Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4555 del 22/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 22/02/2017, (ud. 01/06/2016, dep.22/02/2017),  n. 4555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, è

domiciliata per legge;

– ricorrente –

contro

GIARDINI s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del

controricorso, dall’Avvocato Flavio Camilli, presso lo studio del

quale in Roma, via Dora n. 1 (Studio Avvocato Rita Dottori), è

elettivamente domiciliata;

– controricrrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Umbria n. 35/05/09, depositata il 22 maggio 2009.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 1

giugno 2016 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti, per la ricorrente, l’Avvocato dello Stato Maria Letizia

Guidi e, per la controricorrente, l’Avvocato Flavio Camilli;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

GIARDINI s.p.a. impugnava gli atti di contestazione n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), con i quali l’Agenzia delle Entrate, ufficio di Perugia, aveva contestato l’indebita compensazione del credito IVA da essa effettuata nel primo e nel secondo trimestre degli anni 2002 e 2003.

L’adita CTP di Perugia rigettava il ricorso in ragione della mancata presentazione nei termini della dichiarazione di compensazione di cui al combinato disposto di cui del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis e del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8.

Avverso questa sentenza la contribuente proponeva appello.

La CTR di Perugia accoglieva il gravame, rilevando che negli atti di contestazione l’Ufficio aveva contestato la indebita compensazione del credito IVA ancorchè tale credito fosse esistente, sussistessero i requisiti previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis e non risultasse presentata istanza di compensazione, ed aveva ricondotto la mancata istanza alla inosservanza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, equiparando, sostanzialmente, l’avvenuta compensazione ad un tardivo pagamento, con applicazione della sanzione del 30%, prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, sulle somme dell’importo compensato e riconosciuto.

La CTR riteneva quindi che il D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, prevedendo la presentazione di una istanza per ottenere il rimborso del credito IVA infrannuale e di una dichiarazione per l’utilizzo del credito in compensazione, avesse introdotto due ipotesi distinte e che, in particolare, la dichiarazione di compensazione avesse natura meramente formale, sicchè la società aveva legittimamente usufruito di un credito di imposta regolarmente spettantele, salvo mancare all’adempimento “formale” della dichiarazione; atto che, comunque, non avrebbe inciso sulla legittimazione sostanziale all’utilizzo del credito. In sostanza, la società non aveva prodotto alcun danno all’erario e non aveva in alcun modo pregiudicato l’azione dell’Ufficio, atteso che tale compensazione periodica era destinata ad essere trasfusa nella dichiarazione annuale iscritta al rigo VL.23, consentendo in tal modo all’Ufficio di verificare la correttezza dell’operazione in sede di controllo automatizzato della dichiarazione annuale. Riteneva, pertanto, che, in assenza di specifiche sanzioni previste dal legislatore per il mancato invio della detta dichiarazione e stante il carattere formale della violazione, dovesse essere applicata la sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 11, che determinava nella misura minima edittale di 1.500,00 Euro, compensando tra le parti le spese del grado.

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.

GIARDINI s.p.a. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo la ricorrente Agenzia denuncia violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8 e del D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17, con conseguente violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 e falsa applicazione dell’art. 11 dello stesso decreto, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto che la violazione dell’obbligo di dichiarazione della compensazione fosse una violazione meramente formale, a differenza della mancata presentazione della istanza per il rimborso infrannuale.

Premesso che compensare un credito IVA con altri debiti tributari equivale ad ottenere un pagamento (rectius: un rimborso) del credito, costituendo la compensazione una modalità di pagamento, la ricorrente evidenzia come vi sia piena corrispondenza tra l’obbligo di presentazione dell’istanza di rimborso e la compensazione, che non a caso può essere effettuata previa dichiarazione contenente gli stessi dati che devono essere presenti nella istanza di rimborso. Conseguentemente, se la società non aveva il diritto di effettuare la compensazione dell’eccedenza IVA infrannuale per i primi due trimestri degli anni 2002 e 2003, l’indebita compensazione anticipata equivale a ritardato pagamento, sanzionabile ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13.

