Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4545 del 22/02/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 4545 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: STILE PAOLO

SENTENZA
sul ricorso 22943-2010 proposto da:
INTESA SANPAOLO S.P.A. 07843060638, (già BANCA INTESA
S.P.A.), in qualità di incorporante di SAN PAOLO IMI
S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G.
FARAVELLI
2012
4249

22,

presso lo studio dell’avvocato MARESCA

ARTURO, che la rappresenta e difende, giusta delega in
atti;
– ricorrente non/412è contro
ROMAGNO TOTINO ANNA RMGNNA52B56F280S;

Data pubblicazione: 22/02/2013

- intimata nonché contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
avvocati SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO, CALIULO
LUIGI, giusta delega in calce alla copia notificata
del ricorso;

resistente con mandato

Nonché da:
ROMAGNO TOTINO ANNA RMGNNA52B56F280S, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 35, presso lo
studio dell’avvocato D’AMATI DOMENICO, che lo
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
COSTANTINI CLAUDIA, D’AMATI NICOLETTA, D’AMATI
GIOVANNI NICOLA;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

INTESA SANPAOLO S.P.A. 07843060638, (già BANCA INTESA
S.P.A.), in qualità di incorporante di SAN PAOLO INI
S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata
FARAVELLI 22, presso lo studio

in ROMA, VIA L.G.

dell’avvocato MARESCA

ARTURO, che la rappresenta e difende, giusta delega in

in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

atti;
– controricorrente al ricorso incidentale nonchè contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587, in persona del legale

in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura
Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
avvocati SGROI ANTONINO, MARITATO LELIO, CALIULO
LUIGI, giusta delega in calce alla copia notificata
del ricorso;

resistente con mandato

avverso la sentenza n. 377/2010 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 19/04/2010 R.G.N. 1008/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/12/2012 dal Consigliere Dott. PAOLO
STILE;
udito l’Avvocato GIANNI’ GAETANO per delega MARESCA
ARTURO;
udito l’Avvocato MARITATO LELIO;
udito l’Avvocato COSTANTINI CLAUDIA (per ROMAGNO);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per
il rigetto del

ricorso principale, assorbito

ricorso incidentale.

il

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al giudice del lavoro di Torino, Anna Romagna Totino, premesso di
aver lavorato alle dipendenze del Banco di Napoli dal 16.2.73 al 24.5.02 presso la
filiale di New York e di essere stata licenziata con lettera del 24 maggio 2002 per
riduzione di personale, considerato che l’Istituto datore di lavoro non aveva

giudizio Sanpaolo IMI S.p.A. (che aveva incorporato il Banco di Napoli) per
ottenere l’annullamento del licenziamento.
Costituitasi, Sanpaolo IMI chiedeva il rigetto della domanda, sostenendo che,
nella specie, trovava applicazione la legge del Paese ove aveva avuto esecuzione il
rapporto di lavoro.
Si costituiva anche l’INPS, pur esso chiamato in giudizio, chiedendo il versamento
dei contributi nei limiti della prescrizione, fatto salvo il diritto dell’attrice alla
costituzione di una rendita per i contributi prescritti.
Il Tribunale di Torino annullava il licenziamento per violazione della procedura
prevista dalla legge 223/91, ritenuta applicabile alla fattispecie, in quanto legge
nazionale “comune” ai due contraenti e vigente al momento dell’insorgenza del
rapporto (febbraio 1973). Accoglieva poi la domanda formulata dalla Totino e
concernente l’omesso versamento in suo favore, da parte del datore di lavoro, dei
contributi previdenziali e assistenziali presso I’INPS, relativamente al periodo dal
15.7.1995 al 23.5.2002, nonché la costituzione di una rendita vitalizia ex art. 13 1.
1338/62, quanto ai contributi ormai prescritti (periodo dal 16/2/1973 al
14/7/1995).
Avverso tale decisione proponeva appello Intesa Sanpaolo S.p.A., in qualità di
incorporante Sanpaolo IMI S.p.A., chiedendo il rigetto delle domande proposte
dalla Totino con il ricorso introduttivo.
Resisteva quest’ultima, chiedendo la reiezione del gravame e proponendo appello

rispettato la procedura prevista dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, conveniva in

incidentale, dolendosi del fatto che il primo Giudice avesse accolto la domanda
previdenziale dopo avere implicitamente ritenuto l’applicabilità, al caso di specie,
del disposto di cui all’art. 7 comma 4 dell’Accordo italo-statunitense 23/5/1973,
che prevedeva, per il lavoratore eventualmente in possesso di doppia cittadinanza,
la possibilità di esercitare l’opzione in favore dell’una o dell’altra normativa.
Resisteva altresì l’INPS, chiedendo la reiezione dell’appello principale.

