Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4562 del 27/02/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 27/02/2018, (ud. 19/12/2017, dep.27/02/2018),  n. 4562

Fatto

1. la Corte d’ appello di Catanzaro ha dichiarato improcedibile l’appello proposto dall’Inps avverso la sentenza del Tribunale di Crotone che aveva dichiarato il diritto di G.R. all’assegno ordinario d’invalidità L. n. 222 del 1984, ex art. 1, e condannato l’istituto all’erogazione dei relativi ratei, con decorrenza dal 1.2.2007;

2. la Corte territoriale, accogliendo l’eccezione formulata all’udienza di discussione dal convenuto costituito, ha rilevato che il ricorso in appello, pur tempestivamente depositato, era stato notificato alla controparte senza rispettare il termine di dieci giorni prescritto dall’art. 435 c.p.c., comma 2, con ciò non risultando rispettato neppure il termine a difesa di 25 gg. previsto dal terzo comma della norma. Escludeva che potesse essere concesso un nuovo termine, previa fissazione di successiva udienza, a ciò ostandovi il principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost.;

3. per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps, che come primo motivo denuncia violazione dell’art. 435 c.p.c., comma 3, dell’art. 149 c.p.c., della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4, comma 3, per avere il Collegio catanzarese omesso di rilevare che – a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 477 del 26 novembre 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 149 c.p.c., e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 4 comma 3 – il termine di 25 giorni prima dell’udienza del 1 ottobre 2013 non era stato affatto violato, in quanto l’atto di appello era stato consegnato agli ufficiali giudiziari per la notifica il 28 agosto 2013, pur essendo stato il ricorso notificato in data 11 settembre 2013;

3.1. come secondo motivo, deduce la violazione degli artt. 156 e 164 c.p.c., in quanto – con la propria costituzione in giudizio – l’appellato aveva sanato l’eventuale vizio della notifica, avendo l’atto raggiunto il proprio scopo;

4. G.R. è rimasto intimato;

5. il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Considerato che:

1. il primo motivo di ricorso non è fondato, in quanto l’arresto della Corte Costituzionale ivi richiamato ha riguardo al perfezionamento della notifica per il notificante, mentre il termine di 25 giorni è fissato dall’art. 435 c.p.c., comma 3, nell’interesse del destinatario, costituisce termine “libero” e, quindi, va computato escludendo sia il “dies a quo”, ossia quello della notificazione, che quello “ad quem”, della comparizione, al fine di assicurare al convenuto un congruo “spatium deliberandi” per l’apprestamento delle sue difese (Cass. 03-08-2016, n. 16110, Cass. n. 12944 del 1995, n. 5864 del 1982);

2. il secondo motivo è invece fondato.

E’ in primo luogo da premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel rito del lavoro il termine di dieci giorni entro il quale l’appellante, ai sensi dell’art. 435 c.p.c., comma 2, deve notificare all’appellato il ricorso (tempestivamente depositato in cancelleria nel termine previsto per l’impugnazione) e il decreto di fissazione dell’udienza di discussione, non ha carattere perentorio; la sua inosservanza non produce quindi alcuna conseguenza pregiudizievole per la parte, perchè non incide su alcun interesse di ordine pubblico processuale o su di un interesse dell’appellato, sempre che sia rispettato il termine che ai sensi del medesimo art. 435 c.p.c. (commi 3 e 4) deve intercorrere tra il giorno della notifica e quello dell’udienza di discussione (ex aliis, v. Cass. n. 3959 del 29/02/2016, n. 23426 del 16/10/2013, n. 26489 del 30/12/2010);

3. nel caso di specie, il termine di cui all’art. 435 c.p.c., comma 3, non risulta rispettato, essendo pacifico che la notificazione del ricorso in appello è avvenuta solo in data 11.9.2013, a fronte di un’udienza fissata in data 1.10.2013;

4. il mancato rispetto di tale termine a difesa (anche se conseguente, come nel caso, a mancato rispetto del termine di cui all’art. 435 c.p.c., comma 2), non dà luogo, tuttavia, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di appello, ad improcedibilità del gravame.

