Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4560 del 25/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2010, (ud. 12/11/2009, dep. 25/02/2010), n.4560

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO ANCO S.a.s. di R.M., in persona del

curatore, elettivamente domiciliato in Roma, in via Britannia, n. 36,

nello studio dell’Avv. Gaetano Trezza rappresentato e difeso

dall’Avv. Balsamo Giuseppe, giusta procura a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate;

– intimata –

avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della

Campania, n. 32/49/04, depositata in data 15 luglio 2004;

sentita la relazione della causa svolta alla pubblica udienza del 12

novembre 2009 dal consigliere Dott. Dr. Pietro Campanile;

Lette le richieste del Procuratore Generale, in persona del Sostituto

Dott. Ennio Attilio Sepe, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

1.1 L’Ufficio delle Imposte Dirette di Castellammare di Stabia notificava al fallimento della s.a.s. ANCO di R.M. avviso di accertamento, relativo ad IRPEF dell’anno 1992, sostanzialmente fondato su accertamenti di natura bancaria dai quali era stata desunta omessa contabilizzazione, da parte del fallito – in quanto dedito alla professione di architetto – di compensi per complessive L. 575.392.000.

1.2. La curatela, in persona della dott.ssa L.M. proponeva ricorso, denunciando violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39 e rappresentando, in particolare, che il R. aveva spontaneamente messo a disposizione dei verbalizzanti i propri conti correnti, che non si riferivano all’attività professionale, il cui svolgimento effettivo, per altro, era stato contestato e non risultava adeguatamente accertato dalla polizia tributaria. Tali operazioni bancarie, pertanto, ben avrebbero potuto riguardare esigenze familiari o l’attività della società.

1.3 La Commissione tributaria provinciale adita, con decisione n. 287 depositata il 18 giugno 2002, rigettava il ricorso, rilevando essenzialmente che non era stata documentata la provenienza dei rilevanti accrediti bancari evidenziati dall’Ufficio.

1.4. La curatela, assistita dal Dott. C.A., proponeva appello, sostenendo l’invalidità dell’avviso di accertamento motivato “per relationem”; l’insussistenza di validi elementi probatori quanto all’esercizio della professione di architetto da parte del R., per altro assolto in sede penale, l’assenza di un dimostrato collegamento fra la stessa e le rilevate operazioni bancarie, l’incongruenza dell’accertamento, resa palese dallo stato di insolvenza che aveva determinato il fallimento. L’Ufficio di Castellammare di Stabia dell’Agenzia delle Entrate, oltre a contestare nel merito, la fondatezza delle censure mosse alla decisione impugnata, a fronte delle operazioni bancarie poste alla base dell’avviso di accertamento, eccepiva, in via pregiudiziale, che il difensore Dott. C.A. non era iscritto all’albo professionale sin dal 29 febbraio 2000, con conseguente inammissibilità dell’appello.

1.5 la Commissione tributaria regionale, con la decisione indicata in epigrafe, affermava in primo luogo “di non giovarsi dell’eccezione preliminare riguardante la carenza di legittimazione della delega al difensore del curatore della ANCO s.a.s. di R.M., anche se reputa la stessa eccezione pertinente e valida dal punto di vista giuridico”. Nel merito, riteneva infondate le censure mosse alla decisione impugnata, considerata conforme ai precetti contenuti nel D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39 e che, quindi, veniva confermata, con compensazione delle spese processuali.

1.5 Avverso la sentenza indicata in epigrafe, il difensore della curatela fallimentare, Avv. Giuseppe Balsamo, proponeva, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, ricorso per cassazione – notificato in data 27 giugno 2005 – affidato a cinque motivi ed illustrato con memoria.

1.2. Non si costituiva l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

2.1.a – Con il primo motivo si denuncia vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria, oltre alla violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 12 e 18 per aver la Commissione tributaria regionale affermato, da un lato, che l’eccezione dell’Ufficio circa la carenza di assistenza tecnica era “pertinente e valida” e, dall’altro, di non volersene “giovare”. Si è rilevato, in primo luogo, che il difensore era pienamente abilitato e che, in ogni caso, il curatore fallimentare possedeva la qualifica richiesta dalla legge per prestare assistenza tecnica.

2.1.b – Deve innanzitutto osservarsi come dalla documentazione prodotta si evinca chiaramente l’infondatezza – in punto di fatto – dell’eccezione formulata dall’Ufficio (per altro fondata su una interrogazione all’Anagrafe tributaria e non sulle risultanze dell’Albo professionale), il quanto il Dott. Ciaravolo, che aveva assistito il fallimento redigendo l’atto di appello (a tanto regolarmente autorizzato dal G.D.), risulta iscritto, come emerge dagli atti di causa (il cui esame è consentito dalla natura procedurale del vizio in esame) nell’albo dei dottori commercialisti.