La Corte di merito rilevava che, non esistendo negli Stati Uniti d’America una
normativa diretta a proteggere il lavoratore dal licenziamento, ai sensi della
Convenzione di Roma del 19.6.80 e della L. 31 maggio 1995, n. 218, per il
rispetto dell’ordine pubblico ivi tutelato, al rapporto di lavoro trovava applicazione
non la legge straniera (che non assegnava tutela al dipendente in causa), ma quella
italiana sul licenziamento. Risultando che la Totino era stato licenziata per
riduzione di personale ex lege 223/91, ma che non era stata osservata la
particolare procedura prevista da detta legge, il licenziamento doveva considerarsi
illegittimo.
Pertanto, pur essendo esistenti le ragioni effettive del licenziamento, essendo
pacifica la chiusura della filiale del Banco di Napoli di New York, e nulla
ostando alla possibilità pratica di espletamento delle procedure previste dall’art. 4
della I. n. 223/91, la mancata comunicazione e consultazione previste dalla
richiamata legge rendeva il licenziamento illegittimo.
Quanto ai contributi assicurativi, osservava che la L. 24 febbraio 1975, n. 86, art.
7, prevedeva che il lavoro svolto negli Stati Uniti da un cittadino italiano alle
dipendenze di un datore di lavoro italiano avrebbe dovuto essere coperto dalla
legislazione italiana, salva diversa opzione dell’interessato. Non risultando, nella
specie, che la Totino avesse effettuato l’opzione, riteneva corretta la condanna del
datore al pagamento dei contributi assicurativi nei limiti della prescrizione, salva
la costituzione della rendita.

2

Intesa Sanpaolo S.p.A. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Resiste Anna Romagno Totino con controricorso, proponendo altresì ricorso
incidentale condizionato affidato ad un unico motivo, cui resiste con controricorso
Intesa Sanpaolo S.p.A. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378
c.p.c.
L’INPS ha depositato procura, svolgendo difesa orale in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, i due ricorsi debbono essere riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo di ricorso, Intesa Sanpaolo S.p.A., denunciando violazione e
falsa applicazione degli artt. 6, 16, 17 e 29 della L. 18 dicembre 1984, n. 975, e
degli artt. 25 e 31 delle preleggi, censura la sentenza della Corte d’Appello di
Torino nella parte in cui ha ritenuto il rapporto di lavoro de qua sottoposto alla
disciplina della Convenzione di Roma del 19.6.1980 -resa esecutiva dalla L. n.
975/1984-, relativamente alla individuazione della legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali.
Nel condividere l’assunto della Totino la Corte territoriale, infatti, ha affermato
che al licenziamento della lavoratrice, cittadina italiana dipendente negli USA da
società italiana, doveva applicarsi, in base all’art. 16 della Convezione di Roma, la
legge italiana, in quanto la legge straniera, altrimenti applicabile al rapporto,
prevedendo il licenziamento ad nutum, si poneva in contrasto con i principi di
ordine pubblico cui la tutela contro i licenziamenti arbitrari attiene.
Più in dettaglio, la Banca sostiene che la Corte territoriale sarebbe incorsa in
evidente errore interpretativo in quanto, nell’effettuare l’operazione di
individuazione della normativa applicabile al rapporto de qua, non avrebbe tenuto
in alcuna considerazione quanto contemplato dall’art. 29 della L. n. 975 del 1984,
che prevede che la Convenzione stessa è entrata definitivamente in vigore «il
primo giorno del terzo mese successivo al deposito del settimo strumento di

