Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4535 del 22/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 22/02/2017, (ud. 06/12/2016, dep.22/02/2017),  n. 4535

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10670/2015 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

213, presso lo studio dell’avvocato SIMONE TRIVELLI, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARCO CAVICCHIOLI, giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Z.G.E., M.M., M.L.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FRACASSINI 4, presso lo

studio dell’avvocato ALESSANDRA NERI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LUCA RECAMI, giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 413/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO del

21/02/2014, depositata il 28/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato Simone Trivelli (delega avvocato Marco Cavicchioli)

difensore del ricorrente che si riporta al ricorso ed alla memoria.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione:

“1. S.F. nel (OMISSIS) rimase vittima di una aggressione dolosa perpetrata da M.L., M.M. e Z.G.E..

Nel 2007 convenne in giudizio gli aggressori dinanzi al Tribunale di Biella, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti in conseguenza dell’aggressione e delle lesioni da essa causategli.

2. Con sentenza 10.5.2012 n. 289 il Tribunale accolse la domanda.

La sentenza venne appellata (per quanto qui ancora rileva) da S.F., il quale reputò sottostimata la misura del danno non patrimoniale liquidata dal Tribunale.

La Corte d’appello di Torino con sentenza 28.2.2014 n. 413 rigettò il gravame.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da S.F., sulla base di un solo motivo.

Il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1226, 2043 e 2059 c.c.; sostiene che nella monetizzazione del danno alla persona il Tribunale prima, e la Corte d’appello poi, avrebbero trascurato di tenere conto delle specificità del caso concreto, ed in particolare dell’intensità della sofferenza morale patita dalla vittima dell’aggressione.

4. Il ricorso appare manifestamente inammissibile.

La Corte d’appello ha reputato equa la somma liquidata dal Tribunale a titolo di ristoro del danno non patrimoniale, alla luce delle modalità del fatto e del presumibile paterna d’animo da questo provocato. Ha indicato quali erano queste particolarità, ed ha mostrato di tenerle nella debita considerazione. Nessuna violazione, dunque, nè dell’art. 1226 c.c., nè dell’art. 2059 c.c., è ipotizzabile.

Stabilire, poi, se l’angoscia provocata da una aggressione debba nel caso concreto essere risarcita con 10, 100 o 1.000 è questione di puro fatto, riservata al giudice di merito e non sindacabile in questa sede di legittimità.

5. Si propone pertanto il rigetto del ricorso”.

2. La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio condivide le osservazioni contenute nella relazione.

Ritiene, invece, non decisive le contrarie osservazioni svolte dalla ricorrente nella propria memoria.

2. Nella suddetta memoria il ricorrente deduce – in sintesi che in conseguenza del reato di cui fu vittima patì una grave sofferenza morale; che tale sofferenza morale costituisce un pregiudizio (il “danno morale”) ben diverso dalla lesione della salute; che di conseguenza il giudice di merito avrebbe dovuto liquidare questo pregiudizio non già, come fece, maggiorando di una percentuale prestabilita il risarcimento dovuto per il danno biologico, nè entro i limiti previsti dalle “tabelle” predisposte dal Tribunale di Milano per la monetizzazione di quest’ultimo danno.

3. I rilievi svolti dal ricorrente non possono essere condivisi.

E’ ben ricordare alcuni principi basilari in tema di liquidazione del danno non patrimoniale.

Primo: il danno non patrimoniale è una categoria unitaria ed omnicomprensiva. Non esistono pregiudizi non patrimoniali tra loro “ontologicamente” differenti; esiste in iure la categoria del danno non patrimoniale, ed in facto le singole forme concrete che esso può assumere (lesione dell’onore, della reputazione, del nome, della salute, e via dicendo).

Il pregiudizio non patrimoniale causato da una lesione della salute può manifestarsi in modi diversi: può consistere nella forzosa rinuncia ad attività quotidiane; può consistere nel dolore fisico; può consistere nella sofferenza morale.

