Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4542 del 08/03/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4542 Anno 2016
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: TATANGELO AUGUSTO

SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 17341 del ruolo generale dell’anno
2013, proposto
da
CADORO Gaetano (C.F.: CDR GTN 40R17 C034V)
rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso,
dall’avvocato Giuseppe Martini, e domiciliato presso lo studio dello
stesso, in Cassino, via Francesco Petrarca n. 5;
-ricorrentenei confronti di
IPPOLITO Rosario (C.F.: PLL RSR 76M29 F839Y)
TRANO Carolina (TRN CLN 79S44 C034G)
rappresentati e difesi, in virtù di procura in calce al controricorso,
dagli avvocati Carmine Ippolito ed Antonella De Rosa;
-controricorrentiINTESA SANPAOLO S.p.A. (C.F.: 00799960158), in persona
del procuratore Massimo Ferrari
rappresentato e difeso, in virtù di procura in calce al controricorso,
dall’avvocato Massimo Iannarelli, e domiciliato presso lo studio dello
stesso, in Roma, piazza Cavour n. 17 (Studio Barucco);
-controricorrentenonché
EQUITALIA SUD S.p.A. (P.I.: 00410080584), in persona del
legale rappresentante pro tempore
-intimataper la cassazione della sentenza pronunziata dal Tribunale di Cassi-

2,026,

235

no n. 542/2014, depositata in data 21 maggio 2014;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 2
febbraio 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo;
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Data pubblicazione: 08/03/2016

uditi:
l’avvocato Giuseppe Martini per il ricorrente;
l’avvocato Ferdinando Barucco, per delega dell’avvocato Massimo
Iannarelli, per la controricorrente Intesa Sanpaolo S.p.A.;
il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale
dott. Alberto Cardino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

promosso nei suoi confronti davanti al Tribunale di Cassino, Gaetano Cadoro ha proposto opposizione agli atti esecutivi, ai sensi
dell’art. 617 c.p.c., avverso il provvedimento di aggiudicazione
dell’immobile pignorato in favore di Rosario Ippolito e Carolina Trano, assumendone l’illegittimità (tra l’altro, e per quanto qui ancora
rilevi) a causa della mancata effettuazione della prescritta pubblicità
della vendita
L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Cassino.
Ricorre il Cadoro, sulla base di tre motivi.
Resistono con controricorso l’Ippolito e la Trano e, con distinto controricorso, Intesa Sanpaolo S.p.A., la quale ha altresì depositato
memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altra intimata.
Motivi della decisione
1.

Con il primo motivo del ricorso si denunzia, ai sensi dell’art.

360, co. 1, n. 3 e 5, c.p.c., «violazione e falsa applicazione degli
artt. 112 c.p.c. e 132 C.P.C. e 118 disco. att. c.p.c. – omesso e insufficiente esame circa un fatto decisivo».
Con il secondo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3
e 5 c.p.c., «violazione e falsa applicazione dell’art. 591 bis c.p.c. e
2929 c. c. – omesso e insufficiente esame circa un fatto decisivo».
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto
connessi.
Essi sono infondati.
Il ricorrente ha dedotto con l’opposizione che la vendita
dell’immobile pignorato sarebbe stata effettuata senza previa affissione del cartello «VENDESI» al portone di ingresso dello stabile,
pubblicità straordinaria integrativa prevista nell’ordinanza di nomina
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Nel corso di un processo esecutivo per espropriazione immobiliare

del professionista delegato ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c., allegata
al verbale di udienza del 27 aprile 2011, nel corso della quale era
stata delegata la vendita.
Si ribadisce, in diritto, il principio per cui «in tema d’espropriazione
forzata, le condizioni di vendita fissate dal giudice dell’esecuzione,
anche in relazione ad eventuali modalità di pubblicità ulteriori rispetto a quelle minime di cui all’art. 490 c.p.c., devono essere rigo-

zioni tra tutti i potenziali partecipanti alla gara, nonché
dell’affidamento da ciascuno di loro riposto nella trasparenza e
complessiva legalità della procedura, per cui la loro violazione comporta l’illegittimità dell’aggiudicazione, che può essere fatta valere
da tutti gli interessati e, cioè, da tutti i soggetti del processo esecutivo, compreso il debitore» (Cass., Sez. 6 – 3, Sentenza n. 9255 del
7 maggio 2015).
Da tale principio di diritto non si è peraltro discostato il giudice del
merito.
Il tribunale ha infatti rilevato, in fatto, nel rigettare il motivo di opposizione del Cadoro, che le forme di pubblicità straordinaria previste nell’ordinanza di vendita erano solo tre: a) quella su carta
stampata; b) quella su sito intemet; c) quella, da svolgersi peraltro
solo per il primo esperimento di vendita, di diffusione di volantini.
Il giudice del merito ha quindi, implicitamente ma inequivocabilmente, escluso che potessero qualificarsi come forme di pubblicità
straordinaria integrativa della vendita, ai sensi degli artt. 591-bis,
co.1, e 490, u.c., c.p.c., le ulteriori attività poste a carico del professionista con l’ordinanza con la quale egli è stato nominato contestualmente delegato alla vendita e custode dei beni posti in vendita,
ordinanza distinta e autonoma (se pur contestualmente emessa) rispetto a quella pronunziata ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c. e contenente le vere e proprie condizioni di delega della vendita.
Si tratta di attività di varia natura, anche di supporto, in senso ampio, alla vendita, tra le quali rientra il fornire ogni utile informazione
ai potenziali acquirenti dell’immobile, accompagnarli a visionare
l’immobile, affiggere il cartello «VENDESI» al portone di ingresso
dello stabile, ecc..
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rosamente rispettate a garanzia dell’uguaglianza e parità di condi-