3

ratifica, di accettazione o di approvazione”, il che è avvenuto solamente
nell’aprile 1991, quando il Regno Unito ha effettuato il deposito.
Inoltre, l’art. 17 della Convenzione medesima prevede che la stessa trovi
applicazione ai contratti conclusi dopo la sua entrata in vigore.
Ne deriverebbe, inevitabilmente —ad avviso della Società- che la Convenzione può
trovare applicazione solamente per i contratti conclusi dopo l’aprile 1991, il che

esclude la sua applicazione nella presente vicenda, in considerazione del fatto che
il rapporto di lavoro ha avuto inizio nel 1973.
La censura, pur condivisibile, non conduce all’auspicato risultato.
Invero, l’art. 17 della Convenzione di Roma, ratificata con L. n. 97511984 —come
rimarcato dalla ricorrente- stabilisce che la Convenzione “si applica in ogni Stato
contraente ai contratti conclusi dopo la sua entrata in vigore in questo Stato”.
L’art. 29 precisa che la Convenzione “entrerà in vigore il primo giorno del terzo
mese successivo al deposito del settimo strumento di ratifica, di accettazione o di
approvazione”.
Il settimo strumento di ratifica è stato depositato nel dicembre 1990, onde la
Convenzione è entrata in vigore il 1.4.1991.
Nel caso in esame è del tutto pacifico, in quanto non contestato, che il rapporto di
lavoro de quo ha avuto inizio ben prima dell’entrata in vigore della Convenzione
di Roma, che quindi non è applicabile.
Trattandosi di obbligazioni contrattuali, occorre fare riferimento all’art. 25, 1°
comma, disp. prel. c.c., nel testo in vigore prima della riforma del 1995.
Devono, infatti, applicarsi in proposito i principi affermati da questa Corte nella
sentenza n. 18842 del 30.8.2010, avente il medesimo oggetto del presente, ove,
dopo l’affermazione secondo cui la Convenzione non costituisce lo strumento di
individuazione della norma regolatrice dei rapporti sorti antecedentemente alla sua
entrata in vigore, si è sostenuto —stante la riconducibilità della fattispecie

4

nell’ambito delle obbligazioni di origine negoziale — doversi farsi applicazione
dell’ad. 25, c. 1, delle preleggi — abrogato dalla L. n. 218 del 1995, art. 74, con
decorrenza dall’1.9.95, ma applicabile al rapporto in esame ratione temporis – per
il quale “le obbligazioni che nascono da contratto sono regolate dalla legge
nazionale dei contraenti, se è comune”, o altrimenti da quella del luogo in cui il
contratto è stato concluso, salva diversa volontà delle parti.

In detto precedente, essendo pacifico —come nella specie- che entrambi i soggetti
in causa erano di nazionalità italiana, non essendo, peraltro, controverso che il
contratto di lavoro era stato concluso in Italia e non risultando sulla base degli
accertamenti di merito risultanti agli atti che le parti avessero espresso la volontà
di regolare diversamente il loro rapporto, si è coerentemente ritenuto che il
rapporto di lavoro in questione dovesse essere interamente regolato dalla legge
italiana.
Nel ricorso in esame, tuttavia, la Banca sostiene che la Corte territoriale sarebbe
incorsa in violazione dell’art. 25 disp. prel. c.c. in quanto avrebbe affermato
l’applicabilità tout court della legge italiana al rapporto, senza considerare la
deroga convenzionalmente espressa dalle parti in favore della legge americana,
ricavabile da una serie di “elementi univoci che avrebbero portato a ritenere che le
parti inequivocabilmente avevano voluto assoggettare il rapporto in questione alla
normativa statunitense”.
Sennonché non può trascurarsi che la censura, proposta con il motivo in esame,
oltre che sotto il profilo di una violazione di legge -in relazione alla dedotta
avvenuta deroga di cui all’art. 25 cit.- avrebbe dovuto articolarsi anche sotto il
profilo della sussistenza di un vizio di motivazione relativamente all’assunto —
rimasto inevaso- che nella specie sussisteva la “prova del fatto che tra le parti
venne sempre pacificamente applicata, nel corso del rapporto, la legge
statunitense e non già quella italiana”, come si ricavava dal trattamento

