Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4545 del 22/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/02/2017, (ud. 24/01/2017, dep.22/02/2017),  n. 4545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29057/2015 proposto da:

CAFFETTERIA PASTICCERIA S. DI D.S. & C. S.A.S., P.I.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante in carica,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA BRENTA 2-A, presso lo studio

dell’avvocato ISABELLA MARIA STOPPANI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCA PEREGO MOSETTI;

– ricorrente –

contro

G.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1051/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 29/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Relatore Dott. ENRICO

SCODITTI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Caffetteria – Pasticceria S. di D.S. & C. s.a.s. propose opposizione innanzi al Tribunale di Casale Monferrato avverso l’atto di precetto intimato da G.M. per l’importo di Euro 5.244,53, oltre interessi e spese, sulla base di decreto di liquidazione del compenso di CTU emesso all’esito di procedimento di istruzione preventiva ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c.. Espose la parte attrice che la relazione del tecnico era nulla, per violazione del contraddittorio e gravi mancanze del consulente integranti responsabilità penale e disciplinare, e che pertanto nulli erano decreto di liquidazione e precetto. Si costituì la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale adito rigettò la domanda. Avverso detta sentenza propose appello Caffetteria- Pasticceria S.. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello. Con sentenza di data 29 maggio 2015 la Corte d’appello di Torino rigettò l’appello. Motivò la corte territoriale nel senso che, stante il valore di cosa giudicata del decreto di liquidazione dei compensi del CTU se non tempestivamente impugnato, non era possibile valutare in sede di opposizione al precetto i profili di merito (sollevati peraltro nell’ambito di altri procedimenti dove avrebbero trovato esito naturale). Circa le voci contenute in precetto osservò: con riferimento al dedotto carattere indebito del computo ai fini degli oneri accessori (cassa geometri e Iva) dell’importo di Euro 816,50, liquidato per anticipazioni e spese, si trattava di costi non documentati, liquidati in via forfettaria, sicchè non trovava applicazione l’esenzione richiesta; circa gli importi per diritti per la richiesta di formula esecutiva, richiesta di copie, ritiro e disamina, che secondo l’appellante sarebbero atti rilasciati alla parte personalmente e non richiedenti la difesa tecnica, si trattava di attività svolta, non rilevando la presenza congiunta di cliente e difensore, ben potendo essersi verificata l’attività prima del rilascio del mandato alle liti; circa le voci relative a “consultazioni con il cliente” e “corrispondenza informativa”, si trattava di voci ripetibili secondo la giurisprudenza (Cass. n. 13482 del 2011). Ha proposto ricorso per cassazione sulla base di otto motivi Caffetteria-Pasticceria S. di D.S. & C. s.a.s.. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi di manifesta infondatezza del ricorso circa i motivi dal primo al sesto e di inammissibilità dei motivi settimo ed ottavo. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., art. 24 Cost., comma 2, art. 12 preleggi, D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che l’opposizione al decreto di liquidazione concerne il quantum e non l’an della pretesa, sicchè la mancata impugnazione non ha effetti preclusivi rispetto alla nullità ed alle responsabilità penali e disciplinari, e che l’indagine sull’efficacia di giudicato deve essere particolarmente rigorosa (il decreto di liquidazione non conteneva alcuna valutazione circa la nullità della consulenza). Aggiunge che solo dopo la sentenza di primo grado era intervenuta l’ordinanza che aveva dichiarato inutilizzabile la consulenza disponendone la rinnovazione con altro CTU e che solo successivamente alla scadenza del termine per proporre opposizione al decreto erano emerse le gravi mancanze della consulenza e le responsabilità del consulente. Afferma quindi che il giudicato non si estende ai fatti ad esso successivi e che comunque si trattava di provvedimento interinale e provvisorio suscettibile di essere revocato con la sentenza.

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 att., art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c. , n. 4. Osserva la ricorrente che nella sentenza manca l’interpretazione del provvedimento onde accertarne i limiti e l’oggetto e che il giudice di appello non ha dato conto delle censure sollevate con l’atto di appello, trattandosi di motivazione apparente.

Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 112, 615, 101 c.p.c., artt. 111 e 24 Cost., artt. 195, 193, 194, 156 e 474 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Osserva la ricorrente che il giudice di appello, riconoscendo l’esistenza di giudicato esterno, ha omesso di pronunciare sulle domande della parte afferenti l’utilità e validità della consulenza, che potevano essere proposte solo nel giudizio di opposizione a precetto (nullo per via derivata dalla nullità della consulenza e del decreto di liquidazione), e che non si comprende in quali sedi le dette domande avrebbero dovuto essere trattate. Aggiunge che l’ordinanza d’inutilizzabilità della consulenza acquista un’efficacia analoga a quella della revoca implicita del decreto di liquidazione.

Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Lamenta la ricorrente l’esistenza di contraddizione nella motivazione, laddove per un verso si rileva il giudicato esterno, per l’altro si riconosce che in altri giudizi le questioni oggetto di opposizione sarebbero rilevabili.

