Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4544 del 11/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2022, (ud. 23/11/2021, dep. 11/02/2022), n.4544

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7965-2016 proposto da:

DITTA PROBABLE DI C.A., in persona del suo titolare,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato NICOLA BARON;

– ricorrente –

contro

3C S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 145,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TEPEDINO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato MARCO DE CRISTOFARO;

– controricorrente –

– avverso la sentenza non definitiva n. 507/2015 della CORTE DI

APPELLO DI VENEZIA depositata il 12/11/2015 R.G.N. 602/2012;

– avverso la sentenza definitiva n. 710/2015 della CORTE D’APPELLO di

VENEZIA, depositata il 06/02/2016 R.G.N. 602/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/11/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

 

Fatto

RILEVATO

che

1. la Corte di appello di Venezia, con sentenza non definitiva, ha dichiarato il diritto della ditta Probable di C.A. ad ottenere in pagamento da 3C s.r.l. in liquidazione, la minore somma (rispetto a quella liquidata in prime cure) di Euro 7.065,09 a titolo di provvigioni, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione al saldo; ha respinto la domanda del Cutugno intesa alla condanna di controparte al pagamento dell’indennità di preavviso e dichiarato il diritto della società 3C s.r.l. ad ottenere il pagamento dell’importo di Euro 12.245,96 a titolo di indennità di preavviso oltre interessi dalla maturazione al saldo; ha dichiarato il diritto della ditta Probable di C.A. all’indennità di risoluzione del rapporto;

2. con sentenza definitiva ha dichiarato il diritto della ditta Probable di C.A. ad ottenere il pagamento della minor somma di Euro 282, 61 a titolo di indennità di risoluzione del rapporto ex art. 10 AEC, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla maturazione al saldo;

3. per la cassazione di entrambe le decisioni ha proposto ricorso C.A. quale titolare della ditta individuale Probable, sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso;

4. entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art, 380- bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1749 e 1742 c.c., dell’art. 115 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere escluso il diritto alle provvigioni maturate in relazione ai clienti (OMISSIS) e (OMISSIS); in particolare deduce che era stato sovvertito l’ordine delle prove in quanto la Corte di merito aveva in sostanza disatteso le emergenze della prova documentale rappresentata dal contenuto del contratto di agenzia e il fatto che C3 s.r.l. aveva chiesto la modifica del contratto di agenzia proprio in relazione ai clienti cd. direzionali, vale a dire quei clienti che assumeva direttamente seguiti da essa preponente; lamenta che a fronte di tali emergenze fossero stati valorizzati elementi presuntivi quali l’incongruità dell’affidamento all’agente di clienti cd. direzionali e l’inerzia dello stesso nel far valere il diritto alle provvigioni anche sugli affari conclusi in relazione ai richiamati clienti; sostiene che non potevano trarsi argomenti di prova da un comportamento sostanzialmente abrogativo delle intervenute pattuizioni e che la omessa considerazione del contenuto del contratto di agenzia violava l’art. 1742 c.c., che stabilisce che il contratto di agenzia deve essere provato per iscritto;

2. con il secondo motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento al secondo motivo formulato con il proprio ricorso in appello, in relazione al quale deduce sostanziale travisamento della censura la quale era in realtà intesa alla valutazione della confessione complessa rilasciata dalla legale rappresentante della società, con richiesta di applicazione dell’art. 2734 c.c.; la Corte aveva trascurato il fatto – pacifico e di natura confessoria – rappresentato dalla richiesta da parte della preponente di modifica delle originarie condizioni contrattuali mediante inserzione della clausola di esclusione dei clienti cd. direzionali, modifica alla quale l’agente non aveva inteso addivenire;