5

economico percepito dalla lavoratrice, di gran lunga superiore a quello spettante
in applicazione del CCNL, nonché dal tipo di assistenza sanitaria fruito dalla
stessa Totino.
Ma, in disparte tale considerazione, priva di pregio è l’ulteriore censura —la cui
infondatezza finisce con l’assumere carattere dirimente- secondo cui il Giudice di
merito avrebbe errato ad escludere l’inapplicabilità della legge degli Stati Uniti in

base alla considerazione che il lavoratore non può essere privato della protezione
assicuratagli dalla legge italiana, tenuto conto che quella statunitense, priva di
tutele, si pone in contrasto con l’ordine pubblico (art. 31 disp. prel. c.c.).
La Banca, nel ricorso in esame, dà atto che, in base ai principi affermati nella
sentenza di questa Corte n. 10549/2007, del tutto condivisibili, rientrano
nell’ordine pubblico le disposizioni che tutelano il lavoratore dal licenziamento
privo di giustificato motivo, ma afferma che, di contro, ciò non si verificherebbe
in materia di licenziamenti collettivi, con la conseguenza che tale particolare
forma di recesso rimarrebbe fuori della portata dell’art. 31 disp. prel. c.c.
Deve osservarsi che la giurisprudenza della Corte, superando i precedenti indirizzi
espressi sul tema, si è orientata nel senso che la nozione di ordine pubblico
internazionale (anche nel regime di cui all’art. 31 preleggi, anteriore all’entrata in
vigore della L. 31 maggio 1995, n. 218, applicabile alla controversia ratione
temporís) non è enucleabile esclusivamente sulla base dell’assetto ordinamentale
interno, in modo da ridurre l’efficacia della legge straniera ai soli casi in cui detta
legge sia più favorevole al lavoratore di quella italiana, così da escludere la
possibilità di una comparazione dei trattamenti complessivi destinati al lavoratore
nei singoli ordinamenti; in tale direzione, non può ritenersi sussistere coincidenza
tra le norme inderogabili dell’ordinamento italiano poste a tutela del lavoratore e i
principi di ordine pubblico, dovendo, di contro, questi ultimi ravvisarsi nei
principi fondamentali della nostra Costituzione, o in quelle altre regole che, pur

6

non trovando in essa collocazione, rispondono all’esigenza di carattere universale
di tutelare i diritti fondamentali dell’uomo, o che informano l’intero ordinamento
in modo tale che la loro lesione si traduce in uno stravolgimento dei valori
fondanti dell’intero assetto ordinamentale (Cass. 11 novembre 2000, n. 14662; 26
novembre 2004, n. 22332; 7 dicembre 2005, n. 26976; 23 febbraio 2006, n. 4040).
Deve perciò affermarsi che l’ordine pubblico internazionale, da non confondere

con quello interno, è costituito dai principi fondamentali della Costituzione e dalle
norme convenzionali internazionali di salvaguardia dei diritti individuali, e
comporta che,salvo giustificate eccezioni, il licenziamento del lavoratore
subordinato è legittimo solo se giustificato. Ciò sulla base sia degli artt. 4 e 36
Cost., i quali escludono che il diritto al lavoaro sia affidato al mero arbitrio del
datore di lavoro, sia dell’art. 30, par. 1, della Carta fondamentale dei diritti
dell’Unione europea, che espressamente pone la tutela”contro ogni licenziamento
ingiustificato”. Di conseguenza, nel caso di licenziamento collettivo, attuato da
un’impresa italiana ed operante in Italia, deve essere applicata nei confronti del
lavoratore all’aestero e in difetto di analoga norma straniera, la legge n. 223 del
1991, la quale assicura che la designazione di ciascun lavoratore da licenziare
avvenga secondo criteri predeterminati e ragionevoli (cfr. Cass. 19 luglio 2007 n.
16017).
Di conseguenza, nel caso di licenziamento collettivo, deve essere applicata nei
confronti del lavoratore all’estero ed in difetto di analoga norma straniera, la legge
n. 223 del 1991, la quale assicura che la designazione di ciascun lavoratore da
licenziare avvenga secondo criteri predeterminati e ragionevoli (cfr. Cass. n.
16017/2007).
Nel caso in esame, costituisce circostanza pacifica l’omessa applicazione delle
procedure previste dall’art. 4 della L. 223/91 (circostanza, questa, incidente
negativamente sulla legittimità dell’intimato licenziamento), come confermato dal