Con il quinto motivo si denuncia omesso esame dei fatti dedotti con l’atto di appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Lamenta la ricorrente che, in ragione del rilevato giudicato esterno, risulta omesso l’esame dei fatti dedotti con l’atto di appello e tendenti a dimostrare la nullità della CTU.

Con il sesto motivo si denuncia violazione dell’art. 331 c.p.p. e art. 118 att. c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Lamenta la ricorrente che, sempre per effetto del giudicato esterno, la Corte d’appello ha omesso di presentare denuncia al pubblico ministero, non essendo consentito il pagamento di consulenza riconosciuta inutilizzabile, lacunosa e contraddittoria e suscettibile di integrare una fattispecie penale.

I motivi, dal primo al sesto, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono manifestamente infondati. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il sindacato del giudice in sede di decreto di liquidazione del compenso del CTU non è limitato al quantum ma si estende anche all’an sotto il profilo della rispondenza dell’opera svolta ai quesiti posti, e dunque all’accertamento della conformità dell’attività del consulente stesso all’incarico affidatogli sotto il profilo della qualità e completezza, con il limite della valutazione della validità e dell’utilità della consulenza tecnica, il cui apprezzamento è riservato al giudice della controversia in sede di cognizione del merito, trattandosi di questioni attinenti al merito della causa e da far valere nella sede del processo in cui la consulenza è stata disposta (Cass. n. 3024 del 2011, n. 7632 del 2006, n. 7499 del 2006, n. 4425 del 1998, n. 1014 del 1996, n. 6684 del 1995). E’ stato anche affermato che il diritto del consulente tecnico d’ufficio alla liquidazione del compenso non sussiste in tutti i casi in cui la sua attività non sia neppure astrattamente utilizzabile nell’ambito del processo, sia perchè non conferente all’incarico conferitogli, sia in quanto detta attività sia stata svolta con l’inosservanza di norme sanzionate da nullità, non potendo qualificarsi come eseguite delle prestazioni delle quali è vietato al giudice ed alle parti di giovarsi nel processo (Cass. n. 234 del 2011 – nella specie per violazione del principio del contraddittorio). La possibilità di dedurre simili questioni trova comunque il limite dell’emanazione del decreto di liquidazione dei compensi, il quale ha natura giudiziale, suscettibile di acquisire valore di cosa giudicata se non tempestivamente impugnato (Cass. n. 27515 del 2014, mentre il carattere interinale e provvisorio del decreto è limitato alla statuizione che pone il pagamento a carico di una o più parti, in quanto destinata a venir meno con la sentenza emessa all’esito del giudizio – Cass. n. 6766 del 2012). Non è dunque consentito, in presenza della formazione del titolo giudiziale, dedurre con l’opposizione al precetto ragioni di doglianza che andavano sollevate con la tempestiva impugnazione del decreto di liquidazione.

Nè costituiscono fatto impeditivo o estintivo della pretesa creditoria basata sul decreto di liquidazione l’ordinanza del giudice della causa di rinnovazione della CTU, quale espressione del potere del giudice della controversia di valutare la validità ed utilità della consulenza (che si pone su un ordine di effetti giuridici diverso da quello del decreto di liquidazione del compenso), o la scoperta di ragioni, che la parte avrebbe potuto opporre al decreto di liquidazione, successivamente al decorso del termine per l’impugnativa in quanto si tratta pur sempre di fatti antecedenti alla formazione del titolo giudiziale perchè inerenti all’attività svolta dal consulente.

Ne discende, per quanto osservato, che non vi è stata omessa pronuncia su domanda. Non ricorre infine l’ipotesi della denunciata nullità per motivazione apparente.

Con il settimo motivo si denuncia violazione degli artt. 480, 474 e 615 c.p.c., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame dell’ordine di esibizione ai sensi dell’art. 210 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Osserva il ricorrente, con riferimento all’importo di Euro 816,50 (di cui 16,50 per spese postali, Euro 200,00 per strumentazione elettronica per rilievo e Euro 600,00 per consulenza di ingegnere), indebitamente gravato di oneri ed accessori di legge, che il giudice di appello lo ha valutato come “costi non documentati liquidati in via forfettaria”, laddove in base al decreto di liquidazione, che ha sommato le diverse voci, costituiva “spese anticipate”, ovvero “anticipazioni”, non suscettibili di formare base imponibile. Aggiunge che è stato omesso l’esame dell’istanza istruttoria ai sensi dell’art. 210 c.p.c., volta ad ottenere dalla controparte l’esibizione della documentazione relativa alle spese e che sarebbe stata decisiva per dimostrare l’illegittimità dell’aggravio in termini di oneri accessori.