Mette conto, in ogni caso, di stigmatizzare l’incongruità dell’affermazione, contenuta nella decisione impugnata, secondo cui, in materia di inammissibilità, un organo giudicante possa “non giovarsi” di un’eccezione ritenuta fondata. Nella specie, qualora il rilievo dell’Ufficio avesse trovato effettivo riscontro, l’inammissibilità sarebbe stata rilevabile tout court, in quanto la procedura dell’invito a nominare un difensore, pregiudiziale – secondo la lettura del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12 di Corte Cost. n. 189 del 2000 – rispetto alla declaratoria in questione, si ritiene applicabile soltanto quando la parte sia “ab initio” priva di assistenza tecnica, e non già quando siano emersi vizi nel conferimento del mandato al difensore (Cass., 4 aprile 2008, n. 8778).

Per completezza di esposizione si rileva l’infondatezza dell’argomentazione del ricorrente fondata sul possesso, in capo al curatore, della qualifica richiesta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12 dovendosi al riguardo applicare il principio secondo cui l’incompatibilità del curatore fallimentare a prestare assistenza tecnica nei giudizi che riguardano il fallimento, stabilita dall’art. 31, comma 3, L. Fall., deve intendersi riferita, per i giudizi tributari, non solo ai soggetti che rivestano la qualifica d’avvocato (o procuratore), ma anche agli appartenenti alle altre categorie professionali abilitate, a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12 a prestare assistenza tecnica in quei giudizi (Cass., 13 settembre 2004, n. 18419).

2.2 – Con il secondo motivo è stata denunciata violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39, art. 112 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, deducendosi, in sostanza che la Commissione tributaria regionale non avrebbe adeguatamente affrontato i temi sollevati con l’appello in materia di prova, operando, altresì, una sorta di inversione dell’onere della prova quanto alla riferibilità delle operazioni bancarie poste alla base dell’accertamento all’attività autonoma svolta dall’architetto M..

Nella decisione impugnata risultano esplicitate, in maniera sintetica, ma congrua, le ragioni del rigetto dell’appello, con il richiamo alla constatazione della completa omissione della contabilizzazione “in quanto i libri contabili erano privi di scritturazioni ed annotazioni”, nonchè alle ammissioni del M. “circa l’esistenza dei conti correnti esibiti spontaneamente, di compensi riguardanti l’attività professionale”.

Tali dati, neppure contestati, sono stati opportunamente valutati alla stregua delle richiamate disposizioni normative contenute nel D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e 39. Nè ricorre la denunciata violazione in relazione alla distribuzione dell’onere della prova. In proposito, deve richiamarsi il consolidato indirizzo secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 32 e 39 i dati raccolti dall’Ufficio in sede di accesso ai conti correnti bancari di un lavoratore autonomo consentono, in virtù della presunzione contenuta nella detta normativa, di imputare gli elementi da essi risultanti direttamente a ricavi dell’attività di lavoro svolta dal medesimo, salva la possibilità per il contribuente di provare, in maniera analitica (Cass., 13 giugno 2007, n. 13819), che determinati accrediti non costituiscono proventi della detta attività (Cass., 26 febbraio 2009, n. 4589; Cass., 11 gennaio 2008, n. 430; Cass. 7 maggio 2007, n. 10345).

In particolare, in presenza di accertamenti bancari, costituisce onere del contribuente dimostrare che i proventi “desumibili dalla movimentazione bancaria non debbono essere “recuperati a tassazione”, o perchè egli ne ha già “tenuto conto nelle dichiarazioni”, o perchè (Cass., n. 9573/2007; Cass., n. 1739/2007) “non sono fiscalmente rilevanti” in quanto “non si riferiscono ad operazioni imponibili”.

Nei casi previsti dalle norme contenute, per l’IVA, nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e, per l’imposta sul reddito, nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 (Cass.,20 giugno 2008 n. 16837), “l’onere dell’amministrazione di provare la sua pretesa è soddisfatto, per volontà di legge, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti bancari” per cui “resta … a carico del contribuente l’onere di provare il contrario, realizzandosi così la riferita ipotesi d’inversione dell’onere della prova” (Cass., nn. 14018/2007;

2450/2007; 19920/2006, 28342/2005) in quanto (Cass., 14 novembre 2003 n. 17243; Cass. 16 aprile 2003 n. 6073; Cass., 1 aprile 2003 n. 4987) “la presunzione di riferibilità dei movimenti bancari od operazioni imponibili si correla ad una valutazione del legislatore di rilevante probabilità (id quod plerumque accidit) che il contribuente si avvalga di tutti i conti di cui possa disporre per le rimesse ed i prelevamenti inerenti all’esercizio dell’attività”.