7

successivo motivo, posto dalla Banca a fondamento del suo ricorso.
Con il secondo motivo, infatti, la Banca, denunciando omessa e insufficiente
motivazione, censura la sentenza della Corte d’Appello di Torino nella parte in
cui avrebbe omesso di “specificare se le procedure di cui alla legge n. 223 del
1991 devono trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui non vi siano gli organi
destinatari delle varie comunicazioni e, eventualmente, a chi devono essere

indirizzate dette comunicazioni”.
motivo, con il quale la ricorrente ripropone le argomentazioni svolte nel
giudizio dì merito a proposito dei problemi pratici concernenti l’applicazione
della L. n. 223/1991 negli Stati Uniti, è privo di fondamento.
La Corte d’Appello di Torino sul punto ha infatti esaminato le censure svolte dalla
Banca, evidenziando che, trattandosi di una filiale che si trovava al di fuori del
territorio nazionale, occorreva considerare come, nella specie, pacificamente la
riduzione del personale si fosse inserita nell’ambito di un determinato contesto
legato alla fusione del Banco dì Napoli con altro istituto bancario e fosse perciò
avvenuta in ambito generale interessando, non solo i dipendenti della filiale di
New York, ma tutti i dipendenti delle varie filiali del Banco di Napoli; da ciò
discendeva la sussistenza, per il datore di lavoro, della possibilità effettiva di
espletare, con riferimento anche ai dipendenti, come la ‘l’olino, impiegati in filiali
che operavano all’estero, la procedura di comunicazione e consultazione prevista
dalla normativa di cuì alla L. n. 223/91.
Trattasi di un accertamento di fatto —non contestato- compiuto dalla Corte
territoriale, con motivazione immune da vizi, circa la natura “allargata” dei
licenziamenti attuati dalla Banca, posto dalla Corte a fondamento del rigetto
dell’eccezione della ricorrente concernente l’asserita impossibilità di applicare la
L. n. 223/91 per mancanza negli USA degli enti ivi disciplinati come destinatari
delle comunicazioni dovute.

8

Infondato è anche il terzo motivo dedotto a proposito delle conseguenze di
carattere previdenziale conseguenti all’annullamento del licenziamento della
Totino, con il quale è contestata l’applicazione fatta dalla Corte d’appello dell’art.
7 dell’accordo italo-statunitense in materia di sicurezza sociale sottoscritto a
Washington il 23.5.75 (reso esecutivo con L. 24 febbraio 1975, n. 86).
Al riguardo deve premettersi che l’accordo in questione —così come puntualizzato

da questa Corte in analoga occasione (cfr. Cass. n. 18842/2010)- “si applica ai
lavoratori, che possano far valere periodi di assicurazione in base alle legislazioni,
e ai loro familiari o superstiti” (art. 3, comma 1), dove per “legislazione” deve
intendersi il complesso de “le leggi, i regolamenti e ogni altra misura di
applicazione concernente i settori della sicurezza sociale …” (art. 1, lett. c). La
parte seconda dell’accordo, contenente le “disposizioni sulla legge applicabile”, è
aperta dall’art. 7, il quale delimita gli ambiti di applicazione della legge italiana e
statunitense in relazione alle singole fattispecie di rapporto di lavoro preso in
considerazione.
Il principio base è che “salvo quanto diversamente disposto nel presente articolo,
le persone alle quali si applica il presente accordo, che svolgono la loro attività sul
territorio di uno Stato contraente, sono soggette alla legislazione di tale Stato” (art.
7, comma 1).
I due commi successivi prevedono che “il lavoro svolto in Italia da un cittadino
degli Stati Uniti che sia coperto dalla legislazione degli Stati Uniti, rimane coperto
da tale legislazione” (art. 7, comma 2) e che “il lavoro svolto negli Stati Uniti da
un cittadino italiano alle dipendenze di un datore di lavoro italiano o di una
impresa controllata da una impresa italiana, sarà coperto dalla legislazione
italiana” (art. 7, comma 3).
Dalla considerazione complessiva di questi tre commi emerge che il principio
base della territorialità della legislazione applicabile (comma 1), trova una deroga

