Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4547 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2022, (ud. 15/12/2021, dep. 11/02/2022), n.4547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 19227-2016 proposto da:

S.I., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CLAUDIO DANILO CRICCHIO;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati SERGIO

PREDEN, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO, LIDIA CARCAVALLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1594/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 02/02/2016 R.G.N. 1321/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/12/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO SPAZIANI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Nel novembre 2003, l’INPS revocò ad S.I. la pensione di anzianità di cui godeva dal marzo 1990, avendo accertato una carenza di copertura assicurativa e contributiva presso l’Assicurazione Generale Obbligatoria nei periodi dal 20 settembre 1962 al 31 agosto 1964 e dal 16 luglio 1971 al 31 gennaio 1975.

Il pensionato ricorse al giudice del lavoro, deducendo l’illegittimità della revoca e domandando che fosse dichiarato il suo diritto a percepire la pensione di anzianità, con condanna dell’INPS al pagamento dei ratei indebitamente trattenuti, oltre accessori, sul presupposto che nei predetti periodi aveva lavorato in Germania come bracciante agricolo e che il requisito contributivo era integrato in ragione dei contributi versati all’istituzione previdenziale tedesca.

Il Tribunale di Agrigento accolse la domanda, dichiarando il diritto del ricorrente a percepire la predetta pensione con decorrenza dal 31 dicembre 1990 e condannando l’INPS al pagamento dei ratei non erogati, oltre interessi.

La Corte di appello di Palermo, in parziale accoglimento del gravame dell’INPS, sul presupposto della insussistenza del diritto dell’appellato alla pensione di anzianità, lo ha condannato a restituire all’istituto i ratei di pensione percepiti dal 14 luglio 1994 al 31 maggio 2004, compensando le spese del grado.

La Corte territoriale ha fondato la decisione sui seguenti rilievi.

Per un verso, il diritto vantato dal pensionato doveva ritenersi insussistente (e, correlativamente, il provvedimento di revoca emesso dall’istituto doveva ritenersi legittimo), atteso che i periodi di contribuzione all’estero avrebbero dovuto essere posti a fondamento di una specifica domanda amministrativa di pensione di anzianità in regime di totalizzazione internazionale, ma non potevano essere assunti a presupposto costitutivo del diverso diritto a pensione di anzianità nazionale, la cui integrazione esigeva la sussistenza di requisiti contributivi minimi relativi all’attività lavorativa svolta in Italia; del resto, una consimile domanda, sia pure sotto l’erronea qualificazione di istanza di “ricostituzione”, il pensionato aveva presentato nell’anno 2005, dando origine ad un nuovo procedimento amministrativo di costituzione di beneficio previdenziale.

Per altro verso, tuttavia, il primo atto di messa in mora comunicato dall’INPS al debitore recava la data del 13 luglio 2004, sicché, in accoglimento dell’eccezione sollevata da quest’ultimo, doveva ritenersi maturata la prescrizione sui ratei di credito restitutorio acquisiti anteriormente al 14 luglio 1994.

Avverso questa decisione propone ricorso per cassazione S.I. sulla base di due motivi. Risponde l’INPS con controricorso. Non sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo (con cui si deduce il vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3), si articola in due sub-motivi, il primo volto a denunciare la violazione del D.P.R. n. 488 del 1968, art. 5 (in tema di “ricostituzione” della pensione), il secondo volto a denunciare la violazione delle norme in tema di ripetibilità degli indebiti pensionistici (L. n. 669 del 1996, art. 1, L. n. 448 del 2000, art. 38, L. n. 89 del 1988, art. 52).

