Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4554 del 25/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2010, (ud. 28/10/2009, dep. 25/02/2010), n.4554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in

carica, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore in carica,

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO e

domiciliati presso la sua sede in Roma, in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrenti –

contro

IDEECO spa, rappresentata e difesa dall’avv. LAGOZZO MAURIZIO ed

elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. Rocco Agostino in

viale delle Milizie n. 34;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 11/09/05, depositata il 23 febbraio 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28

ottobre 2009 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;

Uditi l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per i ricorrenti e

l’avv. Maurizio Logozzo per la IDRECO spa;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La IDRECO spa, esercente attività di costruzione e installazione di impianti di depurazione acque e di impianti industriali in genere, impugnò l’avviso di accertamento con il quale venivano recuperati costi non deducibili e conseguentemente rettificato il reddito imponibile ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR per il periodo d’imposta 1997, all’esito di una verifica generale della Guardia di finanza, documentata dal processo verbale di constatazione del 21 maggio 2001. Secondo l’ufficio, i compensi per commissione, aumentanti a L. 2.391.039.950, erogati alla Walker Management Ltd di (OMISSIS), località definita nell’atto paradiso fiscale, erano diretti a promuovere lo sviluppo di attività della società contribuente acquisendo connesse mediante dazioni illecite di denaro a terzi insider nelle strutture dei committenti, come si evinceva da una lettera del 7 giugno 1999 della Walzer Ltd., trascritta nel p.v.c., riferita ad una commessa da acquisire in (OMISSIS), in competizione con una società tedesca, presso la Komotiki Combide Power Station; si sarebbe trattato quindi di tangenti camuffate con fatture fittizie, e perciò non deducibili.

La Commissione tributaria provinciale di Pavia accoglieva il ricorso.

L’Agenzia delle entrate impugnava la decisione, deducendo tra l’altro come la cospicua entità delle somme erogate fosse “sproporzionata ad un’attività di mera consulenza, mentre sarebbe toccato alla contribuente dimostrare la liceità e l’economicità dell’attività svolta dalla società off shore”.

Con la sentenza in epigrafe la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello. Riteneva infatti che l’estrapolazione di elementi di sospetto dalla lettera del giugno 1997 della Walker Management Ltd. Fosse arbitraria nella sua proiezione sul periodo d’imposta 1997. Per quanto la lettera fosse “allarmante”, atteso che ne emergeva una competizione per l’acquisizione di un affare affidata ad armi diverse dal puro confronto di prezzi e qualità”, essa tuttavia si riferiva ad una specifica connessa da acquisire in (OMISSIS) in gara con un’agguerrita società tedesca, la Termokimik, nel 1999, mentre non era stato “fornito dalla Guardia di finanza o dall’Ufficio alcun elemento che possa sorreggere la presunzione che anche nel 1997, o già nel 1997, la contribuente si fosse trovata a dovere o volere fornire a Walker Management Ltd. Provviste per guadagnare illecitamente il favore di qualche dirigente industriale o pubblico amministratore straniero e conseguire in tal modo una o più commesse”. Posto che “le presunzioni, per poter funzionare come fonti di prova, devono essere gravi, precise e concordanti”, la congettura che si vorrebbe trarre dalla lettera del 1999, “sebbene appaia verosimile a chi coltivi una visione disincantata e realistica del mondo degli affari non soltanto nel nostro Paese, non possiede le caratteristiche che possano elevarla al rango di presunzione giuridicamente valida, tanto più che la promozione d’affari per conto altrui, o la mediazione, costituiscono pratiche del tutto legittime, addirittura previste dal codice civile, nè condannabili per il solo fatto di essere svolte da soggetti domiciliati in cosiddetti paradisi fiscali”.

Nei confronti della decisione il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione sulla base di un motivo.