Il motivo è inammissibile. Quanto alla denuncia per violazione di legge va rammentato che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 26890/2014, n. 15852/2010, n. 17482/2007, n. 4582/2004, n. 14986/2001; n. 14727/2001, n. 4978/2991; n. 7777/98; n. 2510/96) che l’interpretazione del titolo esecutivo, consistente in un titolo giudiziale ed eseguita dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione, si risolve nell’apprezzamento di un “fatto”, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici, senza che possa diversamente opinarsi alla luce dei poteri di rilievo officioso e di diretta interpretazione del giudicato esterno da parte del giudice di legittimità, atteso che in sede di esecuzione la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come “giudicato esterno” (in quando decisione assunta fuori dal processo esecutivo), non opera come decisione della lite pendente davanti a quel giudice e che lo stesso avrebbe il dovere di decidere (se non fosse stata già decisa), bensì come titolo esecutivo e, pertanto, al pari degli altri titoli esecutivi, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensì come presupposto fattuale dell’esecuzione, senza che vi sia possibilità di contrasto tra giudicati, nè violazione del principio del ne bis in idem.

Passando alla censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va osservato che l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053). Nella specie il fatto secondario non esaminato dal giudice sarebbero le singole voci di spesa (Euro 16,50 per spese postali, Euro 200,00 per strumentazione elettronica per rilievo e Euro 600,00 per consulenza di ingegnere) oggetto dell’istanza istruttoria. Benchè l’omesso esame di elementi istruttori può integrare pertanto l’omesso esame circa il fatto storico, resta tuttavia fermo che, anche per ciò che concerne la doglianza sul mancato esame degli elementi istruttori secondo la nuova disposizione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve essere osservato il principio di autosufficienza del ricorso, essendo inibito al giudice di legittimità l’accesso agli atti del processo in presenza di vizio che non sia quello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Premesso che l’appellante che intende ottenere il riesame delle istanze istruttorie non ammesse o non esaminate in primo grado ha l’onere, in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello, di reiterarle nell’atto introduttivo del gravame ai sensi degli artt. 342 e 345 c.p.c. (Cass. n. 23978 del 2015, n. 9410 del 2011), la ricorrente ha indicato l’atto del giudizio di primo grado nel quale sarebbe stata proposta l’istanza (memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 2), senza peraltro trascrivere il contenuto dell’istanza medesima, ma non ha indicato specificatamente se abbia reiterato nell’atto di appello l’istanza ai sensi dell’art. 210 c.p.c.. Nella sommaria esposizione dei fatti di causa risultano trascritte le conclusioni dell’appello, nelle quali si richiamano le istanze istruttorie trascritte nell’atto di appello, ma manca nel ricorso l’esposizione puntuale di quali siano state le istanze istruttorie proposte in appello. Aggiungasi che le istanze istruttorie, non accolte in primo grado e reiterate con l’atto di appello, le quali non vengano riproposte in sede di precisazione delle conclusioni, devono reputarsi rinunciate, a prescindere da ogni indagine sulla volontà della parte interessata, così da esonerare il giudice del gravame dalla valutazione sulla relativa ammissione o dalla motivazione in ordine alla loro mancata ammissione (Cass. n. 9410 del 2011). Fermo restando che non risulta assolta l’autosufficienza del ricorso circa la proposizione in appello dell’istanza istruttoria, anche per ciò che concerne la precisazione delle conclusioni manca la relativa indicazione (assumendo in via puramente ipotetica che l’istanza sia stata proposta con l’atto di appello). Nè per colmare le lacune sul piano dell’autosufficienza può farsi riferimento alla sentenza impugnata (Cass. n. 1926 del 2015), la quale peraltro richiama in sede d’illustrazione delle conclusioni delle parti solo in senso generico le istanze istruttorie contenute nella memoria ai sensi dell’art. 186 c.p.c., comma 6, senza indicazioni circa il contenuto.

Con l’ottavo motivo si denuncia violazione degli artt. 91, 480 e 615 c.p.c., D.M. n. 127 del 2004 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè degli artt. 132 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la ricorrente che, con riferimento ai diritti per la richiesta di formula esecutiva, richiesta di copie, ritiro e disamina, non vi è prova che siano state effettuate le relative prestazioni dal difensore, mentre apparente è la motivazione della sentenza nella parte in cui il giudice afferma apoditticamente che l’attività è stata svolta, e che anche quanto alle voci per “consultazione cliente” e “corrispondenza informativa” manca la relativa prova.

Il motivo è inammissibile. La censura verte sulla valutazione della prova, che è profilo sindacabile nella presente sede di legittimità solo per vizio motivazionale. Il giudice di merito ha valutato che le attività relative ai diritti in questione sono state espletate. Non risulta inoltre una apparenza di motivazione, avendo reputato il giudice di merito con riferimento ai diritti per la richiesta di formula esecutiva, richiesta di copie, ritiro e disamina, che si trattava di attività che era stata svolta. Ad ogni buon conto va rammentato che i diritti per le voci “consultazione cliente” e “corrispondenza informativa” sono ripetibili nei confronti della parte soccombente in sede di precetto intimato dalla parte vittoriosa anche successivamente e in relazione alla sentenza definitiva secondo Cass. n. 13482 del 2011 (che supera motivatamente, sulla base del nuovo contesto normativo, l’indirizzo di Cass. n. 12270 del 2002, relativa alla tariffa precedentemente in vigore).

Non si deve provvedere sulle spese stante la mancata partecipazione al procedimento della controparte. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

la Corte rigetta il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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