2.3 – La censura di omessa pronuncia, in relazione all’eccezione di giudicato esterno, fondata su una pronuncia relativa ad altro periodo d’imposta e sollevata “nel corso del giudizio dinanzi la Commissione tributaria regionale”, prospettata, nel terzo motivo di ricorso, anche come violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., art. 2909 c.c. e vizio di motivazione, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4, 3 e 5, è del tutto priva di fondamento. Al riguardo va richiamato il consolidato principio secondo cui il giudicato formatosi in merito ad una determinata annualità non può estendersi – a fronte della variabilità delle situazioni di fatto che determinano le poste attive e passive, stante anche l’irrilevanza dell’eventuale identità delle questioni di diritto – ad altre annualità (Cass., 22 febbraio 2008, n. 4607), soprattutto quando, come nel caso di specie, non vengano in considerazione elementi costitutivi della fattispecie a carattere (tendenzialmente) permanente (Cass., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916, in motivazione). Appare del tutto evidente, con riferimento al caso scrutinato, la variabilità, in relazione ai diversi periodi d’imposta, dei dati fattuali desunti dagli accertamenti di natura bancaria e, in generale, dei componenti positivi e negativi del reddito.

2.4.a. Con il quarto motivo di ricorso si censura, sotto vari profili, l’omessa pronuncia rispetto a specifiche prospettazioni effettuate con la proposizione dell’appello. Dall’esame della decisione di secondo grado emerge come i suddetti rilievi siano in parte infondati, in parte inammissibili, in quanto afferenti a questioni prive del carattere della decisività.

2.4.b – Quanto al profilo concernente la dedotta assenza di prove in merito allo svolgimento dell’attività di architetto, mette conto di ribadire che nella decisione impugnata è posto in rilievo che – pur essendo i conti correnti di pertinenza della S.a.s. Anco, in ogni caso facente capo all’arch. R.M. (di talchè non sussiste neppure il denunciato vizio di contraddittorietà, in parte qua, della motivazione), “il contribuente in sede di verifica ha ammesso l’esistenza dei conti correnti, esibiti spontaneamente, di compensi riguardanti l’attività professionale”, in relazione alla quale – aspetto neppure coltivato in sede di ricorso – avrebbe chiesto “il riconoscimento di costi e spese che mancano di qualsiasi giustificazione e prova”.

Tale richiamo a dichiarazioni di natura confessoria rese in sede di verifica (cfr. Cass., 26 maggio 2008, n. 13482; Cass., 25 maggio 2007, n. 12271), senz’altro significativo ai fini della riferibilità delle risultanze bancarie alla citata attività professionale, appare del tutto esaustivo rispetto alle richiamate deduzioni dell’appellante (anche per quanto attiene all’onere della prova).

Quanto ai restanti profili, devesi in primo luogo rilevare, quanto alla questione fondata sulla decisione di assoluzione in sede penale, che il giudicato penale, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., è privo di efficacia vincolante nel processo tributario (Cass., 14 maggio 2007, n. 10960), essendo per altro il ricorso carente – in tema di autosufficienza – in relazione a determinati punti emergenti dalla decisione invocata (e richiamata in termini generici), che avrebbero potuto essere valutati ai sensi dell’art. 116 c.p.c..

2.5 Paramenti infondato è l’ultimo motivo di ricorso, con il quale si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione dell’art. 24 Cost.; artt. 101, 112, 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. deducendosi, in sostanza, che si tratterebbe di avviso di accertamento nullo, in quanto effettuato per relationem e fondato su elementi probatori insufficienti, ragion per cui la decisione sarebbe stata assunta in contrasto con il principio dell’onere della prova.

Va rilevato preliminarmente che – essendo per altro l’atto in questione emesso e notificato in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 212 del 2000 – la motivazione dell’avviso di accertamento per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura, che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (Cass., 11 giugno 2009, n. 13489; Cass., 5 febbraio 2009, n. 2749; Cass., 9 aprile 2008, n. 9220).

Per il resto, trattasi di rilievi – soprattutto in tema di onere della prova – già proposti nei precedenti motivi, in relazione ai quali ci si riporta alle considerazioni in precedenza svolte.

3. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Non vi è luogo per pronunciare in merito alle spese processuali, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 5^ sezione civile – tributaria, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010

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