1.1. Con il primo sub-motivo il ricorrente critica la sentenza impugnata per avere omesso di riconoscere il diritto alla pensione di anzianità sulla scorta dei contributi totalizzati (cumulando quelli versati in Italia con quelli versati in Germania) e in virtù di una domanda di “ricostituzione” da lui debitamente presentata nel 2005. Tale riconoscimento avrebbe dovuto essere compiuto in applicazione della disciplina recata dal D.P.R. n. 488 del 1968, art. 5, ai sensi del quale la finalità della “ricostituzione” sarebbe proprio quella di ricomprendere nella pensione contributiva tutti i contributi, anche in convenzione internazionale, versati o accreditati in precedenza, con effetto dalla decorrenza originaria. In proposito, il ricorrente richiama anche la giurisprudenza di legittimità formatasi sul tema della ricostituzione della pensione a seguito della domanda di trasferimento in Italia dei contributi versati nei periodi di lavoro in Svizzera.

Questo sub-motivo è infondato.

1.1.a. Anzitutto, il presupposto della “riliquidazione” della pensione con effetto dalla decorrenza originaria, ai sensi del D.P.R. n. 488 del 1988, art. 5, consiste nella circostanza che successivamente alla decorrenza della pensione, siano versati contributi relativamente a periodi anteriori alla decorrenza medesima; l’art. 5, u. c., in parola prevede, infatti, che “ove dopo la consegna del certificato di pensione allo interessato sia richiesto il riconoscimento di contributi figurativi, siano presentate tessere assicurative o versati contributi dell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, per periodi anteriori alla data di decorrenza della pensione, entro i termini stabiliti dalle disposizioni in vigore, la pensione medesima è riliquidata con effetto dalla data di decorrenza originaria, secondo le norme in base alle quali essa è stata calcolata”. Si tratta, quindi, di un presupposto di fatto del tutto diverso da quello verificatosi nella vicenda in esame, in cui invece il ricorrente ha chiesto di tenere conto, ai fini del suo diritto a pensione di anzianità, dei contributi accreditati presso l’istituzione tedesca in epoca anteriore alla decorrenza della pensione, sicché non si integra la fattispecie cui l’ordinamento ricollega la disciplina di cui al D.P.R. n. 488 del 1988, invocato art. 5.

1.1.b. In secondo luogo, e soprattutto, deve tenersi conto dell’oggetto della domanda proposta in giudizio da S.I..

Al riguardo deve evidenziarsi che egli non si era doluto né del diniego di una domanda amministrativa di “riliquidazione” della pensione di anzianità né del diniego di una domanda amministrativa di liquidazione della stessa in regime di “totalizzazione” internazionale, ma si era doluto del provvedimento di revoca della pensione di anzianità nazionale di cui era titolare, chiedendo che fosse dichiarato il suo diritto a percepire il suddetto beneficio.

Avuto riguardo all’oggetto della domanda, del tutto legittimamente la Corte di appello ha escluso la sussistenza del predetto diritto, sulla base dell’accertamento dell’insussistenza dei necessari requisiti minimi di contribuzione relativi all’attività lavorativa prestata in Italia, che di esso costituivano presupposti necessari e che non potevano essere surrogati da quelli maturati in ragione della contribuzione versata all’estero.

Tale contribuzione, infatti, in cumulo con quella versata in Italia, avrebbe dovuto essere posta a fondamento di una specifica domanda amministrativa di pensione di anzianità in regime di “totalizzazione” internazionale, ai sensi del Regolamento (CEE) n. 1408 del 1971, artt. 45 e 46, ma non poteva essere invocata al fine di ottenere il riconoscimento del diverso diritto a pensione di anzianità nazionale, fondato su distinti presupposti costitutivi.

Dei contributi accreditati e giacenti presso istituzioni previdenziali straniere, si sarebbe potuto tenere conto, ai fini della liquidazione della pensione in pro rata internazionale solo ove l’interessato avesse proposto specifica domanda in tal senso; e della mancata considerazione di tale contribuzione il pensionato avrebbe potuto dolersi in giudizio solo se una simile domanda amministrativa fosse stata indebitamente rigettata.