3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1742 e 1748 c.c., censurando la valutazione della prova da parte della sentenza impugnata e denunziando omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti; assume, in sintesi, che poiché il consulente tecnico di ufficio aveva accertato che i clienti per i quali 3C s.r.l. non inviava l’estratto provvigionale non erano solo (OMISSIS) e (OMISSIS) ma anche altri era stato del tutto illogico da parte della Corte di appello escludere il diritto alle sole provvigioni relative ai menzionati clienti e non anche agli altri; diversamente, dovrebbe immaginarsi la nullità del contratto per l’inserzione di una clausola potestativa con la quale la preponente si riservava previa comunicazione la possibilità di trattare direttamente con determinati clienti;

4. con il quarto motivo deduce violazione dell’art. 2119 c.c., con riguardo all’art. 1455 c.c., in relazione agli artt. 1750 e 1751 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere escluso la giusta causa di recesso dell’agente in ragione dell’importo non elevato delle provvigioni ancora dovute all’agente, pari a Euro 7.065,09; deduce che al fine della verifica della giusta causa di recesso occorreva prendere in considerazione anche il ritardo il quale la preponente aveva provveduto ad effettuare i pagamenti di quanto dovuto all’agente;

5. con il quinto motivo di ricorso deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti relativo al momento in cui la preponente aveva pagato, seppur parzialmente, le provvigioni spettanti all’agente, e dei riflessi di tale condotta sulla complessiva valutazione di gravità dell’inadempimento della preponente e quindi sulla sussistenza della giusta causa di recesso dell’agente;

6. con il sesto motivo di ricorso deduce violazione dell’art. 2119 c.c., e dell’art. 1750 c.c.; premesso di avere dedotto a fondamento della giusta causa di recesso circostanze ulteriori rispetto al ritardo nella erogazione delle provvigioni, quali ad esempio criticità nella esecuzione degli ordini alla clientela, si duole del mancato espletamento della prova orale sul punto, richiesta sia in primo che in secondo grado ed in relazione alla quale denunzia violazione dell’art. 115 c.p.c.; si duole inoltre del riconoscimento della indennità di preavviso in favore di controparte e della quantificazione del relativo importo;

7. il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logico- giuridica, sono da respingere

7.1. si premette che con la originaria domanda il C. aveva reclamato le provvigioni relative a due clienti – (OMISSIS) e (OMISSIS) – clienti qualificati dalla preponente come “direzionali”, vale a dire come seguiti direttamente dalla società e non dall’agente; la pretesa era fondata sul contratto di agenzia che non conteneva alcuna specifica esclusione dei detti clienti dall’ambito del mandato agenziale;

7.2. la Corte di appello, riformando sul punto la decisione di primo grado, ha ritenuto sulla base delle emergenze in atti che effettivamente i clienti (OMISSIS) e (OMISSIS) ((OMISSIS)) non fossero ricompresi nell’incarico agenziale conferito al C.; a tal fine ha valorizzato la circostanza che si trattava di “clienti storici” della società da sempre seguiti direttamente dall’azienda e quindi con rapporto ormai fidelizzato con i responsabili della mandante per cui ne sarebbe stato incongruo l’affidamento alla ditta Probable, il fatto che, per come pacifico e comunque documentato in causa, le fatture inviate dal C., anche dopo il recesso dal contratto, erano calcolate senza ricomprendere le vendite a (OMISSIS) e (OMISSIS) – che l’agente non aveva dimostrato di avere contestato gli estratti conto provvigionali regolarmente inviatigli dalla società nei quali non vi era menzione dei detti clienti, che le modifiche contrattuali intervenute verbalmente tra le parti, dichiarate dalla legale rappresentante, con esclusione dei due clienti direzionali e estensione dell’oggetto dell’attività promozionale ad altri articoli, avevano trovato puntuale riscontro nella prova testimoniale;

7.3. in relazione al motivo di ricorso in appello della società, inteso a far valere ai sensi dell’art. 2734 c.c., il carattere di confessione complessa del contenuto delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante di 3C s.r.l, la Corte di merito ha osservato che poiché tali dichiarazioni erano state rese nel corso di un libero interrogatorio e non di un interrogatorio formale alle stesse non era possibile attribuire il valore di una confessione complessa ai sensi dell’art. 2734 c.c., essendo in toto valutabili secondo il libero apprezzamento del giudice;