Purtuttavia, quali che siano le forme di manifestazione dei pregiudizi non patrimoniali, essi hanno tutti identica natura.

La natura omogenea dei pregiudizi non patrimoniali non vuol dire che, una volta trasformato in denaro il grado di invalidità permanente col sistema c.d. “a punto”, la vittima abbia ottenuto tutto quel che le spetta: il valore monetario del punto di invalidità infatti è solo una misura standard, che lascia libero il giudice di apprezzare la sussistenza di particolarità del caso concreto, che ne giustifichino una variazione.

D’altro canto, però, non è certo sufficiente chiamare pregiudizi identici con nomi diversi, per poterne predicare la contemporanea risarcibilità (ex multis, Sez. 6-3, Ordinanza n. 8895 del 4.5.2016).

Da ciò consegue che per stabilire se il giudice di merito abbia rispettato o meno i criteri di liquidazione del danno non patrimoniale non si deve avere riguardo alle formule definitorie da lui usate (come “danno morale”, “danno biologico”, “danno alla vita di relazione”, e via dicendo), ma occorre esaminare:

(a) quali siano stati i concreti pregiudizi dedotti dalla vittima e provati in giudizio;

(b) quali siano stati i pregiudizi dei quali il giudice ha tenuto conto nella operazione di monetizzazione.

Secondo: non è consentito chiamare pregiudizi identici con nomi diversi, per pretenderne una doppia valutazione e liquidazione (principio ammesso del resto dallo stesso ricorrente, a p. 5 della propria memoria).

Terzo: colui il quale lamenti in sede di legittimità una sottostima del danno non patrimoniale da parte del giudice di merito, ha l’onere di indicare chiaramente quali sono stati i concreti pregiudizi dedotti e provati, ma non esaminati dal giudice di merito (ex multis, da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 20630 del 13.10.2016).

4. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha stimato corretta la liquidazione del risarcimento compiuta dal Tribunale, affermando che nella determinazione di essa il primo giudice aveva correttamente individuato un importo di base, per poi maggiorarlo al fine di tenere conto della sofferenza fisica patita dalla vittima, di quella psichica, della brutalità e ferocia dell’aggressione, ed infine del “dolore e sofferenza soggettiva” (così la sentenza d’appello, p. 13).

La Corte d’appello ha dunque correttamente applicato il principio secondo cui la liquidazione del danno non patrimoniale derivato da una lesione della salute si articola in due fasi: la prima consistente nell’individuazione di un parametro standard uguale per tutti, necessario per garantire parità di risarcimento a parità di danno; e la seconda consistente nell’adeguare la misura standard alle specificità del caso concreto, con variazioni qualitativa (ad es., liquidazione in forma di rendita piuttosto che in forma di capitale) o quantitative (aumentando o riducendo il valore standard).

Ha, altresì, correttamente tenuto conto delle modalità del fatto (ha infatti richiamato la “brutalità e ferocia” dell’aggressione); delle conseguenze psichiche di essa, e del “dolore e sofferenza soggettiva” da essa causati.

Il giudice di merito non ha dunque violato alcuno dei precetti che presiedono alla stima del danno non patrimoniale, nè ha trascurato di prendere in esame pregiudizi patrimoniali oggettivamente esistenti.

Stabilire, poi, se la misura del risarcimento concretamente liquidata sia stata equa o meno in rapporto alle specificità del caso concreto è questione squisitamente di fatto, riservata al giudice di merito e non prospettabile in questa sede (ex multis, Sez. 6-3, Ordinanza n. 1305 del 25 gennaio 2016).

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

5. Le spese del presente giudizio di legittimità possono essere compensate integramente tra le parti, in considerazione della specificità del caso e di talune oscillazioni giurisprudenziali, esistenti all’epoca in cui venne proposto il ricorso, sulle questioni di diritto da esso sottese.

5.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di Cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) rigetta il ricorso;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di S.F. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte di Cassazione, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2017

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