Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4551 del 08/03/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4551 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 224-2014 proposto da:
DE ANGELIS FRANCO DNGFNC53P30F937B, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PAOLO EMILIO 57, presso lo studio
dell’avvocato MARCELLO GRECO, che lo rappresenta e difende
giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro
COMUNE di LATINA 00097020598, in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 400
INT. 2/A, presso lo studio dell’avvocato SILVIA SCOPELLITI,
rappresentato e difeso dall’avvocato CESARE MANCHISI giusta
procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 08/03/2016

avverso la sentenza n. 5822/2013 della CORTE D’APPELLO di
ROMA, depositata il 24/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/01/2016 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;
udito l’Avvocato Greco Marcello difensore del ricorrente che si riporta

udito l’Avvocato Cesare Manchisi difensore del controricorrente che si
riporta agli scritti.

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 13
gennaio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente
relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
” Il Tribunale di Latina rigettava la domanda proposta da De
Angelis Franco nei confronti del Comune di Latina, di cui il ricorrente
era dipendente, intesa al riconoscimento del suo diritto: ad essere
inquadrato nella categoria C con decorrenza dal 1° gennaio 2005; a
percepire l’indennità sostitutiva di mensa prevista dal CCNL
autoferrotranvieri da includersi nell’assegno

ad personam previsto

dall’accordo aziendale dell’11.10.2001; alla corresponsione di detto
assegno, nella misura determinata al 1° gennaio 2005, a prescindere da
successivi miglioramenti economici previsti in relazione al nuovo
inquadramento.
Tale decisione veniva riformata a seguito di gravame interposto dal
De Angelis dalla Corte di Appello di Roma che, con sentenza del 24
giugno 2013, dichiarava il diritto del lavoratore alla inclusione della
indennità sostitutiva di mensa nel calcolo per la determinazione, alla
data del 1 ° 12005, dell’assegno personale riassorbibile nei successivi
incrementi retributivi con condanna del Comune a corrispondere le
relative differenze sui ratei maturati, oltre accessori.
Ric. 2014 n. 00224 sez. ML ud. 13-01-2016
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agli scritti;

Premetteva la Corte, per quel che ancora rileva in questa sede, che
con deliberazione n.133 del 29 luglio 2003 il Consiglio Comunale del
Comune di Latina aveva confermato la gestione diretta del servizio di
trasporto pubblico fino al 31 dicembre 2004 prevedendo, per il
periodo successivo, l’affidamento del servizio a privato con facoltà per

del Comune o il passaggio alla dipendenze del gestore privato e
stabilendo l’applicabilità, a coloro che avrebbero optato per rimanere
alle dipendenze dell’ente territoriale, del CCNL Enti Locali con
reinquadramento giuridico in categorie equivalenti al livello ed al
profilo posseduto. Osservava, quindi, la Corte che per il De Angelis si
era verificato, in seguito all’opzione del predetto per il mantenimento
del rapporto alle dipendenze del Comune di Latina, una situazione
assimilabile, pur nell’immutabilità del soggetto datore di lavoro, a
quella del passaggio alle dipendenze di un diverso datore di lavoro,
atteso che i dipendenti optanti per la prosecuzione avevano visto
modificata la propria posizione all’interno dell’ente (con assegnazione a
settori diversi da quelli di provenienza), con contestuale novazione del
contenuto dei contratti individuali, non più disciplinati dalla
contrattazione del settore privato. Rilevava, in conseguenza di ciò, che
era applicabile il trattamento giuridico ed economico, compreso quello
accessorio, previsto dal contratto collettivo di comparto
dell’amministrazione, non giustificandosi diversità di trattamento (salvi
gli assegni ad personam attribuiti al fine di rispettare il divieto di refortnalio

in perns del trattamento economico acquisito) tra dipendenti dello
stesso ente, a seconda della provenienza. Ed infatti la diversificazione
del trattamento economico richiedeva, invero, una specifica base
normativa, in difetto della quale, l’amministrazione, ai sensi dell’art. 45
comma 2, d. Lgs. 165/2001, doveva garantire ai propri dipendenti la
Ric. 2014 n. 00224 sez. ML – ud. 13-01-2016
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il personale di optare tra il mantenimento del rapporto alle dipendenze

parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori
a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi.
Evidenziava: che per il riassorbimento alla contrattazione collettiva
era demandata unicamente la definizione delle modalità applicative di
operatività del relativo principio, onde, in difetto di specifiche