Esse sono peraltro poste a carico del professionista nella sua qualità
di custode dei beni pignorati e non di delegato alla vendita e, pur
essendo certamente volte a favorire il miglior esito della liquidazione dei cespiti pignorati, non costituiscono forme di pubblicità commerciale integrativa, ai sensi dell’art. 490, u.c., c.p.c.. Il loro più o
meno preciso svolgimento non può quindi evidentemente incidere
sulla regolarità della vendita stessa.

bile, anche in considerazione dell’applicabilità al presente giudizio
(essendo la sentenza impugnata pubblicata in data successiva all’A.
settembre 2012) del nuovo testo dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c.,
come riformulato dall’art. 54 del decreto legge 22 giugno 2012 n.
83, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 134, secondo cui non sono
più deducibili, come in passato, genericamente vizi di motivazione,
ma esclusivamente l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» (Sezioni Unite, 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054; conf.: Cass. 27 novembre 2014
n. 25216; 9 luglio 2015 n. 14324).
Nella specie, certamente non vi è omesso esame di un fatto decisivo.
Il «fatto» indicato dal ricorrente (e cioè la previsione contenuta nel
provvedimento di nomina del professionista quale custode dei beni
pignorati e delegato alla vendita, contestuale all’ordinanza di delega
della vendita) è stato preso in esame e valutato dal giudice di merito, che ne ha tratto le conclusioni sopra indicate, corrette in diritto e
logicamente argomentate.
Le censure del ricorrente tendono dunque, in definitiva, a sollecitare
una nuova valutazione dei fatti ed una diversa interpretazione del
materiale probatorio, il che non è ammissibile in sede di legittimità.
2.- Con il terzo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3

e 5 c.p.c., «violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 4 e 5 del
decreto 10 marzo 2014 n. 55 e dell’art. 13 della Legge 31 dicembre
2012 n. 247 – omesso e insufficiente esame circa un fatto decisi-

vo».
Il motivo, con il quale si censura capo della decisione relativo alle
spese, è in parte inammissibile e in parte infondato.
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La motivazione della pronunzia impugnata sul punto non è censura-

Il ricorrente assume in primo luogo che le spese del giudizio di merito avrebbero dovuto essere compensate e comunque che il tribunale avrebbe erroneamente utilizzato per liquidarle lo scaglione di
valore riferito al prezzo di aggiudicazione dell’immobile pignorato e
non quello del valore indeterminabile, in considerazione degli «effetti economici dell’accoglimento o del rigetto dell’opposizione»,
trattandosi di questioni processuali.

compensazione delle spese, in presenza di soccombenza integrale,
certamente non è sindacabile in sede di legittimità, risultando applicato il principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c..
È del resto necessaria implicita o esplicita motivazione solo in caso
di positivo esercizio della facoltà di parziale o totale compensazione
per giusti motivi o eccezionali ragioni, ai sensi dell’art. 92 c.p.c.
(che resta in ogni caso una valutazione discrezionale riservata al
giudice del merito).
Con riguardo al secondo profilo, poi, la doglianza è inammissibile.
Dalla motivazione della sentenza impugnata non emerge affatto
l’applicazione dello scaglione di valore relativo al prezzo di aggiudicazione dell’immobile, ma solo l’applicazione dei «valori medi» del
D.M. n. 55/2014. Il ricorrente comunque non indica, come avrebbe
dovuto per i principi di autosufficienza del ricorso e di specificità dei
motivi di impugnazione, per quale ragione ritiene che la liquidazione
abbia violato i parametri imposti dal corretto scaglione di valore a
suo dire applicabile né quale sarebbe stato l’importo corretto da liquidare.
Altrettanto è a dirsi con riguardo alla doglianza relativa alla mancata applicazione dei correttivi di cui all’art. 4 del D.M. n. 55/2014 e al
riconoscimento del contributo forfettario nella misura del 15%.
Si tratta di valutazioni di fatto del giudice del merito non sindacabili
in sede di legittimità, ma che comunque non risultano specificamente censurate con l’indicazione dei motivi per cui la liquidazione avrebbe dovuto essere diversa e degli importi che avrebbero dovuto
eventualmente essere liquidati.
D’altra parte, l’identità delle questioni trattate non rileva se le parti
siano assistite da diversi legali, le condizioni economiche
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È sufficiente osservare, con riguardo al primo profilo, che l’omessa

dell’opponente, se pur potessero ritenersi rilevanti, non risultano
documentate, e la tipologia di istruzione svolta non è rilevante ai fini della liquidazione delle spese di lite.
3.- Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del
principio della soccombenza, come in dispositivo.
Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al

ve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co.
1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, co. 17,
della citata legge n. 228 del 2012.
per questi motivi
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio, liquidandole in complessivi C 2.900,00, di cui C 200,00
per esborsi, in favore della società controricorrente Intesa
Sanpaolo S.p.A., ed in C 2.300,00, di cui 200,00 per esborsi,
in favore dei controricorrenti Ippolito e Trano, in solido, oltre
spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, in data 2 febbraio 2016.

termine previsto dall’art. 1, co. 18, della legge n. 228 del 2012, de-

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