Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4562 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. I, 11/02/2022, (ud. 06/10/2021, dep. 11/02/2022), n.4562

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1919/2019 proposto da:

Ministero dell’interno, elettivamente domiciliato in Roma Via Dei

Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

W.Y.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1460/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositato il 30/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2021 dal Cons. FIDANZIA ANDREA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Bologna, con sentenza pubblicata il 30.05.2018, in accoglimento del ricorso proposto W.Y.L., cittadina cinese, e in riforma dell’ordinanza del 24/07/2015 del Tribunale di Bologna, ha accertato e dichiarato la responsabilità del Ministero dell’Interno per averla ingiustamente trattenuta presso il C.I.E. di Bologna dal 29/04/2010 al 16/07/2010, con conseguente condanna della predetta Amministrazione, a titolo di risarcimento del danno, al pagamento in favore della ricorrente, della somma di Euro 18.629,78 oltre interessi di legge.

Il giudice di secondo grado ha ritenuto che il trattenimento in oggetto presso il C.I.E. era stato illegittimo in quanto avvenuto in difetto dei presupposti fondanti la privazione della libertà personale – come accertato dal provvedimento passato in giudicato – con conseguente condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni, da liquidarsi con gli stessi parametri adottati dal legislatore in caso di ingiusta detenzione, ricorrendo un caso simile.

Ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno affidandolo a due motivi. L’intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. e la violazione delle norme processuali sulla legittimatio ad causam.

Espone il Ministero ricorrente che la Corte d’Appello ha erroneamente individuato quale legittimo contraddittore il Ministero dell’Interno, che deve invece ritenersi totalmente estraneo ad ogni ipotetica responsabilità nel trattenimento della straniera presso il C.I.E.. In proposito, se è pur vero che il trattenimento in oggetto era stato richiesto dalla Questura, tuttavia, lo stesso era stato disposto (in sede di convalida) e prorogato dall’Autorità Giudiziaria, con conseguente legittimazione passiva del Ministero della Giustizia.

2. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che, a norma della L. n. 260 del 1958, art. 4, “L’errore di identificazione della persona alla quale l’atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall’Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione della persona alla quale l’atto doveva essere notificato”.

La norma sopra citata consente, in sostanza, all’Avvocatura dello Stato di eccepire in giudizio l’erronea identificazione della controparte pubblica e di provvedere alla contemporanea indicazione di quella realmente competente, ma tale facoltà deve essere esercitata entro la prima udienza del giudizio di primo grado. In mancanza di una tale tempestiva eccezione resta, invece, preclusa sia la possibilità di far valere, in seguito, l’irrituale costituzione del rapporto giuridico processuale, sia il suo rilievo d’ufficio (vedi sul punto Cass. S.U. n. 30649/2018).

Peraltro, le Sezioni Unite di questa Corte hanno altresì chiarito che la L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4, deve ritenersi applicabile anche alla indicazione di organi di amministrazioni statali diverse (conf. Cass. n. 5314/2018; Cass. n. 8049/2019).

Nel caso di specie, l’Avvocatura dello Stato ha eccepito il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Interno solo nel giudizio di cassazione, dopo che nei primi due gradi del giudizio nessuna eccezione aveva sollevato difendendo il Ministero dell’Interno nel merito, quando era quindi già maturata la decadenza prevista dalla L. n. 260 del 1958, art. 4.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e art. 314 c.p.p..

Espone il Ministero ricorrente che il titolo di detenzione della cittadina cinese non era manifestamente invalido, con conseguente non configurabilità di un profilo di colpa in capo all’Amministrazione. In proposito, rileva che la straniera, al momento del controllo, era priva del passaporto e non era quindi possibile constatare la presenza di un permesso di soggiorno, al quale, peraltro, la stessa non ha neppure fatto cenno. In ogni caso, era stato comunque superato il periodo massimo di 90 giorni per permanere in uno stato Schengen diverso da quello per il quale si era ottenuto il permesso di soggiorno (il Portogallo).

Inoltre, il Giudice d’Appello ha errato nel ritenere applicabili le norme relative alla riparazione per l’ingiusta detenzione di cui agli artt. 314 e 315 c.p.p., anche perché il “trattenimento” è cosa diversa dalla “detenzione”, avendo i due istituti finalità diverse e non svolgendosi il trattenimento in strutture penitenziarie.

In mancanza di una normativa ad hoc, i danni da illegittimo trattenimento non sono autonomamente risarcibili.

Infine, nel caso di specie, la responsabilità del trattenimento nel C.I.E. è da attribuirsi in via esclusiva alla condotta della cittadina cinese.

4. Il motivo presenta profili di inammissibilità ed indeterminatezza.

Innanzitutto, il Ministero ricorrente deduce circostanze di fatto integranti mere censure di merito, essendo finalizzate alla ricostruzione di un fatto diverso da quello accertato dal giudice d’Appello.

In particolare, quanto al permesso di soggiorno e passaporto della cittadina cinese, il giudice di secondo grado (pag. 6 sentenza impugnata) ha evidenziato che “non risultavano, e comunque non sono menzionate nei predetti provvedimenti amministrativi di espulsione e trattenimento, ragioni di approfondimento istruttorio in ordine alla predetta documentazione”.

Inoltre, premesso che nella sentenza d’appello non vi à alcuna traccia delle circostanze di fatto allegate in ricorso, ovvero che, al momento del controllo, la cittadina straniera sarebbe stata priva del passaporto, né avrebbe fatto menzione di essere in possesso di permesso di soggiorno per risiedere in Portogallo, il Ministero non ha neppure dedotto di aver sottoposto tali questioni al giudice di merito.

Sulla dedotta violazione da parte del Ministero ricorrente degli artt. 2043, 2059 e 315 c.p.p., va osservato, in primo luogo, che è orientamento consolidato di questa Corte, a partire dalla sentenza delle S.U. n. 26972/2008 (vedi recentemente Cass. n. 29206/2019), che, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile – anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, purché ricorrano tre condizioni: (a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); (b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità.

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno accertato la lesione (per effetto del trattenimento presso il C.I.E.) di un diritto inviolabile costituzionalmente garantito, come la libertà personale, il cui sacrificio si è prolungato per 79 giorni.

Deve, inoltre, ritenersi corretta, ai fini delle concreta liquidazione del danno, l’applicazione in via analogica, al caso di specie, dell’art. 315 c.p.p., dettato per l’ingiusta detenzione, evidente essendo l’analogia tra “detenzione” penale e “trattenimento” strumentale alla esecuzione dell’espulsione, comportando entrambi la privazione della libertà personale.

Ne’, infine, è accoglibile la tesi dell’Avvocatura dello Stato secondo cui il danno sofferto dalla cittadina cinese non sarebbe risarcibile in conseguenza della mancanza di una normativa ad hoc relativa all’illegittimo trattenimento nel C.I.E..

Sul punto, il diritto al risarcimento danni è già stato da tempo riconosciuto dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo a partire della sentenza del 8 febbraio 2011 (ricorso n. 12921/04 – Seferovic c. Italia).

Non si liquidano le spese di lite, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 6 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

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