Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4533 del 24/02/2011

Cassazione civile sez. III, 24/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 24/02/2011), n.4533

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 24800/2008 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO

OJETTI 164, presso ROSALBA TARTAGLIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato TARTAGLIONE Domenico, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

ENEL DISTRIBUZIONE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo

studio dell’avvocato BRIGUGLIO Antonio, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GUERRA PIETRO, giusta procura speciale alle

liti per atto notaio Nicola Atlante di Roma, Rep. n. 29634 del

10/11/08, che viene allegata in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 463/2007 del TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA

VENTERE, SEZIONE DISTACCATA DI MARCIANISE, depositata il 24/09/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTA VIVALDI;

è presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“1. – E’ chiesta la cassazione della sentenza del tribunale di S. Maria Capua Vetere – sezione distaccata di Marcianise in data 24.9.2007 in materia di risarcimento danni.

Ai ricorsi proposti contro sentenze o provvedimenti pubblicati, una volta entrato in vigore il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione, si applicano le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1^.

Secondo l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nel modo lì descritto e, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

2. – Il ricorso può essere trattato in Camera di consiglio e dichiarato inammissibile, se si considera che la formulazione dei motivi per cui è chiesta la cassazione della sentenza non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis.

Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, infatti, deve essere formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. S.U. 11.3.2008 n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo).

Nella specie, i ricorrenti propongono tre motivi di violazione di norme di diritto (artt. 113 e 339 c.p.c., art. 1342 c.c.; art. 2697 c.c., comma 1 e art. 115 c.p.c.; art. 1226 c.c.).

I quesiti, relativi e ciascun motivo, sono formulati alle pagg. 3, 13, e 18 del ricorso.

I quesiti, come posti, sono generali ed astratti, non hanno alcun collegamento con il caso concreto, non consentendo, in tal modo, alla Corte di legittimità di enunciare il o i principii di diritto che diano soluzione al caso concreto (v. S.U. 11.3.2008 n. 6420).

Peraltro, con riferimento al primo motivo, – ritenuto in ogni caso assorbente il rilievo di inammissibilità per le ragioni più sopra esposte -, deve sottolinearsi che la sua inammissibilità dovrebbe essere dichiarata anche sotto un ulteriore profilo.

La questione relativa al mezzo di impugnazione esperibile avverso la sentenza emessa dal giudice di pace, infatti, risulta essere stata sollevata, per la prima volta, soltanto con il ricorso per cassazione; di qui l’inammissibilità per il suo carattere di novità.

Inoltre, la questione relativa al mezzo di impugnazione esperibile avverso la sentenza del giudice di pace sarebbe, anche, infondata.

L’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso le sentenze del giudice di pace, infatti, avviene in funzione della domanda, con riguardo al suo valore (ai sensi dell’art. 10 cod. proc. civ., e segg.) ed all’eventuale rapporto contrattuale dedotto (contratto di massa o meno), e non del contenuto concreto della decisione e del criterio decisionale adottato (equitativo o di diritto), operando, invece, il principio dell’apparenza nelle sole residuali ipotesi in cui il giudice di pace si sia espressamente pronunziato su tale valore della domanda o sull’essere la stessa fondata su un contratto concluso con le modalità di cui all’art. 1342 cod. civ. (S.U. 16.6.2006 n. 13917; Cass. 9.11.2006 n. 23896).

A norma dell’art. 113 c.p.c., comma 2, il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non eccede millecento euro, salvo quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi secondo le modalità di cui all’art. 1342 cod. civ..

Tale comma è stato così sostituito dal D.L. 8 febbraio 2003, n. 18, art. 1, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 7 aprile 2003, n. 63, art. 1,.

Il citato D.L. n. 18 del 2003, art. 1 bis, ha stabilito che le disposizioni di cui all’art. 1 dello stesso decreto si applicano ai giudizi instaurati con citazione notificata dal 10 febbraio 2003.

Nella specie, la notificazione dell’atto di citazione è avvenuta successivamente al 9.2.2003 ed il rapporto contrattuale dedotto in giudizio attiene ad un contratto concluso con le modalità di cui all’art. 1342 c.c. (contratto di somministrazione di energia elettrica).

Ciò comporta che la decisione del giudice di pace, data la natura del rapporto dedotto in giudizio, doveva necessariamente essere data secondo diritto, con la conseguenza che il mezzo di impugnazione esperibile era appunto l’appello (v. anche S.U. 16.6.2006, n. 13917)”.

La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti.

Non sono state presentate conclusioni scritte, nè alcuna delle parti è stata ascoltata in Camera di consiglio.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il Collegio ha condiviso i motivi in fatto ed in diritto esposti nella relazione.

Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 900,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 febbraio 2011

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