Nella presente controversia, invece, non si discute dell’indebito rigetto di una domanda amministrativa di “totalizzazione” o di “riliquidazione”, ma della legittimità o meno della revoca di una pensione di anzianità nazionale; rispetto a tale specifico diritto, la cui integrazione esigeva la sussistenza di requisiti contributivi minimi relativi all’attività lavorativa svolta in Italia, la riscontrata carenza contributiva non può essere sanata dalla contribuzione versata all’estero, che costituisce invece il presupposto del diverso istituto della “totalizzazione”.

Indebitamente, dunque, il ricorrente ha introdotto nel presente giudizio il tema della ricostituzione della pensione, tema che costituisce oggetto – secondo le incontroverse allegazioni delle parti di un distinto e separato procedimento amministrativo, iniziato nel 2005 con una domanda qualificata come istanza di ricostituzione ma interpretata dall’INPS come istanza di liquidazione della pensione di vecchiaia in regime di “totalizzazione” internazionale, avuto riguardo alla contribuzione accreditata presso l’istituzione tedesca.

1.1.c. Del tutto non pertinente, infine, è il richiamo alla giurisprudenza di legittimità formatasi sul tema della ricostituzione della pensione a seguito della domanda di trasferimento in Italia dei contributi versati nei periodi di lavoro in Svizzera (in particolare, Cass., Sez. lav., 12 maggio 2006, n. 11024 e, in precedenza, Cass., Sez. lav., 24 dicembre 1997, n. 13027).

Nelle fattispecie contemplate da tali pronunce, infatti, la ricostituzione della pensione trovava fondamento nella domanda di trasferimento in Italia dei contributi versati nei periodi di lavoro in Svizzera, in ragione della speciale convenzione stipulata con questo Stato.

La “totalizzazione”, invece, non presuppone, anzi esclude, il materiale trasferimento dei contributi da uno Stato all’altro, poiché si traduce nel cumulo meramente virtuale, sulla base di una fictio iuris, di tutte le contribuzioni versate in favore dello stesso lavoratore, ai fini del diritto e della misura della pensione, mentre le contribuzioni versate restano presso ciascun ente o gestione, il quale assume il carico, in base al criterio del pro rata, soltanto di una quota di pensione, in proporzione dell’anzianità assicurativa e contributiva maturata dal lavoratore presso la gestione medesima.

La disciplina della “totalizzazione”, dettata da fonti internazionali o sovranazionali – in particolare il richiamato Regolamento (CEE) n. 1408 del 1971 – costituisce una disciplina speciale, di stretta interpretazione e applicazione (non suscettibile di applicazione analogica od estensiva al di fuori delle fattispecie per le quali è prevista) ed avente portata derogatoria rispetto alla regola che impone l’utilizzazione dei contributi, ai fini del diritto e della misura delle pensioni, presso le stesse gestioni previdenziali in cui sono versati (v., già, Cass., Sez. lav., 5 aprile 2004, n. 6637 e Cass. Sez. lav., 11 maggio 2006, n. 10860).

Il sub-motivo in esame va pertanto rigettato.

1.2. Con il secondo sub-motivo del motivo di ricorso fondato sulla violazione di legge, il ricorrente denuncia l’omessa applicazione delle norme in tema di indebito pensionistico (L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 260- 265; L. n. 448 del 2000, art. 38, commi 7-10; L. n. 89 del 1988, art. 52, come interpretato dalla L. n. 412 del 1991, art. 13) che avrebbero imposto di escludere la ripetibilità delle somme erogate a titolo di pensione di anzianità, previo accertamento delle condizioni di reddito dell’interessato e del suo stato psicologico (assenza di dolo).

Questo specifico sub-motivo è inammissibile per due ordini di ragioni.

1.2.a. Va premesso che, ad onta della formale intestazione, con esso non si denunciano “errores in iudicando” ma uno specifico “error in procedendo” costituito dall’omessa pronuncia sulla eccezione di irripetibilità degli indebiti riscossi che sarebbe stata sollevata dal ricorrente.