disposizioni legislative in materia, essendo comunque preclusa alla
contrattazione collettiva la possibilità di escludere l’operatività del
principio del riassorbimento; che, nello specifico, il riassorbimento non
poteva essere escluso dalla contrattazione decentrata svoltasi, peraltro,
su materia non espressamente delegata dalla contrattazione collettiva
nazionale; che, ad ogni buon conto, il contenuto del verbale di
contrattazione dell’11 .10.2011 invocato e dei successivi atti deliberativi
non consentiva di ritenere che le parti avessero definitivamente
concordato la non riassorbibilità, in quanto la proposta da approvare
da parte della Giunta municipale doveva, comunque, passare alla
ratifica del Consiglio comunale ( che, poi, aveva affermato la
riassorbibilità dell’assegno).
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il De Angelis
affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il Comune.
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa
applicazione degli artt. 2 d. I,gs. 165/2001 e 12 Preleggi ( ai sensi
dell’art. 360, n. 3, c.p.c.), rilevandosi che la pronuncia di questa Corte
richiamata nella decisione impugnata in nome della nomofilachia era
incentrata su diversi aspetti esulanti dalla questione all’esame e che il
comma 3 0 dell’art. 2 del d.Lgs. 165/2001 era stato interpretato in
violazione dei criteri ermeneutici sanciti dall’art. 12 Preleggi che
attribuisce priorità all’interpretazione letterale,
Ric. 2014 n. 00224 sez. ML – ud. 13-01-2016
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e quest’ultima nello

disposizioni dell’autonomia collettiva, trovavano applicazione le

specifico era sufficiente ad individuarne in modo chiaro ed univoco il
significato e la connessa portata precettiva, non rendendosi necessario
il ricorso al criterio errneneutico sussidiario costituito dalla ricerca della
,

`mens legis”. Si evidenzia che il criterio interpretativo da seguire

impone di riconoscere la necessità dell’apporto della contrattazione

interpretazione fornita dal giudice d’appello sovrappone al significato
letterale un diverso meccanismo ritenuto più confacente laddove
ravvisa nella norma un principio secondo il quale occorre ricercare le
modalità operative nelle “disposizioni legislative”.
Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione
degli artt. 1326 e 1355 c.c. ( ex art. 360, n. 3, c.p.c.), per avere la Corte
di merito ritenuto legittimo l’operato datoriale che, con il prevedere la
ratifica da parte del Consiglio Comunale della decisione della Giunta
Municipale di ritenere la non riassorbibilità dell’assegno, aveva finito
con l’introdurre unilateralmente una condizione meramente
potestativa, come tale del tutto illegittima. Viene precisato che, ove
fosse stato configurabile un “accordo proposta” nella Delibera di
Giunta, la modifica unilaterale di detto accordo da parte del Consiglio
avrebbe dovuto essere oggetto di una nuova negoziazione collettiva .
Infine, con l’ultimo motivo, viene denunciato omesso esame di un
fatto decisivo e controverso (in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.), in
quanto la Corte di appello aveva omesso ogni valutazione sulla
circostanza che la delibera consiliare aveva apportato una
modificazione ad un accordo già pienamente formatosi con la delibera
della Giunta Municipale.
Il primo motivo è infondato.
Si osserva che il ricorrente sostiene l’illegittimità della riassorbibilità
del maturato economico e la sussistenza del suo diritto alla
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collettiva per l’operatività del riassorbimento, sostenendosi che la

corresponsione di qualsiasi aumento stipendiale e contrattuale a
qualsiasi titolo corrisposto in seguito all’applicazione di sopravvenuti
rinnovi contrattuali ai dipendenti degli Enti locali a decorrere
dall’1 :1.2005.
L’assunto non è condivisibile.

cui interpretazione si assumono violati i criteri ermeneutici – il 30
comma dell’art 2 d. Lgs. 165/2001 — che, nella parte rilevante ai fini del
presente giudizio, dispone: “I trattamenti economici più favorevoli in
godimento sono riassorbiti con le modalità e nelle misure previste dai
contratti collettivi e i risparmi di spesa che ne conseguono
incrementano le risorse disponibili per la contrattazione collettiva”.
Dalla lettura della disposizione emerge la correttezza
dell’interpretazione letterale fornitane dalla Corte di appello, posto che
quest’ultima ha ritenuto palese il significato delle parole secondo la
loro connessione, e la sua portata precettiva, nel senso di un principio
di carattere generale dettato dalla norma, di riassorbimento dei
trattamenti economici più favorevoli, demandandosi alla
contrattazione collettiva solo la definizione delle modalità e della
misura del detto riassorbimento. Alla luce di ciò deve semmai ritenersi
che il criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mediante
l’esame complessivo del testo, della “mens legis” piuttosto che
utilizzato dalla Corte territoriale, sia sollecitato impropriamente dallo
stesso ricorrente per pervenire al risultato di modificare la volontà della
norma come inequivocabilmente espressa dal legislatore in modo
sicuramente non ambiguo.
La interpretazione fornita dalla Corte d’appello è, peraltro, avallata
dalla giurisprudenza di legittimità, essendo consolidato il condiviso
orientamento secondo cui, nell’ambito del lavoro pubblico, nel caso di
Ric. 2014 n. 00224 sez. ML – ud. 13-01-2016
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Va, in primo luogo, richiamato il testo della norma in relazione alla

passaggio da una Amministrazione ad un’altra è assicurata – in
mancanza di disposizioni speciali – la continuità giuridica del rapporto
di lavoro e il mantenimento del trattamento economico, il quale, ove
risulti superiore a quello spettante presso l’ente di destinazione, opera
nell’ambito della regola del riassorbimento degli assegni ad personam

trattamento economico acquisito, in occasione dei miglioramenti di
inquadramento e di trattamento economico riconosciuti per effetto del
trasferimento, secondo quanto risulta argomentando dal digs. n. 29
del 1993, art. 34, come sostituito dal d.Lgs. n. 80 del 1998, art. 19, (ora
d.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31), che richiama le regole dettate dall’art.
2112 c.c., (Cass. 16 giugno 2005, n. 12956; Cass. 13 aprile 2006, n.
8693; Cass. 11 aprile 2006, n. 8389; Cass. 8 maggio 2006, n. 10449;
Cass. 8 gennaio 2007, n. 55; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2265; Cass. 29
marzo 2010, n. 7520; Cass. 19 novembre 2010, n. 23474; Cass. 2 marzo
2011,n. 5097).
Non è, poi, dubitabile che il criterio generale del riassorbimento
debba operare in riferimento ai miglioramenti del trattamento
economico complessivo dei dipendenti del Amministrazione di arrivo
e non con riferimento a singole voci che compongono tale trattamento
economico, in quanto solo il primo sistema di riassorbimento, oltre a
non essere in contrasto con le disposizioni legislative di cui finora si è
detto, è conforme al principio di cui all’art. 36 Cost., come
costantemente interpretato dalla giurisprudenza costituzionale, nel
senso che il principio della “proporzionalità ed adeguatezza della
retribuzione va riferito non già alle sue singole componenti, ma alla
globalità di essa” (vedi, per tutte: Corte Cost. sentenze: n. 141 del 1979;
n. 470 del 2002; n. 434 del 2005) e quindi alle singole voci che
compongono la retribuzione non può essere attribuito autonomo
Ric. 2014 n. 00224 sez. ML – ud. 13-01-2016
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attribuiti al fine di rispettare il divieto di reformah.o in pejus del

rilievo, a meno che ciò sia espressamente previsto dalla legge o dalla
contrattazione collettiva.
La regola per cui il passaggio da un datore di lavoro all’altro comporta
l’inserimento del dipendente in una diversa realtà organizzativa e in un
mutato contesto di regole normative e retributive, con applicazione del

confermata, per i dipendenti pubblici, dal d.Lgs. n. 165 del 2001, art.
30, che riconduce il passaggio diretto di personale da amministrazioni
diverse alla fattispecie della “cessione del contratto” (art. 1406 c.c.),
stabilendo la regola generale dell’applicazione del trattamento giuridico
ed economico, compreso quello accessorio, previsto nei contratti
collettivi nel comparto dell’Amministrazione cessionari, non
giustificandosi diversità di trattamento (salvi gli assegni ad personam
attribuiti al fine di rispettare il divieto di refounatio in peius del
trattamento economico acquisito) tra dipendenti, dello stesso ente, a
seconda della provenienza (Cass. 17 luglio 2006, n. 16185; Cass. 13
settembre 2006, n. 19564; Cass. 2 febbraio 2007, n.2265).
Infatti, nell’ipotesi di passaggio di lavoratori ad una diversa PA,
l’eventuale diversificazione del rispettivo trattamento economico
richiede una specifica base normativa, in difetto della quale
l’Amministrazione, ai sensi del d.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, comma
2, deve garantire ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale
e, comunque, trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi
contratti collettivi (Cass. 2 marzo 2011, n. 5097).
Non può esservi, allora, dubbio sul fatto che, nella specie, non solo
dovesse essere operato il riassorblinento, ma anche che ciò dovesse
avvenire in riferimento ai miglioramenti del trattamento economico
complessivo.

Ric. 2014 n. 00224 sez. ML – ud. 13-01-2016
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trattamento in atto presso il nuovo datore di lavoro (art. 2112 c.c.), è

Né ha alcun rilievo l’argomento, addotto dal ricorrente, dell’assenza di
disposizioni contenute nella contrattazione collettiva (applicabile)
disciplinanti il riassorbimento delle eccedenze retributive verificatesi,
eventualmente, nei passaggi del personale tra le varie Amministrazioni.
Invero, secondo quanto si desume dal combinato disposto del d.Lgs.

la determinazione degli elementi che concorrono a formare,
condizionandosi a vicenda, il trattamento economico complessivo dei
pubblici dipendenti, e, per quanto riguarda il riassorbimento, ad essa
compete solo la definizione delle modalità applicative di operatività del
relativo principio (già presente, peraltro, per quel che si è detto
nell’ambito dello stesso d.Lgs.), sicché, attesa l’inderogabilità della
normativa che delinea i criteri generali cui deve conformarsi il
trattamento economico dei pubblici dipendenti, nel cui ambito rientra
il principio del riassorbimento, in difetto di specifiche disposizioni
dell’autonomia collettiva si applicano le disposizioni legislative in
materia, essendo comunque preclusa alla contrattazione collettiva la
possibilità di escludere l’operatività del suddetto principio (arg. ex Cass.
30 dicembre 2009, n. 27836; Cass. 18 gennaio 2012, n. 709; Cass.14
luglio 2008, n. 19299 e, da ultimo, Cass. 16.4.2012 n. 5959, Cass. n.
24949 del 24.11.2014).
Dal rigetto del primo motivo per le ragioni esposte discende
l’assorbimento del secondo ed al terzo motivo che si incentrano sulla
questione del valore da attribuirsi al verbale di Giunta che aveva
stabilito, all’esito di trattative con le organizzazione rappresentative dei
lavoratori, la non riassorbibilità del cd. “maturato economico”, e sulla
possibilità di condizionare l’operatività del principio espresso al
successivo vaglio del Consiglio Comunale,

Ric. 2014 n. 00224 sez. ML ud. 13-01-2016
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n. 165 del 2001, arti 2 e 69, alla contrattazione collettiva è demandata

Ed infatti, le argomentazioni sopra svolte con riguardo alla vigenza
di un generale principio di riassorbibilità sancito dalla norma di legge,
con previsione della facoltà di stabilirne unicamente termini e misura
da parte della contrattazione collettiva, escludono che la norma di
legge sia derogabile in forza di delibere datoriali assunte all’esito di

Alla luce di quanto esposto, si propone il rigetto del primo motivo di
ricorso, assorbiti gli altri, con ordinanza ai sensi dell’art. 375, n. 5,
c.p.c..”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in
Camera di consiglio.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c. con la quale
chiede, preliminarmente, la riunione del presente giudizio con altri
aventi uguale contenuto e la cui trattazione è stata fissata per la stessa
udienza e, quindi, ribadisce le argomentazioni di cui al primo motivo
di ricorso, sottolineandosi che l’interpretazione del 3 0 comma dell’art 2
d. Lgs. 165/2001 fornita dalla giurisprudenza di legittimità — alla quale
ha aderito la riportata relazione — secondo cui il principio del
riassorbimento è inderogabile non spiegherebbe in che termini e con
quale criterio debba ritenersi superato l’affidamento alla contrattazione
collettiva della operatività del riassorbimento.
Osserva, in primo luogo, il Collegio che non ricorrono ragioni di
opportunità e di economia processuale tali da indurre
all’accoglimento dell’istanza di riunione di ricorsi che, pur di contenuto
identico, sono stati proposti separatamente.
Quanto alle argomentazioni di cui alla memoria si rileva che le
medesime non scalfiscono il contenuto della relazione – pienamente
condivisibile perchè in linea con la costante giurisprudenza di
Ric. 2014 n. 00224 sez. ML – ud. 13-01-2016
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trattative intercorse con i lavoratori.

legittimità – ne’ sono stati proposti aspetti di tale gravità da esonerare
la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda,
per larga parte, l’assolvimento della funzione, di rilevanza
costituzionale, di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme
interpretazione della legge.

Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza,
sono poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da
dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto
dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di
stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione ai procedimenti
iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame,
avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è
perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario
(Sezioni Unite, sent n. 3774 del 18 febbraio 2014). Inoltre, il
presupposto di insorgenza dell’obbligo del versamento, per il
ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai
sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
nel testo introdotto dall’art.1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n.
228, non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del
rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante,
del gravame (Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014).

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del
presente giudizio liquidate in curo 100,00 per esborsi, curo 2.000,00 per

Ric. 2014 n. 00224 sez. ML – ud. 13-01-2016
-11-

Alla luce di quanto esposto, il ricorso va rigettato.

compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del
15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a

Roma, 13 gennaio 2016.

quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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