Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4552 del 22/02/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 4552 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA
sul ricorso 1779-2007 proposto da:
MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, in persona del
Ministro pro

tempore,

rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui
Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;
– ricorrente contro

2012
4552

DEL GIUDICE PASQUALE;

intimato

e sul ricorso 7118-2007 proposto da:
DEL GIUDICE PASQUALE, elettivamente domiciliato in

Data pubblicazione: 22/02/2013

ROMA, VIA DEI SETTE METRI 5, presso lo studio
dell’avvocato CUTOLO LUCA, rappresentato e difeso
dall’avvocato ROMANO LUCIANO, giusta delega in atti;
– controicorrente e ricorrente incidentale contro
MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E

– intimato avverso la sentenza n. 7888/2005 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 31/12/2005 R.G.N. 714/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/12/2012 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’Avvocato VARONE STEE’ANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE che ha concluso per
il rigetto del ricorso principale, assorbito il
ricorso incidentale.

RICERCA

SVOLGIMENTO DEL FATTO MOTI V4 DELLA DECISIONE

11 MIUR ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di
Napoli n. 7888/2005, con la quale veniva rigettato l’appello proposto dal medesimo
Ministero e confermata la sentenza del Tribunale di Noia che aveva riconosciuto a
Del Giudice Pasquale l’intera anzianità maturata alla data del 31 dicembre 1999,
condannando il Ministero al pagamento delle conseguenti differe e retributive.
Il MIUR prospetta un motivo di ricorso;’
o a violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 8, comma 2, della legge 3 maggio 1999, n. 124, come interpretato
dall’art.1, comma 218 della legge n. 266/2005 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3,
cpc., assumendo l’erroneità della decisione impugnata in ragione delle suddette
disposizioni.
Resiste con controricorso e ricorso incidentale il Del Giudice prospettando la
violazione e falsa applicazione dell’art. 331 cpc, in relazione all’art. 360, cornma 1, n.
3, cpc . Con lo stesso, deduce che poiché l’appello sarebbe stato notificato dal MIUR
solo ad esso lavoratore e non anche all’Ufficio scolastico regionale della Campania
nonché alla Direzione didattica statale Domenico Savio di Terzigno, lo stesso sarebbe
stato inammissibile.
In via preliminare, va disposta la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso
la medesima sentenza.
Va esaminato, preliminarmente, il motivo del ricorso incidentale.
Lo stesso non è fondato. Ed infatti non è ravvisabile, nella specie, un’ipotesi di
litisconsorzio necessario da cui far discendere la necessità della notificazione del ricorso
anche agli organi periferici dell’Amministrazione scolastica.
Il motivo del ricorso principale è fondato.
Con il ricorso per cassazione si chiede l’annullamento della sentenza di appello
che ha accertato il diritto del lavoratore al riconoscimento integrale dell’anzianità
maturata presso l’ente locale di provenienza da parte del Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca (MIUR).
La medesima questione è stata già decisa da Cass. 12 ottobre 2011, n. 20980 e
Cass. 14 ottobre 2011, n. 21282, cui si rinvia per una motivazione più analitica. In
estrema sintesi, deve rilevarsi quanto segue.
La controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale
amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola trasferito dagli enti locali al
Ministero in base all’art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124.
Tale norma fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente,
l’applicazione che della stessa venne data dal decreto del Ministro della pubblica
istruzione 5 aprile 2001, che ‘recepì’ l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti
delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000. Le controversie giudiziarie
riguardarono in particolare la possibilità di incidere, su di una norma di rango
legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito in decreto ministeriale. La
giurisprudenza si orientò in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi
(ex plurimis, Cfr. Cass., 17 febbraio 2005, n. 3224; 4 marzo 2005, n. 4722, nonché 27
settembre 2005, n. 18829; Da ultimo, sul punto, cfr. Cass., 14 marzo 2012, n. 4045).
Intervenne il legislatore, dettando il comma 218 dell’art. i della legge n. 266 del
2005 (finanziaria del 2006), che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e
del decreto ministeriale. Il legislatore elevò, quindi, a rango di legge la previsione
dell’autonomia collettiva.
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Si sostenne, da un lato, che tale norma non avesse efficacia retroattiva e,
dall’altro, che se dotata di efficacia retroattiva, fosse incostituzionale sotto molteplici
profili. Entrambe le posizioni sono state giudicate non fondate. L’efficacia retroattiva è
stata affermata da questa Corte (per tutte, S.U., 8 agosto 2011, n. 17076) e dalla Corte
costituzionale (sentenza n. 234 del 2007). L’incostituzionalità è stata esclusa in quattro
interventi del giudice delle leggi (Corte cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008;
n. 311 del 2009). Per tali motivi, ricorsi di contenuto analogo a quello qui considerato,
sono stati respinti (cfr. per tutte, Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).
E’ poi intervenuta la Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande sezione)
con la sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10, Scattolon), emessa su
domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del
Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE.
