Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4539 del 19/02/2021

Cassazione civile sez. II, 19/02/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 19/02/2021), n.4539

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14179-2016 proposto da:

O.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA

101, presso lo studio dell’avvocato MARIO PISELLI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI BOLDRINI;

– ricorrente –

contro

F.C., O.G., O.F., O.S.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA XXIV MAGGIO 43, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO NUZZO;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

nonchè contro

D.G.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 864/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/12/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C., F. e O.G. convenivano in giudizio il fratello O.V. affinchè venisse disposto lo scioglimento della comunione volontaria tra di loro costituita con scrittura privata del 22 aprile 1975, avente ad oggetto non solo i beni di loro proprietà al momento della sottoscrizione dell’accordo ma anche quelli che gli stessi avrebbero acquisito in futuro.

I fratelli con scrittura privata del 21 luglio 1993 convenivano di procedere alla divisione dei loro beni accordandosi anche sulla chiusura dei loro rapporti di dare e avere al 30 giugno 1993, nonchè sul pagamento dei debiti comuni.

Venivano formulate due ipotesi divisionali non accettate dal fratello V..

2. Il Tribunale di Rimini, per quel che ancora rileva, rigettava per mancanza di prova la domanda di divisione degli utili maturati dopo il 30 giugno 1993 per la gestione dell’azienda da parte di V. e sulla base della prima ipotesi della CTU, con esclusione del podere lisi che non risultava intestato a nessuno dei fratelli, disponeva la divisione dei beni comuni, con assegnazione degli immobili nella previsione di conguagli a carico di F. nella misura di Euro 37.500, in favore di V., Euro 157.500 in favore di C., ed Euro 162.500 in favore di G.. Il Tribunale motivala tale soluzione perchè consentiva di mantenere l’unità dei fondi e di rispettare quantomeno in parte la situazione di possesso esistente riducendo al minimo la previsione di conguagli in denaro.

3. O.V. proponeva appello avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi.

4. La Corte d’Appello di Bologna, dopo aver richiamato la giurisprudenza sulla specificità dei motivi di appello e il suo recepimento ad opera dalla riforma del 2012, dichiarava inammissibili i primi tre motivi dell’impugnazione ex art. 342 c.p.c.

La Corte d’Appello evidenziava che l’appellante si era limitato a dedurre errori processuali (violazione dell’art. 789 c.p.c.) e di merito, nonchè la nullità della consulenza tecnica d’ufficio, senza indicare quali conseguenze ne sarebbero derivate a suo vantaggio, ad esempio in termini di assegnazione di diversi e maggiori beni o della previsione di un conguaglio maggiore.

Con riferimento al quarto motivo d’appello lo stesso era infondato. L’esclusione dalla divisione del podere Lisi derivava dal fatto che il bene risultava in proprietà all’opera pia ” S.F.” e non risultava proposta alcuna domanda volta a far accertare l’acquisto per intervenuta usucapione a favore di O.F.. La sentenza prodotta dall’appellante e asseritamente trascritta nell’anno 2002 era solo un estratto dal quale non era possibile ricavare con chiarezza il contenuto della decisione, anche perchè il bene oggetto del riscatto agrario in favore del fratello F. era identificato come podere fiume.

5. O.V. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi.

6. F., C. e O.G. hanno resistito con controricorso e hanno proposto ricorso incidentale sulla base di due motivi.

7. O.V. con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso principale è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione art. 360 c.p.c., n. 3 e, comunque, nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, per avere la Corte d’Appello erroneamente ritenuto che i primi tre motivi d’appello di V. fossero inammissibili, ai sensi del citato art. 342 c.p.c., siccome carenti dell’indicazione delle conseguenze che sarebbero derivate a vantaggio dell’appellante in caso di loro accoglimento e per aver conseguentemente omesso di pronunciarsi sugli stessi.

A parere del ricorrente la Corte d’Appello ha fatto espresso riferimento ed applicazione dell’attuale formulazione dell’art. 342 c.p.c., affermando che la riforma del 2012 ha codificato l’orientamento cui era già pervenuta la giurisprudenza.

Il ricorrente, tuttavia, sottolinea che l’impugnazione rientrava nell’ambito della precedente formulazione dell’art. 342 c.p.c., in virtù del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2. La sentenza, pertanto, sarebbe erronea avendo sindacato l’ammissibilità dei motivi d’appello alla stregua dei requisiti introdotti dalla novella del 2012. Nella versione precedente della norma citata, infatti, era richiesta solo l’esposizione anche in via sommaria in forma sintetica e concisa delle ragioni fatto e in diritto poste a fondamento dell’impugnazione. Il ricorrente aveva pienamente assolto siffatto onere e dunque la Corte d’Appello avrebbe dovuto senz’altro pronunciarsi sul merito.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, avendo il giudice del merito rigettato il quarto motivo di appello sul presupposto che O.V. non avesse dimostrato l’acquisto della proprietà del (OMISSIS) in capo al fratello F. e, dunque, non avesse dimostrato l’appartenenza del bene alla comunione volontaria, nonostante tale circostanza risultasse pacifica alla luce della mancata contestazione degli appellati e della nota di trascrizione della sentenza numero 147 del 1985 del Tribunale di Rimini prodotta in fase di appello.

L’allora appellante V. aveva provato l’acquisto da parte del fratello F. della proprietà del (OMISSIS) mediante l’estratto della sentenza sopracitata sicuramente riferibile al bene in questione. Peraltro, nel costituirsi in giudizio gli altri fratelli non avevano contestato il fatto ammettendo che il suddetto podere, unificato al foglio (OMISSIS) era stato acquistato da F. in forza della citata sentenza (pag. 12 e 13 della comparsa di risposta). Non vi era, pertanto, alcuna certezza sull’individuazione del bene nè tantomeno sul fatto che fosse stato acquistato da F..

3. Il motivo del ricorso incidentale condizionato è così rubricato: violazione dell’art. 112 c.p.c. riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa pronuncia sulla domanda svolta in via di appello incidentale di valutare i fabbricati denominati “(OMISSIS)”, “(OMISSIS)”, “(OMISSIS)”, “(OMISSIS)”, anche tenuto conto delle spese di conservazione e ripristino sostenuto dagli attori e, di conseguenza, in caso di assegnazione a O.V. di fabbricati ristrutturati di considerarne l’incremento di valore e condannarlo a versare il relativo conguaglio ovvero, se assegnata agli attori, di considerare il valore al netto delle migliorie.

Il Tribunale di Rimini aveva completamente omesso di pronunciarsi su tale domanda che era stata riproposta in via di appello incidentale e anche la Corte d’Appello avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sulla stessa.

I ricorrenti insistono pertanto nell’accoglimento della domanda nell’ipotesi di rinnovazione della CTU e di formazione di un nuovo progetto divisionale.

4. Il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato è così rubricato: violazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4 per omessa pronuncia sulla domanda svolta in primo grado e poi in via di appello incidentale, di condanna di V. a pagare agli attori utili e debiti non corrisposti a decorrere dal 22 aprile 1975, fino alla data del recesso.

O.V. aveva reiterato la sua pretesa di essere legittimamente receduto dalla scrittura del 21 luglio 1993, limitatamente alla clausola n. 4 che disciplinava le modalità divisorie.

Non essendo consentito il recesso parziale e qualora si consideri il recesso di V. efficace esso avrebbe comportato la perdita delle agevolazioni previste ai punti nn. 1 e 3 con conseguente obbligo di rifondere agli attori la sua quota di utili e debiti della “società tra fratelli” a decorrere dalla costituzione della comunione del 22 aprile 1975 e di pagare la penale e le spese sostenute sino all’esecuzione del recesso.

4. Il primo motivo del ricorso principale è fondato e determina l’assorbimento del restante motivo del ricorso principale e dei due motivi del ricorso incidentale.

Dalla motivazione della sentenza impugnata, seppure non sia detto in modo esplicito, si deduce che è stata fatta applicazione dell’art. 342 nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012.

La Corte d’Appello di Bologna, infatti, nella sentenza impugnata, dapprima richiama il vecchio testo dell’art. 342 c.p.c. e le sezioni unite n. 4991 del 1987 e n. 16 del 2000 secondo cui l’atto di appello privo della specificazione dei motivi è nullo per indeterminatezza dell’oggetto ed è fonte di inammissibilità dell’impugnazione poi, dopo questa premessa, riproduce il contenuto dell’art. 342 c.p.c. riformulato nel 2012 e afferma che la novella ha recepito le conclusioni alle quali era pervenuta la giurisprudenza di legittimità.

In conclusione, sulla base di tale ultima disposizione, la Corte d’Appello dichiara inammissibile l’appello proposto da O.V. per omessa indicazione delle conseguenze favorevoli in termini di assegnazione di diversi e maggiori beni o della previsione di un conguaglio maggiore.

La sentenza merita censura. Nel caso di specie, infatti, deve farsi applicazione dell’art. 342 c.p.c. nella versione antecedente la riforma del 2012. Ai sensi del citato D.L. n. 83 del 2012, art. 54 il nuovo testo dell’art. 342 c.p.c. si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione. L’atto di appello proposto da O.V. avverso la sentenza definitiva del Tribunale di Rimini n. 1565 del 2009 risale all’anno 2010 e, dunque, in data antecedente l’entrata in vigore della riforma.

L’art. 342 c.p.c. ratione temporis applicabile richiede all’appellante di indicare specificamente le critiche rivolte contro la sentenza di primo grado, tenendo presente le argomentazioni addotte dal giudice di primo grado e le ragioni di erroneità di ciascuna delle statuizioni impugnate. Con l’ulteriore precisazione che la specificità delle censure mosse alla sentenza impugnata deve essere commisurata all’ampiezza ed alla specificità della motivazione della stessa: ne consegue che se il giudice di prime cure ha omesso del tutto di prendere in considerazione alcune prospettazioni della parte soccombente questa può, nell’atto d’appello, limitarsi a riprendere le difese svolte in primo grado.

Ai fini dell’ammissibilità dell’appello, dunque, è sufficiente, come avvenuto nel caso in esame, che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze. Peraltro, la motivazione della Corte d’Appello, circa le ragioni dell’inammissibilità dei primi tre motivi proposti da O.V. è inesistente o solo apparente e non soddisfa il minimo costituzionale. In proposito deve richiamarsi l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui: La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6″ (Sez. 1, Ord. n. 13248 del 2020).

Nella specie la Corte si è limitata ad affermare che il ricorrente aveva dedotto errori processuali (violazione dell’art. 789 e di merito nonchè la nullità della consulenza tecnica di ufficio senza indicare quali conseguenze sarebbero derivate a suo vantaggio ad esempio in termini di assegnazione di diversi e maggiori beni e della previsione di un conguaglio maggiore. Si tratta di una motivazione del tutto apodittica, che non tiene conto del contenuto dell’atto di appello, della natura del giudizio divisorio e della possibilità di contestare anche la scelta operata dal giudice tra le diverse ipotesi di divisione o di contestare la stima del valore dei beni o la formazione di porzioni non corrispondenti alle quote.

Nella specie, pertanto, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello che, impregiudicato il merito, dovrà esaminare i motivi di appello erroneamente dichiarati inammissibili per difetto di specificità e valutarne la fondatezza o meno.

5. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del restante motivo relativo alla titolarità del (OMISSIS) e dei due motivi proposti con il ricorso incidentale.

6. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il restante motivo del ricorso principale e i due motivi del ricorso incidentale, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021

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