Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4559 del 22/02/2017

Cassazione civile, sez. trib., 22/02/2017, (ud. 01/06/2016, dep.22/02/2017),  n. 4559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliata per legge;

– ricorrente –

contro

MODERNA SALERNO s.c. a.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al

controricorso, dall’Avvocato Domenico Manzione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Napoli

n. 323/12/11, depositata il 19 luglio 2011.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

giugno 2016 dal Consigliere relatore Dott. Petitti Stefano;

sentito, per la ricorrente, l’Avvocato dello Stato Maria Letizia

Guidi;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Del Core Sergio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con istanza di rimborso del 27 marzo 2007, la MODERNA SALERNO s.c. a r.l. chiedeva la restituzione della somma di Euro 20.113,00, a titolo di quota parte del credito IVA di Euro 28.358,00 emergente dalla dichiarazione presentata per il periodo di imposta 2001, ma erroneamente non computata in diminuzione dall’imposta dovuta per il periodo di imposta 2002, atteso che nella dichiarazione presentata per tale anno era stato erroneamente esposto un credito per il minore importo di Euro 8.245,00.

Con sentenza depositata il 30 giugno 2009, la CTP di Salerno accoglieva il ricorso, disponendo il rimborso dell’IVA nella misura richiesta, sul rilievo che nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione dell’indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta o comunque, in difetto, dalle norme sul contenzioso tributario; regime, questo, che impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito dal diritto comune. Con la conseguenza che all’istituto del rimborso su istanza di parte deve riconoscersi carattere di regola generale.

Avverso questa sentenza l’Agenzia delle entrate proponeva appello e la CTR di Napoli, ricostituitosi il contraddittorio, lo rigettava.

Premesso che il credito richiesto a rimborso era relativo alla dichiarazione annuale IVA 2001, dalla quale risultava un credito di imposta di Euro 28.227,47 che non aveva formato oggetto di contestazione alcuna nè era stato rettificato dall’ufficio, e premesso altresì che dalla documentazione in atti emergeva che, nel riportare il credito per l’anno precedente nella dichiarazione annuale 2002, la contribuente aveva errato nell’indicare l’importo della imposta spettante relativamente a tale anno (Euro 8.245,00 in luogo di Euro 28.227,00), la CTR disattendeva il rilievo dell’appellante, secondo cui il diniego avrebbe avuto ad oggetto una richiesta relativa all’anno di imposta 1999, ritenendola fuorviante, atteso che il credito richiesto a rimborso scaturiva dalla dichiarazione dell’anno 2001, non riportato per l’anno successivo. Riteneva poi che il termine per la richiesta di rimborso decorresse dal momento in cui il contribuente si fosse avveduto dell’errore commesso, con la conseguenza che non poteva essere seguito l’assunto dell’appellante per il quale la istanza di rimborso avrebbe dovuto essere presentata nel termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2. Nella specie, posto che non vi era stato un pagamento non dovuto ma un errore nella richiesta di rimborso di una imposta pagata in eccesso, era dalla data dell’errore, con il limite dei dieci anni dalla presentazione della dichiarazione, che doveva ritenersi insorto il presupposto per la restituzione.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.

La contribuente ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo la ricorrente Agenzia denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c., il quale prevede che la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.

2. – Il ricorso è infondato, alla luce del principio per cui “in tema di IVA, l’esposizione di un credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi fa sì che non occorra, da parte del contribuente, al fine di ottenere il rimborso, alcun altro adempimento, dovendo solo attendere che l’Amministrazione finanziaria eserciti, sui dati esposti in dichiarazione, il potere – dovere di controllo secondo la procedura di liquidazione delle imposte ovvero, ricorrendone i presupposti, attraverso lo strumento della rettifica della dichiarazione. Ne consegue che il relativo credito del contribuente è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, mentre non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, in quanto l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso” (Cass. n. 20678 del 2014).

D’altra parte, non può non ricordarsi che “la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del D.P.R. n. 600 del 1973, nel testo applicabile ratione temporis, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Ciò in quanto: la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’Iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria; il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9, commi 7 e 8, nel testo vigente in quel tempo, non pone alcun limite temporale all’emendabilità e alla ritrattabile della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dal contribuente; un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale inedito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva (art. 53 Cost., comma 1) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (art. 97 Cost., comma 1)” (Cass., S.U., n. 17394 del 2002).

Nè appare pertinente il richiamo effettuato dalla difesa erariale alla sentenza n. 16477 del 2004, secondo cui “in tema di IVA, alla domanda di rimborso o restituzione del credito maturato dal contribuente si applica, in mancanza di una disciplina specifica posta dalla legislazione speciale in materia, la norma generale residuale di cui al D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16 (ora D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2), prevedente un termine biennale di decadenza per la presentazione dell’istanza, che non esclude tuttavia, una volta maturato il silenzio rifiuto, la decorrenza del termine decennale di prescrizione ex art. 2946 c.c.”. Invero, nel caso di specie, la richiesta di rimborso, secondo il non contestato accertamento della CTR, si riferisce ad un credito relativo alla dichiarazione annuale IVA 2001, dalla quale risultava un credito di imposta di Lire 54.656.000 (Euro 28,227,47); credito che non risultava essere stato contestato nè rettificato dall’Ufficio. La CTR ha quindi accertato che, nel riportare il credito per l’anno precedente nella dichiarazione annuale 2002, la contribuente aveva errato nell’indicare l’importo del credito di imposta spettante per tale anno, avendo indicato, in luogo dell’importo spettante di Euro 28.227,47, il minore importo di Euro 8.245,00, in tal modo finendo con il perdere il diritto di riportare all’anno successivo un credito legittimo e non contestato di Euro 20.113,00, pari all’importo richiesto a rimborso. In sostanza, la CTR ha rilevato che il credito richiesto a rimborso scaturiva dalla dichiarazione dell’anno 2001 non riportato nell’anno successivo per mero errore materiale di compilazione della dichiarazione annuale IVA.

Si era dunque in presenza di un credito di imposta non contestato dall’Ufficio e, in ipotesi, già desumibile dalle dichiarazioni presentate dalla contribuente, rispetto al quale non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, atteso che l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso.

3. – Il ricorso va quindi rigettato, con conseguente condanna dell’amministrazione al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, come liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.000,00 per compensi, oltre accessori di legge e spese forfetarie nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 1 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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