7.4. tanto premesso, le deduzioni articolate con il primo motivo di ricorso per cassazione sono da respingere in quanto, al di là della formale enunciazione in rubrica della denunzia di violazione di legge, si sostanziano nella richiesta di rivalutazione del materiale probatorio (con riferimento al contenuto del contratto di agenzia, alla valutazione dell’inerzia dell’agente ecc.); in particolare la deduzione di violazione dell’art. 2697 c.c., per come concretamente illustrata, non prospetta l’errore di diritto nell’individuazione della parte onerata ma investe direttamente la valutazione che il giudice ha svolto delle emergenze istruttorie (Cass. n. 15107 del 2013, Cass. n. 13395 del 2018) e si risolve, pertanto, nella sollecitazione di un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. n. 24679 del 2013, Cass. n. 2197 del 2011, Cass. n. 20455 del 2006, Cass. n. 7846 del 2006, Cass. n. 2357 del 2004);

7.5. la denunzia di violazione dell’art. 115 c.p.c., è parimenti inammissibile in quanto, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (tra le altre v. Cass. n. 24395 del 2020, Cass. n. 1229 del 2019, Cass. n. 26769 del 2018, Cass. n. 4699 del 2018, Cass. n. 23940 del 2017); trova quindi applicazione il condivisibile orientamento di questa Corte secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 1229 del 2019, Cass. n. 27000 del 2016);

7.6. neppure è configurabile violazione della previsione di cui all’art. 1742 c.c., in tema di necessità per il contratto di agenzia della forma scritta ad probationem in quanto la Corte di merito si è limitata ad interpretare le clausole contrattuali sulla base del comportamento successivo delle parti, come consentito dall’art. 1362 c.c., comma 2, pervenendo alla conclusione che esso escludeva ab origine dal mandato agenziale clienti direzionali; in tale contesto, la vicenda relativa alla richiesta di modifica contrattuale ed alle “modifiche contrattuali intervenute verbalmente” viene letta dal giudice di appello come espressione non dell’intento delle parti di mutare il contenuto sostanziale delle originarie pattuizioni ma, piuttosto, dell’esigenza di adeguamento, anche sotto il profilo formale, del contenuto del contratto di agenzia al fine di renderlo conforme alla originaria volontà delle parti;

7.7. tale ricostruzione fattuale circa il contenuto effettivo delle pattuizioni intervenute poteva essere incrinata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo dalla deduzione di omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti o dalla deduzione di violazione delle regole ermeneutiche, non prospettati neppure formalmente dalla parte ricorrente;

7.8. il secondo motivo di ricorso è inammissibile per plurimi profili; in primo luogo, non è stato riportato negli esatti termini il contenuto del motivo di gravame di controparte in relazione al quale si denunzia violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, come prescritto in caso di denunzia di error in procedendo (Cass. n. 3845 del 2018, Cass. n. 25299 del 2014); in secondo luogo, la censura che insiste sul carattere confessorio delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società non si confronta con le argomentazioni della sentenza impugnata che ha ritenuto tali dichiarazioni in quanto rese in sede di libero interrogatorio e non di interrogatorio formale in toto soggette al libero apprezzamento del giudice e che ha mostrato di attribuire natura meramente formale alla richiesta di modifica del contratto avanzata dalla società (v. paragrafo 7.6.);

7.9. parimenti inammissibili le ulteriori censure che si sostanziano nella richiesta di un diverso apprezzamento delle emergenze in atti e della prova orale;