Orbene, una simile censura, concernendo un vizio di attività cui consegue la nullità della sentenza (“error in procedendo”), deve essere dedotto mediante la sussunzione del vizio nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, atteso che quella di cui al medesimo art., precedente n. 3, si riferisce alla violazione di norme sostanziali, che dà luogo ad errore di giudizio direttamente incidente sull’oggetto della decisione di merito (“error in iudicando”).

La circostanza che il ricorrente abbia invece inteso far valere un “error in procedendo” (sub specie di vizio di omessa pronuncia: art. 112 c.p.c.) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, senza fare alcun riferimento alle conseguenze (nullità del procedimento e della sentenza) derivanti dall’errore sulla legge processuale, impone la declaratoria di inammissibilità del sub-motivo di ricorso in esame, in applicazione del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, pur non essendo indispensabile la formale ed esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è peraltro necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dal vizio denunciato, dovendosi reputare inammissibile il gravame che si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. Sez. U, 24/07/2013, n. 17931; v. anche Cass. 17/09/2013, n. 21165, Cass. 28/09/2015, n. 19124, e, più recentemente, Cass. 07/05/2018, n. 10862).

1.2.b. Il sub-motivo in esame, poi, si mostra inammissibile anche per difetto di autosufficienza.

Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (da ultimo, Cass. 14/10/2021, n. 28072; in precedenza, tra le altre, Cass. 04/07/2014, n. 15367).

Nel caso di specie, il ricorrente, anziché riportare nei suoi esatti termini il contenuto dell’eccezione di non ripetibilità delle somme riscosse, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo in cui era stata sollevata, si è limitato a fare un generico riferimento alle richieste contenute nella memoria difensiva in appello (p.14 del ricorso).

Anche per questa ragione dunque, il sub-motivo fondato sul dedotto “error in procedendo” non può ritenersi ammissibile, non avendo questa Corte gli elementi per verificare l’originaria ritualità e tempestività dell’eccezione asseritamente non delibata.

2. Il secondo motivo denuncia “omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

Il ricorrente deduce che la Corte di appello non avrebbe tenuto conto del fatto che aveva percepito la pensione in buona fede e sostiene che tale omissione si sarebbe tradotta in un difetto di motivazione della sentenza, risultata insufficiente o carente in ordine al punto decisivo della sussistenza o meno del dolo dell’assicurato, integrante il presupposto del diritto alla ripetizione delle somme da parte dell’ente.

2.1. Questo motivo è manifestamente inammissibile.

Con esso, infatti, si deduce un vizio che non è più contemplato nella tassativa elencazione attualmente contenuta nell’art. 360 c.p.c., senza tenere conto che, in seguito alla riformulazione di questa norma, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile alle sentenze pubblicate dopo l’11 settembre 2012 e dunque anche alla pronuncia impugnata con il ricorso in esame, depositata il 2 febbraio 2016), per un verso la censura deve riguardare lo specifico vizio concernente l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (tra le altre, Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019, Rv. 655413-01; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018, Rv. 651305-01); per altro verso, il sindacato di legittimità sulla motivazione è stato ridotto al minimo costituzionale, sicché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, la quale si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass. civ., Sez. Un., Sentenze nn. 8053 e 8054 del 7 aprile 2014, RRvv. 629830 e 629833; v. anche Cass. civ., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 dell’8 ottobre 2014, Rv. 632914).

La censura formulata dal ricorrente (volta a denunciare la carenza o insufficienza della motivazione sullo specifico punto dello stato soggettivo del percettore del beneficio previdenziale) non è pertanto ammissibile, in quanto tendente a suscitare un sindacato non più consentito alla Corte di legittimità.

3. In conclusione, il ricorso proposto da S.I. deve essere rigettato.

4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.250,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quarta Sezione Civile, il 15 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

 

 

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