La Corte ha risposto a quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia. La
prima consisteva nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dall’art. 8 della
legge 124 del 1999, costituisca un ‘trasferimento d’impresa’ ai sensi della normativa
dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori. La soluzione è
affermativa (“La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro,
del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le
scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza
amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del
Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso
di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto
personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di
lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro”).
Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: -se la
continuità del rapporto di cui all’art. 3, n. l della 77/187 deve essere interpretata nel
senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario
all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito
anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente (seconda questione); -se tra i diritti
del lavoratore che si trasferiscono al cessionario rientrano anche posizioni di vantaggio
conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa
risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di
carattere economico (terza questione).
Il dispositivo della decisione è: “quando un trasferimento ai sensi della direttiva
77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo
vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo
contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva
osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente
precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato
riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella
maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione
della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. È compito del giudice
del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si
sia verificato un siffatto peggioramento retributivo”.
Il giudice nazionale è quindi chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a
causa del mancato riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente
cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un ‘peggioramento retributivo’.
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In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di
trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al trasferimento
degli ATA si applica non solo il n. I dell’art. 3 della direttiva, ma anche il n. 2,
disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in
vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il
cessionario (come nel caso in esame). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data
del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente,
ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò
premesso, la Corte sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità,
devono attenersi allo ‘scopo della direttiva’, consistente “nell’impedire che i lavoratori
coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il
solo fatto del trasferimento” (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la
direttiva “ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo
fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole
rispetto a quella di cui godevano precedentemente”).
Quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si è
in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice del rinvio deve
osservare i seguenti criteri.
Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le
condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore
trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa “posizione sfavorevole rispetto a quella di
cui godevano prima del trasferimento”. Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano
eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio
presso il cessionario (n. 77).
Quanto alle modalità, si deve trattare di ‘peggioramento retributivo sostanziale’
(così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere ‘globale’ (n. 76:
“condizioni globalmente meno favorevoli”; n. 82: “posizione globalmente
sfavorevole”), quindi non limitato allo specifico istituto.
Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto
‘all’atto del trasferimento’ (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: “all’atto della
determinazione della loro posizione retributiva di partenza”).
La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla
conformità della disciplina italiana e specificamente del comma 218 dell’art. 1 della
finanziaria 2006, all’art. 6, n. 2 TUE in combinato disposto con gli artt. 6 della CEDU e
46, 47 e 52 n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a
Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona.
La Corte, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo (sentenza Agrati), ha statuito che “vista la risposta data alla
seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa
nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i
principi” di cui alle norme su indicate.
In sintesi, pertanto, la Corte di giustizia ha ritenuto che: si verte nell’ambito del
diritto dell’Unione europea; di conseguenza, la normativa nazionale in esame deve
essere interpretata alla luce del diritto dell’Unione europea; l’interpretazione orientata
alla luce del diritto europeo comporta che il passaggio alle dipendenze dello Stato non
può determinare per il lavoratore condizioni meno favorevoli; la relativa verifica spetta
al giudice nazionale; ulteriore conseguenza di questa impostazione è l’assorbimento del
problema della conformità della norma in questione all’art. 6 del TUE in combinato
disposto con le norme della CEDU e della Carta di Nizza, come recepite nel Trattato di
5

Lisbona, problema esaminato dalla sentenza Agrati della CEDU, precedente alla
sentenza della Corte di giustizia e da quest’ultima considerata.
La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea incide sul presente
giudizio. In base agli artt. Il e 117, primo comma, della Costituzione, il giudice
nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata
applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli
limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero
dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del
controllo di costituzionalità (cfr, per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170
del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonché, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n.
227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato
riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia
(emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino
norme europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389
del 1989 e n. 168 del 1991, nonché, sull’onere di interpretazione conforme al diritto
dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).
Tutto ciò implica che la decisione della presente controversia deve avvenire sulla
base della suindicata interpretazione della normativa nazionale orientata dal diritto
europeo, come si è già messo in evidenza nelle sentenze nn. 20980 e 21282 del 2011,
nonché n. 12051 del 2012.
L’interpretazione della norma che regola la materia in senso conforme al diritto
europeo, esclude la possibilità di disapplicarla o di sottoporla nuovamente al giudizio
della Corte di giustizia dell’Unione europea, che si è espressa, su tutti i profili della sua
compatibilità con il diritto europeo, compreso quello, posto con il quarto quesito dal
Tribunale di Venezia, valutato dalla CGUE considerando espressamente anche il
giudizio e gli argomenti formulati dalla Corte EDU nella sentenza Agrati. La pronuncia
della CGUE si colloca in ambiente normativo già caratterizzato dall’entrata in vigore
del Trattato di Lisbona ed è stata seguita dalla sentenza 24 aprile 2012, nella causa C571.10, Serve! Kamberaj e. Istituto per l’edilizia sociale della provincia autonoma di
Bolzano e altri, che si è espressa sul rapporto tra norme nazionali e convenzione
europea affermando: “il rinvio operato dall’art. 6, par. 3, TUE alla CEDU non impone al
giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta
convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest’ultima, disapplicando la
norma di diritto nazionale in contrasto con essa”. Analogamente, la Corte costituzionale
italiana ha escluso che l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona abbia comportato un
mutamento della collocazione delle disposizioni della CEDU nel sistema delle fonti
(Corte cost. n. 80 del 2011, Cass. sez. un., n. 9595 del 2012), sicché il giudice comune
non ha il potere di disapplicare direttamente norme interne ritenendole contrastanti con
la convenzione. 11 rimedio in questi casi è costituito dal giudizio di legittimità
costituzionale.
Nel caso in esame non è ammissibile una reiterazione della questione di
legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione
ai vincoli derivanti dalla CEDU. La Corte costituzionale italiana, su sollecitazione di
questa Corte di cassazione, si è già espressa sulla specifica questione con la decisione n.
311 del 2009, che, sebbene antecedente alla sentenza Agrati, considera i medesimi
problemi, prendendo posizione non solo sulla sussistenza nel caso in esame dei ‘motivi
imperativi di interesse generale’, ma anche, più in generale, sulla competenza a
valutarli. Peraltro, rispetto al momento in cui è stata esaminata dalla Corte
costituzionale, la questione si è fortemente attenuata anche in termini di rilevanza, in
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conseguenza della interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea fornita dalla
Corte di giustizia.
Tale interpretazione comporta, nel caso in esame, l’accoglimento del ricorso di
parte ricorrente con rinvio al giudice di merito, il quale dovrà verificare, in concreto, il
rispetto della normativa come interpretata dalla Corte di giustizia europea.
PQM
La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso incidentale. Accoglie il ricorso
principale. Cassa e rinvia la sentenza impugnata, anche per il regolamento delle spese
del presente giudizio, alla Corte d’appello di Napoli.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 dicembre 2012.

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