La società contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, (T.U.I.R.), nonchè dell’art. 2697 c.c., e dell’art. 115 c.p.c., emessa e carente motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”, l’amministrazione ricorrente deduce che, a fronte della contestata utilizzazione del consulente estero per corrispondere corrispettivi illeciti a terzi per ottenere e concludere contratti e garantirsi il buon andamento degli stessi, non avendo la società contribuente fornito alcuna prova, tanto nella fase amministrativa che in quella giudiziale, delle prestazioni e dei servizi effettivamente ricevuti, nè del collegamento direttore funzionale con le attività produttive, l’ufficio finanziari aveva recuperato a tassazione quei costi, non risultando la loro inerenza ai redditi prodotti. E censura la sentenza perchè, in violazione dei principi in materia di onere della prova e delle norme che disciplinano la deducibilità dei costi in sede di determinazione del reddito della società, avrebbe erroneamente dichiarato l’illegittimità dell’operato dell’ufficio per non aver ottemperato all’onere probatorio su di esso gravante, con la conseguenza che i costi dovevano essere ritenuti rilevanti sotto il profilo della determinazione del reddito d’impresa. Da una parte, infatti, l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo a oneri e costi deducibili, ivi compresi i requisiti dell’inerenza e dell’imputazione ad attività produttive di ricavi, non incombe all’amministrazione finanziaria ma al contribuente che invoca la deducibilità. Dall’altra, i costi esposti dalle società contribuenti possono essere dedotti solo ove siano funzionalmente e direttamente collegati con le attività produttive dell’impresa.

E gli esborsi effettuati per fini illeciti, sia pure interferenti o connessi con l’attività dell’impresa, non concorrono, direttamente o indirettamente, alla formazione del reddito imponibile.

Va anzitutto rigettata l’eccezione, sollevata nel controricorso, di inammissibilità del motivo di ricorso nella parte in cui denuncia vizio di emessa o carente motivazione della sentenza per mancata indicazione del fatto controverso, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., in quanto la disposizione, introdotta con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, trova applicazione ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006, laddove la sentenza impugnata risulta pubblicata il 23 febbraio 2005.

Il ricorso è fondato.

Costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui, nell’accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’onere della prova dei presupposti dei costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del D.P.R. n. 597 del 1973, e del D.P.R. n. 598 del 1973, che del T.U.I.R. del 1986, incombe al contribuente (in proposito, ex multis, Cass. n. 11514 del 2001, n. 11240 del 2002, n. 4345 del 2003). E nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi “esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, e la rettifica di queste ultime, anche se non ricorrano irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi degli atti giuridici compiuti nell’esercizio dell’impresa, con negazione della deducubilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa” (così Cass. n. 11240 del 2002 e n. 12813 del 2000). L’onere della prova dell’inerenza dei costi gravante sul contribuente, pertanto, in presenza di argomentata contestazione, ha ad oggetto anche la congruità di quei costi.

Nella specie, non è determinante nè decisiva in sè l’ipotizzata destinazione illecita delle risorse costituenti il costo dichiarato dalla società contribuente, ma la contestata sproporzione delle somme erogate rispetto ad una mera attività di consulenza, e la mancata prova da parte della contribuente, in presenza di un siffatto rilievo, della loro adeguatezza, vale a dire del carattere economico delle attività svolte.

Il “fatto noto” costituito dal contenuto della lettera del giugno 1999 della Walker Ltd. indirizzata alla contribuente, missiva con la quale, in relazione ad una connessa da realizzare in (OMISSIS), si chiedeva la maggiorazione della percentuale di commissione per un contratto per destinarla in parte a favore di un terzo, è stato legittimamente posto in relazione dall’ufficio con la sproporzione, rilevata per il 1997, delle semine versate alla Walker rispetto alla remunerazione di un’attività di consulenza. E ciò per la pertinenza di tale elemento rispetto all’oggetto dell’accertamento, scaturito dal contesto di una verifica concernente, come si legge nel controricorso, periodi d’imposta compresi tra l’anno 1995 all’anno 2000, verifica dalla quale era emersa la continuità dei rapporti tra la società estera e la contribuente, regolati da un’unica fonte, costituita – così il controricorso – dal contratto di rappresentanza del 26 settembre 1994 “da cui si evince la molteplicità degli incarichi conferiti e le modalità di corresponsione delle commissioni, subordinate alla clausola salvo buon fine” (sull’idoneità di elementi indizianti tratti da periodi d’imposta diversi da quello oggetto dell’accertamento, si veda, ad esempio, Cass. n. 10656 del 2001).

La pronuncia impugnata, per l’erronea enunciazione della regola giuridica, si rivela meritevole della censura ad essa rivolta.

Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010

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