Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4533 del 27/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 27/02/2018, (ud. 24/10/2017, dep.27/02/2018),  n. 4533

Fatto

 

Che la Banca Antonveneta s.p.a. proponeva appello avverso la sentenza emessa il 20.12.07 dal Tribunale di Roma che aveva dichiarato il diritto del suo dipendente B.P. al ripristino dell’assegno mensile ad personam (pari ad Euro 242,73), precedentemente goduto presso la BNA (Banca Nazionale dell’Agricoltura) poi incorporata da Antonveneta, condannando quest’ultima al pagamento della complessiva somma di Euro 8.384,19, oltre accessori di legge.

Che con sentenza depositata il 9.11.2011, la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame.

Che per la cassazione di tale sentenza propone ricorso La Banca Antonveneta, affidato a due motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste il B. con controricorso. La Procura Generale ha presentato requisitoria scritta.

Diritto

CONSIDERATO

Che con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2077,2112 e 2697 c.c., oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), lamentando che la sentenza impugnata non aveva minimamente esaminato quanto dedotto dalla Banca, e cioè che l’assegno ad personam rientrava nel trattamento di cui al c.c.n.l. di categoria e non fu oggetto di pattuizione individuale col lavoratore (tanto da potersi ritenere erogato “intuitu personae” e non riassorbibile); che comunque gli accordi di fusione prevedevano solo la conservazione, con assorbimento, dei trattamenti retributivi percepiti e di quelli maggiori rispetto a quanto corrisposto dalla Banca incorporante; che seppure l’art. 2077 c.c., comma 2, stabilisce che le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni più favorevoli ai lavoratori, nella specie doveva considerarsi che, dovendo valutarsi i trattamenti economici complessivi, non vi era dubbio che quello erogato al B. dopo l’incorporazione era più favorevole, complessivamente, di quello erogato in precedenza, mentre il lavoratore avrebbe dovuto provare che l’assegno ad personam goduto presso la BNA si poneva al di fuori del trattamento retributivo ivi percepito e non era dunque soggetto a riassorbimento.

Che il motivo è fondato, avendo la sentenza impugnata semplicemente e contraddittoriamente ritenuto per un verso che il riconoscimento dell’assegno ad personam derivava da “un accordo individuale esplicitato nella lettera di assunzione”, senza chiarirne affatto il contenuto e limitandosi a tale mera asserzione, ed in particolare gli elementi da cui poteva ritenersi trattare di assegno non riassorbibile in quanto erogato “intuitu personae” (sull’obbligo del giudice di merito di esporre le ragioni del proprio convincimento, cfr. da ultimo Cass. n. 9113/12); per altro verso che era sufficiente a tal fine che detto assegno fosse percepito presso la precedente datrice di lavoro BNA perchè l’incorporazione non dà luogo ad alcuna novazione del rapporto di lavoro, ma alla sua prosecuzione con conseguente assunzione da parte del subentrante degli obblighi assunti esistenti nei confronti dei lavoratori, restando indimostrato quel che doveva essere dimostrato e cioè che l’erogazione dell’assegno de quo fosse stato erogato “intuitu personae” e dunque non fosse riassorbibile.

Che del resto questa Corte ha più volte affermato che la fusione comporta (nel testo anteriore alle modifiche introdotte, dal 1 gennaio 2004, dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, secondo cui la fusione tra società si risolve in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo, Cass. sez.un. 17 settembre 2010 n. 19698), nei rapporti tra le due società (incorporante ed incorporata), una successione a titolo universale (Cass. 22 marzo 2010 n. 6845), pur regolata esclusivamente dalla volontà delle società partecipanti, Cass. sez.un. n.19698 del 2010, mentre con riferimento ai rapporti di lavoro essa non può che essere disciplinata dall’art. 2112 c.c. (cfr. Cass. n. 10614/2011) che ha peraltro soggiunto che l’applicazione del principio statuito dalla citata norma (secondo il quale ai lavoratori che passano alle dipendenze dell’impresa incorporante si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l’azienda cedente) vale solo nel caso in cui l’impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell’impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell’impresa cessionaria anche se più sfavorevole. Che la sentenza impugnata ha dunque contraddittoriamente ed insufficientemente fatto discendere dalla sola asserzione dell’esistenza di un patto scritto e dalla prosecuzione del rapporto di lavoro de quo, il mantenimento in forma piena e senza riassobimento, di un assegno ad personam goduto presso la società incorporata, senza alcuna effettiva verifica del titolo di tale mantenimento, e senza peraltro valutare l’eventuale diversa disciplina collettiva applicata.

Non rileva qui che con sentenza n. 17861/16 questa Corte abbia deciso similare controversia in senso favorevole al lavoratore, risultando che in quel caso la Corte di merito aveva accertato adeguatamente che l’assegno venne corrisposto intuitu personae e con esplicita clausola di non riassorbibilità.

Che la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, restando assorbita la seconda censura, con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, affinchè accerti, alla luce dei principi esposti, la sussistenza o meno del diritto del B. al mantenimento in cifra fissa dell’assegno ad persona de quo. Lo stesso giudice provvederà anche alla regolamentazione delle spese, comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 24 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2018

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