9

nel caso che ad assumere rilievo sia la posizione di un cittadino di uno degli Stati
contraenti e, per quel che rileva, di un cittadino italiano, il quale sarà “coperto
dalla legislazione italiana” ogni volta che svolga la sua prestazione negli Stati
Uniti “alle dipendenze di un datore di lavoro italiano o di una impresa controllata
da una impresa italiana”.
Il Giudice di appello, seguendo analogo percorso interpretativo, è pervenuto alla

conclusione che in forza del comma 3 fosse applicabile al caso di specie la
normativa italiana, con la conseguenza che il datore era tenuto al versamento dei
contributi nei limiti della prescrizione e, per il rimanente, alla costituzione della
rendita di legge.
Priva di pregio appare l’obiezione della Società che – in ragione del
comportamento di fatto tenuto dalla dipendente, che aveva accettato che la
contribuzione fosse versata all’Autorità locale – sostiene che la stessa avesse
optato per l’applicazione della legge statunitense, di modo che dovrebbe farsi
applicazione dell’art. 7, comma 4, lett. b), dell’accordo, per il quale “b. il cittadino
italiano o colui che possiede la cittadinanza di ambedue gli Stati, il quale, per lo
stesso periodo di lavoro, sarebbe soggetto alla legislazione di ambedue gli Stati,
opterà per tale periodo per la legislazione dell’altro Stato”.
Al riguardo va rilevato non solo che la Corte d’appello ha accertato in fatto che la
Totino non effettuò mai l’opzione in questione, ma anche che l’opzione stessa
comporterebbe l’esclusione dell’altra legislazione nazionale. L’esercizio di tale
opzione comporta di conseguenza una particolare procedura formale – prevista
dall’art. 7, comma 5, dell’accordo per il quale “le esenzioni previste dal presente
articolo divengono effettive quando l’Istituzione dello Stato, nel quale i periodi di
lavoro sono coperti secondo quanto stabilito dal paragrafo 4, certifica
all’Istituzione dell’altro Stato che tali periodi di lavoro sono coperti dalla propria
legislazione” – che nella specie non risulta mai attivata.
Per completezza, il Collegio intende precisare che l’art. 24 dell’accordo ItaloStatunitense prevedeva che l’accordo sarebbe entrato in vigore il primo giorno del
mese successivo a quello in cui gli Stati contraenti si fossero scambiati i relativi

lo

strumenti di ratifica (comma 2) e che tale scambio avvenne in data 12.10.78, di
modo che l’accordo è entrato in vigore 1.11.78 (v. avviso contenuto sulla G.u.
27.11.78 n. 331).
Tale circostanza non osta all’applicazione dell’accordo al rapporto de quo (che è
iniziato nel 1973) atteso che il precedente art. 23 sancisce che “le disposizioni del
presente accordo si applicano a tutte le domande di prestazione che verranno

domande di coloro che avevano già precedentemente presentato domanda di
prestazione)”. Tale norma è stata interpretata da questa Corte nel senso che
l’accordo stesso si applica ai lavoratori italiani occupati negli Stati Uniti
d’America con riferimento sia ai periodi antecedenti che successivi alla data
dell’accordo oltre che a quelli pendenti a tale data (Cass. 24.11.97 n. 11753).
In conclusione, anche se con motivazione non del tutto sovrapponibile a quella
espressa dalla Corte di Torino, deve essere lasciata ferma la statuizione del
giudice di merito che, sia sul versante della disciplina dei licenziamenti che su
quello previdenziale, ha ritenuto applicabile la legge nazionale ed inapplicabile
quella straniera, con conseguente rigetto del ricorso in esame.
Dal rigetto del ricorso principale discende l’assorbimento del ricorso incidentale
condizionato.
Le spese del giudizio di legittimità come liquidate in dispositivo, seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito
l’incidentale; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Totino, delle
spese del presente giudizio, liquidate in € 50,00 per esborsi ed in € 3.500,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge; condanna la stessa ricorrente alle
spese in favore dell’INPS, liquidate in C 1.700,00 per compensi professionali,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, I’ 11 dicembre 2012.

presentate dalla data di entrata in vigore del presente accordo (incluse le nuove

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA