Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4540 del 26/02/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4540 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
BOSIO Giorgio Maria (BSO GGM 59P25 H501S), rappresentato e
difeso per procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avvocato Simone Ciccotti, presso lo studio del quale
in Roma, via Lucrezio Caro n. 62, è elettivamente domiciliato;
– ricorrente –

contro
DI FEO Attilio (DFI TTL 25S26 A489W), CRESPI Maria Teresa
(CRS MTR 34H59 E514C), MONTI GUARNIERI Livia (MNT LVI
49 ° 56 H501D), rappresentati e difesi, per procura speciale
in calce al ricorso, dall’Avvocato Antonio Gentile, presso
lo studio del quale in Roma, via Gregorio VII n. 368, sono
elettivamente domiciliati;
– controricorrenti –

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Data pubblicazione: 26/02/2014

nonché nei confronti di
BALDUCCI Corrado; FUNARO Elvira;
– intimati avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 10 dicembre 2013 dal Consigliere relatore
Dott. Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Simone Ciccotti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale dott. Aurelio Golia, il quale nulla
ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380-bis cod.
proc. civ.
Ritenuto che con atto di citazione notificato in data
15 maggio 2003, i sigg.ri Di Feo, Monti Guarnieri, Crespi
e Funaro, condomini del Condominio di via Pio IV n. 74, in
Roma, riassumevano dinnanzi al Tribunale di Roma un giudizio precedentemente instaurato contro l’Avvocato Giorgio
Maria Bosio e sospeso per istanza di ricusazione del giudice avanzata dal Bosio, poi rigettata dal Collegio, per
sentir confermare l’ordinanza cautelare concessa in data
11 luglio 2002, con cui era stato inibito all’Avvocato Bosio sia l’uso del titolo di amministratore del condominio
per il quale essi erano in giudizio, che lo svolgimento
della attività di amministratore.;

3996/10 depositata in data 6 ottobre 2010.

che nel giudizio di merito, gli attori chiedevano pure
la restituzione di documenti e chiavi, il ripristino dello
status quo ante

rispetto a lavori edili eseguiti senza

l’opportuna autorizzazione e, infine, il risarcimento del

che con sentenza n. 29714 del 2004 il Tribunale di Roma accoglieva le domande;
che il convenuto interponeva tempestivo gravame dinnanzi alla Corte d’appello di Roma, chiedendo la riforma
della sentenza gravata;
che con la sentenza n. 3996 del 2010, depositata in
data 6 ottobre 2010, l’adita Corte d’appello rigettava il
gravame;
che avverso questa sentenza Giorgio Maria Bosio ha
proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi,
cui hanno resistito, con controricorso, Attilio Di Feo,
Livia Monti Guarnieri, Maria Teresa Crespi, mentre non
hanno svolto attività difensiva Corrado Balducci e Elvira
Funaro;
che, essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione del ricorso in camera di consiglio è stata redatta
relazione ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., che
è stata comunicata alle parti e al Pubblico Ministero.
Considerato

che il relatore designato ha formulato la

seguente proposta di decisione:

danno, quantificato in euro 20.000,00;

«E (…)] Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 342 cod.
proc. civ., 1226, 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360,
n. 3, cod. proc. civ., dolendosi del fatto che la Corte

me concernente la statuizione della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva pronunciato la condanna al risarcimento dei danni liquidati in via equitativa, nella
misura di C 20.000,00, richiesta dagli attori.
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 1226, 2697 cod. civ., ai
sensi dell’art. 360, n. 3, cod. civ., sostenendo che la
Corte d’appello avrebbe confermato la condanna al risarcimento dei danni liquidati in via equitativa pur in difetto
delle condizioni che legittimano tale liquidazione.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte d’appello ha ritenuto che il pertinente motivo di
appello – del seguente tenore testuale:

“nell’ambito

dell’impugnata sentenza, appare infine criticabile la condanna dell’appellante, in via arbitrariamente equitativa,
al risarcimento dei danni in misura di euro 20.000,00, sia
perché importo non desumibile da alcuna nozione di diritto, sia perché danno del tutto indeterminato” –

fosse ca-

rente di specificità. Ha infatti rilevato che il primo
giudice aveva motivato in termini analitici l’accoglimento

d’appello abbia ritenuto non specifico il motivo di grava-

della domanda di risarcimento,

“elencando le situazioni di

fatto che reputava idonee a sostanziare la domanda sicché
incombeva all’appellante contrastare le ragioni addotte in
sentenza evidenziandone l’erroneità in fatto e diritto’.
censura sull’entità

dell’Importo in quanto non desumibile da alcuna nozione di
diritto o sulla indeterminatezza del danno evidenziano per
contro proprio il corretto uso da parte del primo giudice
nel ricorrere al criterio equitativo, incombendo
all’appellante, a fronte delle situazioni di fatto evidenziate nella parte motiva della sentenza inerente al danni
ex adverso lamentati, rilevarne la incongruità in termini
però specifici ed argomentativi’.
La

valutazione della Corte territoriale si sottrae alle

censure proposte dal ricorrente, atteso che, come dimostrano in modo inoppugnabile lo svolgimento del motivo, e
segnatamente le critiche astrattamente possibili in ordine
alla liquidazione equitativa in concreto effettuata dal
Tribunale, tale statuizione avrebbe potuto essere censurata in modo assai più specifico che non attraverso la mera
enunciazione di una pretesa “arbitrarietà” non sorretta da
alcuna argomentazione esplicativa. In particolare, il sopra riferito motivo di gravame non consente di comprendere
se oggetto della censura fosse la insussistenza del danno
ovvero la mera liquidazione equitativa; e se questa fosse

Ed ha quindi precisato che

stato l’oggetto specifico della censura, se la sua illegittimità dipendesse dalla mancanza di prova del danno ovvero dalla sussistenza di elementi in concreto idonei a
determinare il danno.

sa ritenersi validamente impugnato non è sufficiente che
nell’atto d’appello sia manifestata una volontà in tal
senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della
sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri
ad incrinarne il fondamento logico-giuridico. Ne consegue
che deve ritenersi passato in giudicato il capo della sentenza di primo grado in merito al quale l’atto d’appello
si limiti a manifestare generiche perplessità, senza svolgere alcuna argomentazione idonea a confutarne il fondamento” (Cass.,S.U., n. 23299 del 2011).
Il requisito della specificità dei motivi dell’appello quindi -“postula che alle argomentazioni della sentenza
impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, finalizzate ad inficiare il fondamento logico-giuridico delle prime, in quanto le statuizioni di una sentenza non sono scindibili dalle argomentazioni che la sorreggono. E
pertanto necessario che l’atto di appello contenga tutte
le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal
primo giudice a fondamento della propria decisione, non

E’ noto, del resto, che “affinché un capo di sentenza pos-

essendo al riguardo ammissibile che l’esposizione delle
argomentazioni venga rinviata a successivi momenti o atti
del giudizio, ovvero addirittura al deposito della comparsa conclusionale” (Cass. n. 1924 del 2011).

privo di specificità, risulta talmente scarno, da non contenere alcuna “critica adeguata e specifica della decisione impugnata”, in maniera tale da permettere “al giudice
del gravame di percepire con certezza il contenuto delle
censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice” (Cass., S.U., n. 28057 del 2008).
L’appellante, infatti, nell’atto di appello, non ha esposto alcuna censura diretta e puntuale alla quantificazione
del risarcimento, lamentando genericamente l’ingiusta applicazione, da parte del Tribunale, dell’art. 1226 cod.
civ. E come già rilevato, una specifica censura è svolta,
ma tardivamente, solo con il ricorso per cassazione, nel
quale per la prima volta parte ricorrente illustra degli
aspetti a conforto della agevole documentabilità degli elementi del danno originariamente chiesto. Ma la concreta
possibilità di quantificare il risarcimento dovuto, senza
fare ricorso alla determinazione equitativa di cui
all’art. 1226 cod. civ., non è stata prospettata al giudice del gravame, sicché alcuna censura può essere accolta
sul punto.

E il motivo di appello, ritenuto dalla Corte d’appello,

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
A ben vedere, la Corte d’appello, avendo ritenuto generica
la censura svolta dall’appellante, non ha proceduto autonomamente ad accertare la sussistenza delle condizioni per

lo limitata a rilevare come le stesse deduzioni
dell’appellante

(“sia perché importo non desumibile da al-

cuna nozione di diritto, sia perché danno del tutto indeterminato”)

fossero tali da dimostrare la correttezza, da

parte del Tribunale, del ricorso alla liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ.
Ed è evidente che, con il motivo in esame, il ricorrente
mira ad ottenere in questa sede di legittimità una nuova
valutazione sui presupposti della determinazione equitativa del danno non ammissibile, essendo, al più, secondo la
giurisprudenza di legittimità, censurabili le statuizioni
in merito alla valutazione equitativa del danno solamente
con vizio di motivazione che censuri l’illogicità
dell’iter adottato dal giudicante per pervenire a quella
determinata valutazione (Cass. n. 6414 del 2000); vizio,
nella specie, non dedotto.
Si ritiene quindi possibile la trattazione del ricorso in
camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, n. 5, e 380bis cod. proc. civ., perché, ove il Collegio condivida le

la liquidazione del danno in via equitativa, essendosi so-

considerazioni esposte, il ricorso stesso possa essere ivi
rigettato»;
che il Collegio condivide la proposta di decisione,
non apparendo le argomentazioni svolte dalla difesa del

discussione della causa idonee ad indurre a differenti
conclusioni;
che deve qui ribadirsi che la Corte d’appello ha interpretato, in modo non implausibile, il motivo di gravame
inerente il capo della decisione di primo grado in punto
liquidazione equitativa del danno proprio nel senso che le
deduzioni dell’appellante

(“sia perché importo non desumi-

bile da alcuna nozione di diritto, sia perché danno del
tutto indeterminato”),

che avevano dato corpo alla denun-

ciata arbitrarietà della liquidazione equitativa, dimostrassero la piena legittimità del ricorso alla liquidazione equitativa;
che tale rilievo consente anche di ritenere non idoneo
ad indurre a diverse conclusioni il richiamo contenuto
nella memoria del ricorrente alla sentenza n. 17931 del
2013 delle Sezioni Unite di questa Corte, atteso che la
Corte d’appello non si è limitata ad una valutazione formale del motivo, per come articolato, ma ha desunto dagli
elementi che, a detta dell’appellante, avrebbero dovuto
denotare la arbitrarietà della liquidazione equitativa,

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ricorrente nella memoria depositata in prossimità della

argomenti nel senso della inidoneità del motivo, nei termini in cui era articolato, ad evidenziare un vizio della
sentenza di primo grado;
che dunque, lungi dal limitarsi ad una valutazione

d’appello, pur affermandone la inammissibilità per genericità, ha esaminato comunque le sintetiche ragioni indicate
dall’appellante a sostegno della censura proposta, ritenendole non utili alla dimostrazione del vizio denunciato;
che quanto al secondo motivo, occorre rilevare che, a
ben vedere, la Corte d’appello non ha provveduto ad un autonomo apprezzamento in ordine alla ricorrenza delle condizioni per la liquidazione equitativa del danno, ma si è
limitata a ritenere generico il motivo di gravame e sintomatiche della sussistenza delle dette condizioni proprio
le argomentazioni svolte dall’appellante

(“sia perché im-

porto non desumibile da alcuna nozione di diritto, sia
perché danno del tutto indeterminato”);
che le censure svolte nel secondo motivo attengono in
realtà ai presupposti della liquidazione equitativa, e riguardano quindi la statuizione del primo giudice sul punto, atteso che la Corte d’appello non ha svolto sul punto
alcuna autonoma valutazione, avendola non implausibilmente
(come accertato in sede di esame del primo motivo) ritenu-

formalistica del motivo di gravame proposto, la Corte

ta preclusa dalla genericità della formulazione del motivo
di gravame;
che quindi il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente, in applicazione del

giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00
per esborsi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI-2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il
10 dicembre 2013.

principio della soccombenza, al pagamento delle spese del

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