7.10. le censure articolate con il terzo motivo di ricorso sono inammissibili sia perché non incentrate sul significato e sulla portata applicativa delle norme delle quali viene denunziata violazione e falsa applicazione, come richiesto al fine della valida deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Cass. n. 17570 del 2020, Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015, Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012), sia perché gli atti ed i documenti invocati alla base dell’assunto della illogicità della esclusione solo di alcuni dei clienti direzionali non è sorretto, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 6, e 3, dalla trascrizione della risultanza di causa dalla quale si evince la circostanza alla base delle censure (e quindi nello specifico dalla trascrizione del pertinente brano della relazione peritale) e tanto meno dalla esposizione autosufficiente della vicenda di causa destinata a dimostrarne la rilevanza;

7.11. la questione dell’eventuale condizione meramente potestativa apposta al contratto di agenzia, non è stata espressamente affrontata dalla Corte di merito per cui a fronte di ciò, onde impedire una valutazione di novità della questione, era onere del ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 15430 del 2018, Cass. n. 23675 del 2013), come viceversa non è avvenuto;

8. il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso, tutti intesi a contrastare la decisione di appello in punto di ritenuta insussistenza della giusta causa di recesso dell’agente, devono essere respinti;

8.1. la Corte di merito, considerato che una volta esclusi i compensi provvigionali relativi ai clienti cd. direzionali (OMISSIS) e (OMISSIS), era emerso che in circa un anno di rapporto la preponente aveva omesso di corrispondere l’importo di Euro 7.065,60, ha ritenuto che tale condotta, in ragione dell’importo obiettivamente modesto a fronte delle fatture inviate dall’agente alla società, era inidonea ad incidere sull’equilibrio contrattuale e a giustificare, quindi, il recesso per giusta causa intimato dall’agente; tanto comportava il diritto della società alla indennità di preavviso;

8.2. tanto premesso è innanzitutto priva di fondamento giuridico l’affermazione del ricorrente secondo la quale era precluso alla Corte di merito l’apprezzamento dell’inadempimento della società al fine della verifica della giusta causa di recesso (v. tra le altre, Cass. n. 17254/2004, Cass. n. 3738/2000); le censure del ricorrente intese a far valere quale causa giustificativa del recesso circostanze di fatto ulteriori rispetto alla mancata erogazione della somma di Euro 7.065,60 a titolo di provvigioni (unico inadempimento preso in considerazione dalla Corte distrettuale) sono inammissibili per la dirimente considerazione che tali censure non sono sorrette, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, dalla esposizione della vicenda processuale in termini idonei a consentire, sulla base del solo ricorso per cassazione, la verifica di fondatezza delle censure articolate ed in particolare della tempestività e ritualità della allegazione dei richiamati elementi di fatto nelle fasi del giudizio di merito (Cass. n. 2024432 del 2020, Cass. n. 2526 del 2015); a tal fine si rivela del tutto insufficiente il mero rinvio per relationem alle note difensive ed ai documenti 2 e 3 allegati al ricorso introduttivo (v. ricorso per cassazione pag. 29), in assenza di trascrizione o esposizione per riassunto del relativo contenuto così come la trascrizione della lettera di disdetta, occorrendo la dimostrazione del se ed in che termini le motivazioni poste nella missiva a base del recesso siano state trasfuse negli scritti difensivi dell’odierno ricorrente;

8.3. il sesto motivo di ricorso è inammissibile laddove denunzia violazione degli artt. 2119 e 1750 c.c., in quanto non incentrato sul significato e sulla portata applicativa delle richiamate disposizioni e quindi sulla ricognizione della fattispecie astratta, bensì sulla ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa; in merito alla mancata ammissione della prova orale quanto sopra osservato in ordine alla carenza di esposizione delle circostanze poste nell’originario ricorso a base del recesso dell’agente, ulteriori rispetto alla mancata corresponsione delle provvigioni per un importo di Euro 7.065,60) espressamente presa in considerazione dal giudice di merito, non consente alcuna verifica di decisività delle stesse in relazione alla posizione assunta dalla parte;;

9. al rigetto del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;

10. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-bis (Cass. Sez. Un. n. 23535 del 2019).

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2022

 

 

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