei due anni precedenti quello del periodo d’imposta, e quindi su un elemento ben conosciuto dal contribuente stesso.

Correttamente quindi il giudice d’appello ha osservato non sussistere nella specie, “a carico dei provvedimenti impugnati i sostanziali vizi di carenza di precisione e di chiarezza in quanto tutti gli elementi di informazione e conoscenza erano stati messi a disposizione dei contribuenti, che quindi erano in condizione di valutare complessivamente la propria posizione”.

Col secondo motivo, denunciando omessa o insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio – art. 360 c.p.c., n. 5″, criticano la sentenza impugnata per aver ritenuto che l’accertamento con adesione ai fini dell’INVIM cui essi ricorrenti erano pervenuti “non rifletta alcuna conseguenza anche in riferimento ad altre imposte”, come nella specie l’IRPEF, “fondate sugli stessi presupposti, atteso che l’accertamento con adesione è un patto tra l’amministrazione e il contribuente, con effetti definitivi e obbligatori per entrambe le parti”, essendo “assimilabile ad un contratto di transazione, in cui si pattuiscono determinate condizioni, che devono poi essere tenute presenti per la regolamentazione di tutti i rapporti tra le parti”.

L’intervenuto accertamento con adesione per l’INVIM ad avviso dei ricorrenti – non inibirebbe il potere accertativo ai fini IRPEF, ma “sicuramente lo condiziona e lo regola, fissando anche per l’A.F. dei presupposti intangibili con effetti preclusivi per il successivo esercizio del proprio potere impositivo”.

Il motivo, nei termini in cui è posto, è infondato, ai limiti dell’inammissibilità.

Il D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, recante la disciplina dell’accertamento con adesione, stabilisce tra l’altro, all’art. 3, che tale definizione ha effetto per i tributi di cui al precedente art. 1, comma 2 – le imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria e catastale, e comunale sull’incremento di valore degli immobili (INVIM), compresa quella decennale – “dovuti dal contribuente, relativamente ai beni ed ai diritti indicati in ciascun atto, denuncia o dichiarazione che ha formato oggetto di imposizione”.

Il valore definito, tuttavia, “vincola l’ufficio ad ogni ulteriore effetto limitatamente ai menzionati tributi”, e non anche, quindi, con riguardo al caso di specie, all’IRPEF.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese del giudizio possono essere compensate fra le parti in considerazione della peculiarità della fattispecie.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2019

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