A conclusione del motivo l’Agenzia delle entrate formula il seguente quesito di diritto: “dica l’Ecc.ma Corte se – avendo il contribuente compensato ai sensi del D.P.R. n. 241 del 1997, art. 17, l’eccedenza IVA infraannuale relativa ai primi due trimestri degli esercizi 2002 e 2003 omettendo la dichiarazione contenente i dati richiesti per l’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, prescritta dal D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3 – incorra nella violazione del D.P.R. n. 542 del 1999, citato art. 8, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis e del D.P.R. n. 241 del 1997, art. 17 e, consequenzialmente, del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, dando al contempo falsa applicazione dell’art. 11 stesso D.Lgs., la sentenza della CTR la quale annulli gli atti di contestazione con i quali l’Ufficio ha irrogato la sanzione prevista per il ritardato pagamento (prevista) dal D.Lgs. n. 471 del 1997, citato art. 13, irrogata dall’ufficio finanziario sui presupposti che l’eccedenza IVA infrannuale non era compensabile in assenza della dichiarazione di cui al ripetuto del D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3 e che l’indebita utilizzazione anticipata in compensazione di un credito spettante equivaleva a un tardivo pagamento ritenendo che il contribuente aveva legittimamente fruito di un credito d’imposta spettante e che la mancanza della dichiarazione, che costituisce adempimento “formale”, non incide sulla legittimazione sostanziale dell’utilizzo del credito (rendendosi così applicabile la sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 11), quando invece, correttamente interpretato il D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, nel senso che la dichiarazione contenente i dati di cui all’istanza di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, costituisce il presupposto imprescindibile per l’utilizzo in compensazione dell’eccedenza IVA infrannuale, il non consentito utilizzo in compensazione in assenza della dichiarazione era da considerarsi equivalente al ritardato pagamento di imposte, sanzionabile, dunque, ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 e non già ai sensi dell’art. 11 stesso D.Lgs., atteso il carattere non formale della violazione, attinente all’esercizio di un diritto in assenza dei presupposti normativi (oltre che incidente sui poteri di controllo dell’amministrazione finanziaria)”.

2. – Il ricorso è fondato, alla luce del condiviso principio per cui “in tema d’IVA, l’errata utilizzazione della compensazione in sede di liquidazione periodica, in assenza dei relativi presupposti, non integra una violazione meramente formale, neppure ove il credito d’imposta risulti dovuto in sede di dichiarazione annuale e liquidazione finale, poichè comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste e determina il ritardato incasso erariale, con conseguente deficit di cassa, sia pure transitorio, nel periodo infrannuale, per cui è sanzionabile ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13” (Cass. n. 23755 del 2015).

Il D.Lgs. n. 241 del 1997, art. 17, stabilisce:

“I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva”.

Il D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, nel testo vigente ratione temporis, stabilisce: “I contribuenti in possesso dei requisiti indicati dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38-bis, comma 2, per la richiesta di rimborsi di imposta relativi a periodi inferiori all’anno, possono, in alternativa, effettuare la compensazione prevista dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 41, art. 17, per l’ammontare massimo corrispondente all’eccedenza detraibile del trimestre di riferimento…”.

Il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, a sua volta, prevede che “Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorchè non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato…” (comma l). “Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto” (comma 2).

Nella citata sentenza n. 23755 del 2015 si è, quindi, osservato che, alla luce del richiamato quadro normativo, la sanzione del 30% si applica anche nei casi di omesso, insufficiente o tardivo versamento dell’IVA dovuta in base alle liquidazioni periodiche, a titolo di acconto e a titolo di conguaglio risultante dalla dichiarazione annuale. In sintesi, “la base per la commisurazione consiste nella frazione di importo non versata alle rispettive scadenze”. Però le somme non versate in sede di liquidazione periodica o di liquidazione dell’acconto non possono confluire nel saldo finale per essere, nel caso di mancato pagamento in sede di dichiarazione annuale, nuovamente assoggettate a sanzione.

Perciò, non può esservi dubbio che ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione fiscale in assenza dei relativi presupposti si realizzi quel mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall’art. 13 citato (in tal senso, anche Cass. n. 18369 del 2012 e Cass. n. 4163 del 2014, in ipotesi di superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili; Cass. n. 8681 del 2011, in tema di crediti d’imposta per incremento occupazionale; Cass. n. 5897 del 2013, riguardo ai diritti doganali in conto di debito differito).

3. Consequenzialmente la violazione meramente formale non punibile deve, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5-bis, rispondere ai concorrenti requisiti di non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e di non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo. Ogni ritardato incasso integra una violazione sostanziale verso il fisco e giammai una violazione solo formale trovando la sanzione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, fondamento nei principi generali del diritto delle obbligazioni e, in particolare, nella mora ex re riguardo alla scadenza del termine per la prestazione “nummaria” da eseguirsi al domicilio del creditore (art. 1219 c.c.; v. Cass. n. 5897 del 2013, cit.). Il che porta ad escludere qualsiasi dubbio di tenuta costituzionale attesa la ratio di certezza e stabilità del gettito fiscale, che è sottesa alla normativa in esame, a nulla rilevando che il debito d’imposta possa trovare compensazione o elisione in una successiva fase del procedimento tributario, nella specie quella della dichiarazione annuale, atteso il transitorio deficit di cassa che si viene a creare per effetto dell’inadempimento delle parte tenuta al versamento periodico salvo conguaglio.

4. – Il ricorso va quindi accolto.

La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, senza rinvio, potendosi immediatamente rigettare la domanda introduttiva del contribuente non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Le spese dell’intero giudizio possono essere completamente compensate, in considerazione del fatto che la giurisprudenza di legittimità di cui si è fatta applicazione si è formata e consolidata posteriormente all’introduzione del giudizio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, rigetta la domanda introduttiva della contribuente; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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