La questione in rassegna è già stata scrutinata da questa Corte in numerosi recenti arresti, tra i quali Cass. 08/03/2017 n. 5880, Cass. 29/12/2016 n. 27395, Cass. 10/10/2016 n. 20335, Cass. 28/08/2013 n. 19818, cui occorre dare continuità, che hanno affermato che nel rito del lavoro l’inosservanza, in sede di notifica del ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire previsto dal terzo comma dell’art. 435 c.p.c., non determina l’improcedibilità del gravame, ma dà luogo ad un’ipotesi di nullità della notificazione, sanabile “ex tunc” per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c., costituendo questa norma espressione del principio generale dell’ordinamento, riferibile ad ogni atto che introduce il rapporto processuale e lo ricostituisce in una nuova fase giudiziale, per cui sono in tali modi sanabili con effetto retroattivo non solo le nullità contemplate dall’art. 160 c.p.c., ma tutte le nullità in genere della notificazione, senza che rilevi se esse trovino la loro origine in una causa imputabile all’ufficiale giudiziario o alla parte istante;

5. non inducono a contrario avviso gli arresti richiamati nella sentenza gravata (Cass. 17076 del 2013, n. 14874 del 2011, n. 26389 del 2010, n. 21358 del 2010) che, così come le altre già sopra richiamate, hanno ribadito il principio secondo il quale il termine di dieci giorni assegnato all’appellante per la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione (art. 435 c.p.c., comma 2) non è perentorio e, pertanto, la sua inosservanza non comporta decadenza, sempre che resti garantito all’appellato lo spatium deliberandi non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza di discussione della causa (art. 435 c.p.c., comma 3), senza tuttavia confrontarsi con le conseguenze del mancato rispetto di tale termine a difesa, ipotesi che nei casi esaminati non si era verificata;

6. una diversa soluzione non risulta del resto imposta dall’applicazione del principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 della Costituzione, non potendosi in via interpretativa introdurre una così grave sanzione processuale e fronte di un vizio per altro verso ritenuto sanabile: il caso in esame infatti è diverso da quello esaminato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 30/07/2008 n. 20604, che ha escluso, in ossequio al principio di ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., che nel rito del lavoro (e nel procedimento per opposizione a decreto ingiuntivo per crediti di lavoro) il giudice possa concedere un nuovo termine per la notifica del ricorso in appello pur tempestivamente depositato, ma in relazione all’evenienza in cui la notifica non sia avvenuta o sia inesistente (e non solamente nulla);

7. parimenti, non induce a contrario avviso l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 253 del 10.10.2012 – che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 435 c.p.c., comma 2, osservando che essa era stata sollevata dalla Corte d’appello di Roma, in riferimento all’art. 111 Cost., comma 2, sull’errata premessa del carattere perentorio del termine ivi previsto per la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza, nel caso in cui resti comunque garantito un termine a comparire del convenuto sufficiente ad apprestare le proprie difese – in quanto tale arresto non ha imposto come lettura costituzionalmente obbligata quella secondo la quale il mancato rispetto di tale termine determini comunque l’improcedibilità dell’atto;

8. la declaratoria d’ improcedibilità dell’appello adottata dal giudice territoriale non risulta quindi conforme a diritto, essendo al più tenuta la Corte territoriale a differire l’udienza, a fronte del rilievo della lesione del diritto di difesa del convenuto costituito determinato dal mancato rispetto del termine (così, in relazione al rispetto del termine di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 60, Cass. n. 22780 del 09/11/2016);

9. il ricorso deve quindi essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, che dovrà procedere a nuovo esame, attenendosi ai principi sopra individuati;

10. al giudice designato competerà anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

PQM

accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolamentazione della spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Reggio Calabria.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2018

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